A GIUSEPPE MAZZINI 34-9 sciatori. I moderati fecero grandi dimostrazioni alla partenza di Brenier, ambasciatore francese « per commuovere così la diploma:r_iaestera, che con le lagrime agli occhi Perrebbe a riscattarci ii. Così scriveva il comitato di Napoli a Mazzini aggiungendo che, alla maggioranza degli studenti e del Partito d'azione che avevano domandato consiglio al Comitato, esso aveva risposto che « il rappresentante dell'oppressore di Roma, di Grecia, della deniocra:r_ia francese, se fosse stato acclamato da noi, ci avrebbe reso complici della sua tirannide >>. Verso la metà del 1856 Mazzini - recatosi a Genova ove cc nascosto nel cuore del popolo » dimorò fino al novembre, pronto, come sempre era, a secondare qualsiasi iniziativa - era intento ai moti sorti nel Carrarese. Le cause del tentativo fallito nella Lunigiana sono esposte da lui nella cc Bandiera della Nazione » (Vol. IX, pag. 173). Fra quelle cause la principale era stata la violazione, per parte dei moderati, del pegno dato di accettare la bandiera neutra durante l' insurrezione. Questi fatti avevano persuaso lui e il partito d'azione in generak, del-- l'inutilità di fare altri tentativi in unione coi moderati, non fidenti questi nelle forze della Nazione, e aspettante solo l'iniziativa del governo piemontese, ostinandosi ad ignorare che questa sarebbe stata impossibile, quand'anche il Re e i suoi ministri lo avessero voluto, senza esporre il Piemonte alle proteste e alle minaccie dei governi dispotici, che, pure avendo violato il trattato di Vienna del 1815, erano sempre pronti a farvi appello quando altri accennasse a mancarvi. E più gravi ancora sarebbero stati i rimproveri degli alleati nella guerra di Crimea, inquantochè i ministri della Francia e dell'Inghilterra avevano assicurato Cavour e il Re, che, per quanto nulla vi fosse da fare per il momento, qualora non fossero successe rivoluzioni o violenze, essi non avrebbero perduto di vista il miglioramento delle condizioni dell]talia. Ma già verso fa fine del 1856, Cavour stesso aveva perduto quasi ogni speranza; tanta era la prepotenza dell'Austria insuperbita dal fatto che, essendo rimasta neutrale durante la lotta, poteva godersi i frutti della vittoria, e rimanere arbitra dei patti della pace. Per impedire che la guerra, dopo che la Russia era stata vinta in Crimea, si riaccendesse sul Danubio e sul Baltico, rendendo inevitabile l'insorgere delle nazionalità oppresse, essa aveva imposto alla Russia esausta, i famosi quattro punti che formarono la base della pace di Parigi. Tra questi vi era il protettorato delle Potenze sui Principati Danubiani; protettorato che sarebbe stato esercitato di fatto dalla sola Austria, che avrebbe così .::.stesosempre più la sua malefica influenza dal Mare Nero all'Adriatico e al Mediterraneo. Nè ignara , nè indifferente a questo pericolo era la Diplomazia sarda, del che è prova la nota del Cibrario agli ambasciatori d'Inghilterra e cti Francia, nota che metteva in chiaro il pericolo a cui si trovava esposto l'equilibrio europeo per effetto di questa preponcteranza dell'Austria. E Cavour stesso, alludendo al proprio motto cc riforme o rivoluzione» didichiarava in Parlamento impossibili le riforme, la diplomazia essendo impotente a cangiare le condizioni dei popoli soggetti a despoti prepotenti, e capace s?lo a cc riconoscere i fatti compiuti ». Fatti dunque ci volevano; e a fatti forti Mazzini chiama va gl' Itali ani. Avvenuta la partenza degli Austriaci dalla Toscan :t, dopo un soggiorno feroce di parecchi anni, in seguito alla loro entrata nel 1849 per riporvi il Granduca sul trono, era manifesto il ribrezzo e il disprezzo di tutti i Toscani per il sovrano che - fuggiasco durante la seconda campagna di