Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - annno XI - n. 13 - 15 luglio 1905

386 RIVISTA POPOLARE so lo quando essi hanno la ventura di collimare con q uelli della reazione, della grande proprietà e del capitalismo! Mi sentii allora esautorato e mi balenò nella mente il pensiero di uscirmene da Montecitorio; pensiero che manifestai a JY1.recchi intimi amici, tra cui ricordo il Garavetti. Venne poi l3 ripetizione della denunzia delle vergogne di magistrati indegni della loro carica. La consùeta steorotipica volgare esplosione di bugiarda indignazione da parte del Ministro, che pur conosceva e non poteva smentire le turpitudini, da me rivelate; e la- impunità assicurata e il premio sistematicamente accordato ai più sfacciati tra i furfanti in toga suscitò in me un vivo senso di disgusto e rinvigorì la decisione delle dimissioni. Mi q·attennero soltanto le preghiere e le insistenze di amici, che dal mio ritiro vedevano compromessi non pochi e non piccoli interessi politici e amministrativi. Gl'incidenti però della elezione di Piazza Armerina, fecero traboccare la bilancia e mi decisero a lasciare un posto di battaglia, pieno di pungenti spine senza il conforto di alcuna soddisfazione - neppur di quella intima di sapere non del tutto inutili i sacrifizi miei. In sette lunghi mesi a proposito della contestazione di tale elezione assistetti a tutte le viltà, a tutti gli abbandoni, a tutti gl'intrighi di abilissimi inestatori, a tutte le slealtà di ministri o di ex ministi;i. Voi, amici elettori, conoscete perchè a tale elezione accordai tanta importanza e non ho bisogno, quindi, di lunghi chiarimenti per farvi comprendere come dO\reva produrre una larga ferita nell'animo mio il fatto che si mettesse in forse il frutto di un lavoro di ventiquattro anni, e l'opera assidua ed enorme che aveva incamminata a nuova vita morale, politica ed amministrativa questa nostra provincia di Caltanissetta, di cui per oltre quarant'anni ha fatto malgoverno un trust d'inetti e di disonesti. E qui devo fare qualche distinzione tra gli episodi, che a proposito di questa quistione maggiormente contribuirono alla mia definitiva decisione. Non m'impressionò già il voto della Camera per una inchiesta. Erano troppo recenti i casi Licata e Rizzone, nei quali furono sonoramente schiaffeggiate colla Giunta delle elezioni l'onestà e l'aritmetica, perchè avesse potuto sorprendermi una decisione che aveva minori parvenze di scorrettezza. Così gli oltraggi di un Torraca mi lasciarono del tutto indifferente; dirò anche che mi procurarono un graditissimo e largo compenso colla manifestazione spontanea e calorosa di affetto e di stima da parte di parecchi e sopratutto di Giustino Fortunato, che_da vicino mi conosce e che, moralmente e intellettualmente, vale assai più che cento Torraca. Ciò invece che per me rappresentò il colmo della disillusione fu il contegno di alcuni amici - tali li credetti sino a ieri - della Estrema sinistra, che in una quistione politico-morale, più morale che politica, negarono fede a me e l'accordarono a persone che io ho sempre reputati e proclamati spregevoli. Questo episodio fìnale mi dette la convinzione che io oramai sono inviso a troppi sui banchi dell'Estrema dove siedo, e che per me a Montecitorio non c'è più possibilità e convenienza di lotta. . Coloro che mi conoscono e sanno che tutta la mia vita pubblica, per quarantatre anni continui, da Aspromonte al giorno d'oggi, non è stata che un seguito di battaglie raramente coronate dalla vittoria, saranno persuasi, che non è una sconfitta o la possibilità di una sconfitta che può scoraggiarmi ed indurmi ad abbandonare il campo dove per quindici anni combattei; ma essi, con me saranno convinti che non c'è possibilità ed utilità di lotta quando non si devono parare soltanto i colpi dei nemici, che stanno di fronte, ma anche quelli, che vengono, insidiosi, dagli amici che stanno ai fianchi ed alle spalle. Perchè io potessi ri:nanere utilmente a Montecitorio, e non già restarvi p~r ragione di piccole comodità personali, di elettori e di amici, una di queste due vie dovrei scegliere: iscrivermi ad uno dei dP.e gruppi dell'Estrema, il repubblicano o il sociah:;!a , e restarvi disciplinato ; o passare nel campo monarchico. Pur troppo, non è possibile adottare nè l'una nè l'altra soluzione. Amo il paese più dei partiti, e stimo la verità e la giustizia più della disciplina e non posso-stare perciò rigidamente inquadrato nel gruppo repubblicano o nel socialista. D'altra parte a· cinquantanove anni non si mutano convinzioni politiche caldeggiate sin dall'infanzia: gl'ideali di Mazzini e di Cattaneo sono materiati nei miei muscoli e nelle mie ossa, nei miei nervi e nel mio cervello. So che persone rispettélbili e rispettate, da me anche amate, considerano un errore, un pregiudizio, una debolezza non utile al paese ed alla democrazia questa mia immobilità, tanto più quando si preconizza con sincerità il metodo evoluzionista, come io faccio da circa trent'anni; e l' esempio di Cavallotti, che, per l'acquistata convinzione di non potere trasformare le condizioni politiche e morali del proprio paese coll'azione dal basso in alto - è la frase da lui adoperata - non v9lendo rimanere inoperosq e inutile, in ultimo si accostò a quelle istituzioni che aveva così vigorosamente combattute per tanto tempo, onde potere agire , a scopo di rinnovazione e di progresso, dall' alto in basso, m'impone rispetto e m' induce a non diminuire l'affetto e la stima per chi diversamente da me sente e agisce. Ma io, forse a causa esclusiva del mio temperamento, penso che se volessi svellere dall' animo mio gli antichi ideali, o distaccarmene esteriormente, penso, ripeto che mi sentirei dannato alla paralisi. Perciò, non potendo più, rimanendo immutato, spiegare come vorrei l'azione mia in Montecitorio, preferisco uscirmene, serbandomi intero all' antica fede e consacrandovi quello che mi resta di vigoria, e restituirvi il mandato. Ho la coscienza di averlo sempre tenuto alto ed incontaminato ed auguro che chi mi succederà possa mettere nell' esercizio del mectesimo la sincerità, l'entusiasmo, la rettitudine che io vi posi e conferire nella sfera dell' azione sua al bene supremo del paese. Napoli 10 luglio 1905. NAPOLEONE Coi.AJ .\NNI IUII HlltHUt illlllllU UtH UHI tll'H,; I• I• o,.:. qpo lilll iif h lt11,i lf! h Il tt U tt 11111 Le quistioni ferroviarie e la convocazione del Parlamento Da anni ed anni, da decine di anni, non si assisteva ad una convocazione del Parlamento alla fine del mese di Luglio; l'avremo nell'anno di grazia 1905 giorno 27, Consule Fortis. Ed ora vengano a dirci che l'attuale Presidente del Consiglio sia un poltrone! I motivi della straordinaria convocazione sono stati annunziati dalla Tribuna in un articolo ultraufficioso, nel quale si esponeva il pericolo, cui andrà incontro la nazione qualora non si procedesse subito alle liquidazioni colle società ferroviarie, che vantano crediti per circa 500 milioni, di' pagare un di più d'interessi rappresentato dalla differenza tra

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