350 LA RIVISTA POPOLARE delle altre città. Ma erano discorsi accademici; chè , s' intende, essi non parlavano di progetti precisi davanti a terze persone. Garibaldi non era a Genova, ma m'aveva scritto da Caprera, ove era intento a fabbricarsi una casetta sul terreno comperato col danaro lasciatogli dal fratello Felice, morto in quell'anno. Mi mandò anche Medici per informarmi della sorte del progetto di liberazione dei prigionieri del Re di Napoli. O perchè era avvenuta la rottura delle relazioni diplomatiche e il ritiro del ministro inglese col suo seguito; o perchè il Re sembrava disposto a mandare tutti i prigionieri politici nella Repubblica Argentina, o ad accordare loro una amnistia purchè la domandassero - cosa che essi fieramente avevano rifiutata, non ostante i consigli di Panizzi - il fatto sta che ogni progetto di evasione era stato abbandonato. Garibaldi, Medici e Bertani - ai quali Sir Jarnes Hudson si era rivolto, nonostante egli fosse l'amico sviscerato di Cavour e per quanto i prigionieri fossero tùtt.i moderati _costituzionali, convinto che soltanto i rompicollo avrebbero arrischiato la propria libertà e la vita - erano sciolti da qualsiasi impegno. In risposta alla domanda: « e. cosa ora pensate di fare ? » , Medici mi disse che Garibaldi , per allora, voleva « dare tempo al tempo », che, pur non disperando ancora nella possibilità dell'azione del Re di Piemonte a capo di un esercito di 40 mila uomini, prodi e ansiosi di battersi contro il vincitore di Novara, neppure molto sperava per il momento; ma che, in ogni caso, pronto a capitanare qualsiasi impresa che offrisse probabilità di riuscita, non intendeva secondare moti, che secondo lui non riuscirebbero se non ad infondere negli italiani la convinzione della loro impotenza a scuotere il giogo. Medici, pur sapendo della presenza di Mazzini in Genova, non l'aveva avvicinato. Però aveva acconsentito di essere il cassiere della sottoscrizione promossa dai genovesi per r acquisto di diecimila fucili da da:·e alla prima provincia che fosse insorta contro l'Austria, o contro i tiranni suoi satelJiti .. Più tardi ebbi in mano una lettera scritta in Genova da Pisacane e Rosalino Pilo a Bertani, allora sul lago d' Orte, interessandolo per un loro progetto di scendere sulla costa Napolitana lasciando e programma e bandiera alla decisione della provincia sollevata, dicendo che « gli amici che dovevano iniziare non domandavano che l' aiuto di uom_ini di ~uor_eguidati da Garibaldi, e con essi arnu e 1nannan >>. E che la speranza di ulìa sollevazione in Napoli e nella Sicilia fosse generale, ne è prova questa lettera di Giofgio Pallav1cin0 a Manin ctel dicembre '56: « Amico carissimo, Ieri furono da me, in deputa- « zione, i seguenti signori: Tommaseo, Cosenz, Varè, « lnterdonato, Gemelli, Mordini e La Masa. Essi mi « invitarono con calde parole a spalleggiare la ri- « voluzione italiana in Sicilia coll'autorità del mio « nome e con quei mezzi pecuniari di cui posso di- « sporre. Trattandosi di una impresa nazionale, non « ho potuto rispondere con un ritìuto, e, poste certe « ~ond~zioni suggeritemi dalla prudenza, ho promesso « 11 m10 concorso, governandomi questa volta col « sentimento, e non con la fredda ragione >>. E in quell'occasione l'ex galeotto dello Spielberg d~m_ò7 mila lire italiane per comperare fucili. Mazz1~11n?el novembre, ritornò a Londra, e l'attività degli italiani e degli amici d'Italia si raddoppiò, sia con l' iniziare sottoscrizioni private , sia col tenere c?nferenze pubbliche onde procurare danaro per arntare il popolo oppresso a liberarsi dagli stranieri e_dai domestici oppressori. Chi dava per la libera-_ z10ne _dei prigionieri; chi per i 10 mila fucili ; chi,1 semplicemente cc per servire nel modo più adatto -'lllo scopo ». E con lettera del settembre, Garibaldi, il quale fino allora si era