R I V I S T .\ P O P O L A R E 527 quel moto e quelle grida di dolore e quei fremi ti di indignazione saranno male interpretati, daranno ombra. Il popolo, dominato dall'istintivo timore di veder salvo il colpevole, potente e faV0rito, non potendo o non sapendo ribellarsi· contro quell'immane organismo della giustizia e dello stato che esso sa esistere ma distintamente non conosce, si ribella contro la persona che, a suo parere, diventa in quell'istante il punto a cui affluiscono tutte le forze occulte o palesi dei grandi, tutti i favoritismi e le corruzioni degli alti e dei potenti, si ribella contro il grande che i;li appare come un p1·ivilegiato , e lo copre del suo livore e del suo odio , non trova pietà e compassione pel suo caso , e vuole anzi, per timore di vederlo sfuggire alla legge comune, che su lui scendano i colpi d'una legge eccezionale e più crudele. È spiegabile, ho detto, tale contegno, q 11andosi pensi a questo sentimento speciale che lo muove. Spiegabile, ma non giustificabile. É giustificabile invece, se non m'inganno, quando, fatta astrazione del sentimento di cui ho finora parlato, lo si consideri mosso da un altro sentimento, un sentimento che sarà meno forte ed evidente del primo, che, forse, la folla possederà senza averne una conoscenza molto precisa, ma che esiste, senza dubbio, ed è degno della nostra considerazione perchè giusto e perchè opportuno. La legge è uguale per tutti, dice la scritta dei trib mali, e dice , con tono di rimprovero, il Ferrero. E questo è veramente lo spirito del nostro diritto e del diritto d'ogni popolo libero e moderno, ma, riflettendo bene, siamo noi sicuri che veramente, assolutamente tutti siano uguali dinanzi alla legge? La legge stessa riconosce certi casi in cui persone che hanno commesso uno stesso delitto , per lo stesdo motivo, nel le stesse circostanze di fatto, sono varia-nente gindicate, e all'una, ad esempio, per uno stato speciale in cui versa la sua mente , è attribuita una responsabilità minore che all'altra, se addirittura questa responsabililà non le è nemmeno riconosciuta. Il caso è evidente e la soluzione giusta, si dirà. Consiste anzi in questa diversità di trattamento la vera e giusta eguaglianza che la legge assicura ai cittadini: se quella diversità nel caso speciale osservato, non si facesse, la persona che versa in istato di inferìorith. psichica di fronte ad un'altra che conserva integre le sue facoltà mentali, potrebbe lamentarsi d'esser posta dinanzi alla legge in condizioni di disuguaglianza per lei ingiuste e dannose. E questo va bene. Ma, pensiamo un po', quando di due persone che hanno commesso lo stesso delitto, sempre per lo stesso motivo e nelle stesse circo8tan:t1e di fatto, l'una è coltissima , istruitissima, occupa una delle più alte posizioni nella società umana, l'altra invece è rozzissima. ignorantissima, ed occupa una delle posizioni più misere ed abbiette, quale dovrà essere il criterio con cui il giudice attribuirà a ciascuna la propria responsabilità? Un criterio identico - mi si risponde - e la responsabilità dovrà essere uguale per tutti due. La legge obbliga appunto a far cosi e cosi facendo il giudice opera il giusto secondo la legge. E anche questo va bene. Ciò è giusto, secondo la legge, ma è poi altrettanto giusto secondo la ragione e la coscienza? Davvero la responsabilità dell'incolto, del debole, dovrà essere 11guale assolutamente uguale, a quella del colto, del potente? Sento già rispondermi da qualcuno che la responsabità dev'essere, in ogni caso, maggiore per l'ignorante. Non pensate , si dice , ai meriti che l'uomo colto, potente, l' uomo grande , chiamiamolo ancora così, si è acquistati nella vita, prima di commettere la colpa? E di q11esti meriti non vorrete tener conto qnando peserete sulle sensibili bilancie della giustizia il delitto suo e qnello dell'ignorante, i riguardi che si deb• bono a lui e quelli che si debbono a chi nulla ha dato alla società umana fuorchè, tutt' al più, il miserabile contributo della sua fatica muscolare? Comprendo, la forza fisica, benchè non disprezzabile, è sempre e di gran Iunga inferiore all'intellettuale, nè il lavoro dei muscoli potrà dare all',1manità aiuti cosi preziosi come dà il lavoro dell'intelletto. ~la perchè non pensate, domando io a mia volta, alla ricompensa che la società umana, concede al misero lavoratore del brac• cio, all'uomo oscuro che non dipinge quadri o non isvela qualche nuova combinazione chimica, e solo è capace di agire sotto la guida altrui e d'agire faticosamente lttilmente, ma in modo assai umile e spregiato? Essa lo retribuisce con un pane scarso o addirittura nullo, esda tiene in conto ben meschino l'opera del disgraziato. E non pensate alla ricompensa che, in generale, viene invece concessa ai forti lavoratori dell'intelletto, agli artisti sommi, ai sommi scienziati , a coloro che sentono già il loro nome, involto dalla luce della fama? Se anche la società non li collocasse nei seggi più alti e più splendidi , se anche n<1nprovvedesse doviziosa• mente a tutti i loro agii, qual ricompensa più grande della gloria che essi hanno conquistata e che la società., appunto, colla sanzione del suo plauso e della sua ammirazione, ha lasciato conquistare? Ahimè, ]a gloria sola sarebbe troppo e sarebbe poco, si capisce, ma non neghiamo che la gloria , in generale , non si concede mai sola. E non neghiamo che nel plauso della folla, negli onori largiti a piene mani dalla folla 1 l' uomo grande o l' uomo di genio trova la soddisfazione più alta e più ambita delle sue fatiche. Non si parli quindi dei riguardi che la società deve all'uomo grande. Essa l'ha già retribuito colla ricompensa più alta a cui egli aspirava : la gloria. Certo i suoi servizi potranno essere stati preziosissimi , immensi, e il plauso invece, che d' al tronde era per la società un dovere di concedere, alla società stessa è costato Hssai poco. Ma, evidentemente, la società non può ricompensare l'uomo grande con servigi d' ugual genere e d'ugual valore: vien da ridere solo a pensarci. E se la gloria per la società rappresenta un sacrificio di valore assai piccolo, per l'uomo grande s'eleva invece a raggiungere l' Ìm• portanza del masHimo compenso. Anche in questo caso, in fin dei conti, viene appli;ata la solita legge economica della domanda e dell' offerta, nota ormai sino ai boccali di Montelupo. Dirà forse qualcun altro che all'uomo gran '.le, reo di un delitto, la società deve usar riguardi e attribuire non tanto una responsabilità minore quanto una pena
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