Carlo Alberto, finita col disastro di Novara - vi era tornato cinto di baionette straniere, costringendo i suoi sudditi al doppio giogo dell'Impero e della Chiesa. Una rivoluzione per rovesciare la dinastia di Lorena sembrava possibile, anzi probabile. I livornesi, fieri e maneschi, non avevano risparmi~t? al Duca ~reditario, t?rnat~con_la nuova sposa a ns1edere a Livorno, segm mamfest1 del loro odio e del loro disprezzo. E livornese era Adriano Lemmi, di fede unitaria inconcussa, e in cui il pensiero andò sempre congiunto all'azione. Egli fin dal 1840 aveva lavorato con Mazzini per la redenzione della Patria, ricevendo in casa di suo padre Fortunato, noto negoziante, le corrispondenze e le stampe clandestine, e raccogliendo e dando danaro per il fondo nazionale e per l'acquisto di armi. Ora dimostrava i vantaggi della scelta di Livorno, quale base delle operazioni. Egli godeva tutta la fiducia di Mazzini come quella di Garibaldi, avendo egli condotto a proprie spese Manara e la sua legione. Nel '52 andò a trovare Kossuth prigioniero nella Turchia con proposte di Mazzini per il lavoro da farsi coi soldati Ungheresi al servizio dell' Austria in Lombardia; e là avendo ricevuto il famoso proclama lo distribuì fra essi il 6 Febbraio. Del pericolo corso da lui in quei giorni a Milano non è stato ancor detto. La sua casa in Genova, con uscita sul mare , servì di nascondiglio e di salvataggio a molti dei complici ricercati invano dal governo Piemontese per placare gli sdegni del1' Austria. Ora egli mise a disposizione di Mazzini i mezzi per operare, possedendo egli parecchie barche e bastimenti, e potendo contare in Costantinopoli su duecento uomini a ·mati e pronti a scendere sulle coste napolitane. L'idea era di uno sbarco a Livorno con militi, essendo certo che i livornesi sarebber9 stati pronti all' appello di qualsiasi provincia insorta. A Mazzini sorrideva la proposta. Ma Pisacane dal principio alla fine vedeva nella sola Genova il porto donde salpare per il Sud e portare aiuto ai suoi compatrioti con ragionevole speranza di successo. E Lemmi sempre pronto a dare e faredolente, punto convinto della prudenza del nuovo progetto --si arrese nondimeno e fece quanto stava in lui per secondarlo. Nel settembre del '56, pregata dalla Società degli Amici d'Italia, riorganizzata in Londra dopo la conclusione della guerra di Crimea, mi recai a Genova per conferire con Mazzini, intorno al programma delle conferenze che Saffi cd io dovevamo tenere nelle città dell'Inghilterra e della Scozia a pro della indipendenza italiana. Io poi desiderava rivedere Garibaldi, che avevo conosciuto personalmente a Nizza nel 1854-55, e che era stato ospite di mio padre, nella primavera del 1856, quando egli era venuto in Inghilterra per vedere suo figlio Ricciotti affidato alle mie cure, e per intrattenersi con Panizzi, direttore del Museo brittanico, intorno ad un progetto ideato da Sir William Temple, ministro brittanico a Napoli e da Sir James Hudson, ministro a Torino, per liberare Poerio e Settembrini dalle prigioni di Santo Stefano. Nel breve soggiorno che feci nella cc città superba,, vidi Mazzini ora in una, ora in un'altra modesta casa di popolani, ora nella casa abitata da Pisa~an~ assieme all' adorata figlia sua Silvia, e alla d1 lei madre Enrichetta. Talvolta essi discutevano intorno ai due programmi; Pisacane insisteva per l'unione di tutti i mezzi e di tutti gli sforzi in Genova per effettuare una spedizione al Sud, obbiettando che la Toscana non era atta ad una rivoluzione, e che Firenze e le altre città toscane non avrebbero secondato un movimento iniziato a Livorno, i livornesi . non essendo amati, ma assai temuti dagli abitanti
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