mostrato renitente a domandare danaro agli stranieri a pro della patria sua, mi scrisse da Genova : cc Sorella mia carissima. Io vi autorizzo a domandare denaro in mio nome a pro della redenzione italiana. Parto domattina per la Caprera. Ho meco Menotti e Teresa. Non vi scrivo di più perché ho la mano ammalata. Un bacio a Ricciotti, Sam, Luisa >> (i miei fratelli che col suo figlio erano meco a Londra). Nei giornali che giungevano dall'Italia erano narrati tutti i tentativi e i fiaschi dei primi mesi del 1857. Mauro Macchi li biasimava. Alberto Mario scagliò contro di lui articoli infuocati nell' cc Italia del Popolo », e una stida non ebbe seguito per l' intromissione autorevole di Garibaldi. Al TO notevole argomento éra l'amnistia offerta dal gio-vane imperatore dell'Austria ai Lombardo-veneti, dopo di avere levato tutti i sequestri. Indi, la discussione fra gli emigrati, se più convenisse il rientrare per lavorare dal cti dentro, oppure il rimanere in esiglio per protestare contro qualsiasi concessione dello straniero . .Prevalse per lo più quest'ultima soluzione·; ed il contegno del popolo durante il soggiorno dcli' Imperatore e della lmperatrice convinse perfino i conservatori inglesi, partigiani dcli' Austria, che nè con le buone, nè con le cattive, gli italiani si sarebbe ·o rassegnati mai al giogo straniero. Intanto ferveva la questione del soccorso alla progettata insurrezione nel Napolitano. Pisacane e Pilo avevano preso in atfìtto un barcone è tenevano pronto un piccolo equipaggio, decisi a partire e tentare uno sbarco anche senza Garibaldi. Bertani li sconsigliò e rifiutò ogni cooperazione, persuaso che senza Gari bald.i si sarebbe fatto di nuovo fiasco. Mario, intimo suo, ebbe parecchie discussioni burrascose con lui. Bertani ammaestrato dalle cinqne giornate e dalla Repubblica Romana sosteneva che soltanto quando un popolo, giunto al punto di non potere o volere più sotfrire, fosse insorto, possono gli aiuti dal di fuori essere utili; che gli accordi presi prima sono sempre frustrati da qualche causa, e che, o per tradimento o per imprudenza, la polizia riesce sempre a sapere di che cosa si tratta. Mario, più focoso, sosteneva che, date le condizioni insopportabili delle popolazioni del sud, era dovere degli emigrati che godevano di una certa libertà, di mettersi a dispo- ~izione di esse, incoraggiandole ad insorgere con promesse di immediato soccorso. . . Mazzini, sempre inclinato ad accarezzare il piano di Livorno, fu commosso e scosso dalle lettere che riceveva dal comitato di Napoli, e specialmente da una, del 2 febbraio '57, da Fanelli, in cui, dopo la descrizione ·delle mene dei moderati e dei muratisti, era narrato il caso di un reggimento il quale - es~- sperato per la brutalità di certo colonnello Pucc1, che ordinava pubbliche battitùre dei soldati - aveva emesso il grido di abbasso, e costretto il colonnello alla fuga. 1 patriotti si erano messi d' acc<?rdo con Mattina per fare uscire armati i soldati raggmnge1:ido di notte tempo Salerno, ove l'insurrezione era decisa: Tutto però era andato a monte per la manc~n~a d1 danaro, non essendo giunti in tempo i soccorsi d1 ~abrizi. In tale lettera lo scrittore continua: « Ages1lao cc Milano, amico nostro, ci rimprovera dalla to:111ba; « mentre egli ammirava l'operosità nostra m1 docc mandava se voi avevate rivolte le mire vostre a cc noi, perchè egli solo così vedeva potersi co~1pi ere « il disegno che egli voleva iniziare. E' inutile ~he « io vi ricordi che egli disse ai giudici che lo 111.- « terrogarono che la sua fede era Mazziniana_. ~el « sito ove morì l'eroe, la notte del 25 gen~1a10 t~- i cc cemmo 1i.oi mettere un palo con la bandiera tncc colore con la leggenda " Viva la Nazione,,. Altre « bandiere foron messe in altri si ti con la leggenda:
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==