Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno XI - n. 9 - 15 maggio 1905

RIVISTA POPOLARE 241 membra politiche ed economiche - e pot·rei aggiungere anche filosofi~heed artistiche - del nostro corpo sociale, si disgregano, si separano per formare un corpo sociale diverso. Le agitazioni della massa lavoratrice - ancorchè oggi disordinate ed inconsulte - debbono dire a quanti studiano attentamente il fenomeno sociale , che domani queste masse ancor. più fortemente organizate che oggi non s ieno, meglio e più coscienti della loro volontà, dei loro interessi, dei loro fini, più intelligentemente dirette saranno diventate una forza irresistibile e coopereranno a che la trasformazione ddl' organismo sociale sia completa. Da questa considerazione - considerazione di fatto indiscutibile - scaturisce un dilemma; o continuare a comprimere rassegnandosi poi, quando l' ora sia giunta , e quando la forza delle cose abbia creato circostanze inevitabili, ad essere spettatori, attori o vittime d' una spietata e feroce:rivoluzione, o cooperare a che sorgano organismi che si;n0 stru• mento ed aiuto di questa trasfor,nazione; che la dis~iplinino in modo da permettere al mutamento delle condizioni sociali di farsi lentamente, ordinatamente, pacificamente. L' Istituto Internazionale d' Agricoltura è appunto uno di questi strumenti; e la sua importanza più che nelle statistiche, nel1' ufficio meteorologico, nelle informazioni e negli studii, stà io questo suo scopo ed ufficio più grandioso e progressivo. Voi non avete veduto questo, almeno dalla vostra critica non appare, e questo non fa onore alla vostra ben nota oculatezza di studioso di cose economiche. E lascio da parte , dopo quel che precede, la vostra affermazione allegra a proposito dell' ufficio e dei patronati per l' emigrazione. Non più tardi del giorno 14 del mese scorso alcuni giornali facevano sapere che « molti operai italiani fanno capo a Trieste per lavorare a certi impianti ferroviari in Austria , impianti che realmente ci sono ma per arrivare ai quali la stazione di Trieste è la meno indicata ». E i Patronati ? Ci vuol ben altro, egregio commendatore, che l' opera di gentìli signore che parLrno di emigranti sgranocchiando un biscotto e sorseggiando una tazza di tel , e ci vuole anche molto di più del nostro e degli altri incompleti e disadatti ufficii di Emigrazione. Ma io non ho da fare qui la difesa all'iniziativa del re. Ho voluto soltanto constatare che voi la combattete troppo superficialmente, quantunque la vostra critica sia la più seria di quante ne sono state mosse fin' ora a questa iniziativa. E la combattete troppo superfici,1lmente perchè non potete , nè alcuno potrebbe , negare il fondo di giustizia che essa porta con sè; perchè non potete infirmare la verità dei fatti, perchè non potete ignorare che l' iniziativa del re, rispondendo ad un bisogno universalmente sentito, ha raccolto il plauso della classe agricola di tutti i paesi. Dai più retrogradi ai più pro· grediti , dai più poveri ai più ricchi. IL che , mi pare, deve pur significare qualche c"sa. Voi terminate l' articolo esprimendo la speranza - logica in un difensore degìi interessi che difendete - c:1el'Istituto si risolva in un ufficio d' informazioni il quale pubblicherà ogni anno qualche volume letto e conosciuto soltanto da una mezza dozzina di studiosi. Vi dirò che non mi sorprenderebbe se fosse cosi, al principio. Sono certo che non siete solo a desiderare questo e a sperarlo; ma , vedete c0mmendatore, ci sono delle idet! destinate a fare come la pallottola di neve che si stacca dall' alto della montagna e scendeud~, la eh iua ingrossa e, strada fact~ndo,spazza via, come pula al vento, gli ostacoli. L' idea di Lubin è di queste tali idee, e l' iniziativa reale che la traduce in atto, è destinata a sorte migliore di quelh che parecchi monarchici, voi non escluso, le desiderano. Con quali risultati, poi, lo vedremo a suo tempo. A. AGRESTI I1 oo:n..tadi:no russo Che cosa sappiamo noi del contadino russo, del suo ca.rattare, dei suoi costumi, della sua esistenza? Forse a un dipresso, ciò che saprebbe un Russo del contadino italiano, se egli se ne facesse un'idea dalla nostra letteratura. Ma il contadino russo è cosi diverso dal nostro contadino, che l'analogia non può, in alcun modo, facilitare le nostre investigazioni. Se il contadino, del resto, nella letteratura russa moderna, occupa un posto importante, questa letteratura, in cui egli è studiato , noi non la conosciamo punto. Noi dobbiamo contentarci delle notizie sparse in qualche opera di Tolstoi, di Oekov, .di Tnrgheniev, di Corolenco, di Gorki, e del bellissimo libro di Recetnicov: Que~li di Podlipnaia. Noi non possiamo lèggere in una traduzione che non esiste, le pitture raccolte e annotate da altri autori come Nicola Uspenski , Sleptzov, Levitov, Zlatovrasky, Ertel, Caronin, ecc. E poi, il contadino russo prima dell'abolizione della schiavitù si presenta egli· sotto i medesimi colori del mugìk dei nostri giorni ? Questi non è rimasto, agli occhi dei narratori, e l'ignoto misterioso • di cui parla uno degli eroi di Turgheniev ? A tal riguardo, si può rispondere affermativamente. Se i narratori moderni riproducono a un dipresso le osservazioni dei loro maggiori, è perchè il contadino emancipato quarantaquattr'anni sono, vegeta nè più nè meno come lo schiavo. Secondo la legge del 19 febbraio 1861, i proprietari fondiari, senza essere privati dei diritti di possesso dei loro beni, dovevano concedere ai contadini emancipati il terreno occupato dalle loro case e una parte delle terre coltivabili, delle praterie e delle foreste. Questa disposizione che, a prima vista, sembra capitale, in realtà, non modificò menoma.mente le forme esteriori della. vita del contadino russo. Egli rimase impenetrabile, enimmatico, pieno di contraddizioni - contraddizioni che nessun· osservatore potè mai comprendere. Egli è l' X, « l' igognito misterioso ~ del problema che si deve risolvere e che dovrà necessariamente, presto o tardi, essere risolto, da poi che settantacinque milioni di contadini esercitano pure sulla situazione economica d'un paese che, quarant'anni sono, era ancora esclusivamente agricolo, un' influenza punto trascurabile. Una trasformazione, oggi, è presso a comp1ers1; ma sarà essa a profitto della terra? La schiavitù aveva raggruppati i contadini in comunità distinte, e sono queste comunità, o mirs, che, senza migliorare la sorte del contadino, Alessandro II favorì. Ma, in quell'epoc~ appunto, si formò un proletariato rurale, che si sviluppò in sèguito costantemente, il quale spinse verso le città e verso le industrie nascenti i coltivatori scoraggiati. Alcuni economisti politici resero l'istituzione comunale responsabile di questo triste 1·i1mltato, e qualche loro critica parve fondata. Divenuta J:,roprietaria delle terre divise, mediante rendite annue pagabili al Tesoro, la comunità non prese veramente coscienza della sua responsabilità collettiva che di fronte al fisco - il suo nuovo signore e padro-

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