RIVISTA POPOLARE 189 l'ardua impresa di giudicare una cosa coi cri terii che spettano ad un altra. > Perchè, io non pretendo di giudlcare un'opera d' arte esclusivamente col criterio morale, ma. anche col criterio morale. Insomma, io dico una cosa semplicissima: cioè che ogni cosa si debba giudicare non solamente in sè, come campata i~ aria, ma anche in relazione con le altre. Una colonna può essere bellissima in se , e non armonizzare col resto dell'edifizio; non sarà questo, per il critico, una disarmonia, quindi un grave difetto? E, nel caso nostro, l' edifizio è il progresso umano I Se ìo voglio dare un giudizio completo dell' Italia, debbo restringere le mie osservazioni fra i limi ti di essa, o accennare anche alle nazioni con cui confina ? Parlerò solo del suo commercio interno , o anche dei suoi commerci con l'estero? Solo della sua politica interna, o anche della sua politica estera, e della sua situazione internazionale? L'Italia è oggi indipendente dall'Austria : ma questo non vuol dire che essa abbia il dritto di violare i confini dell' Austria, o di mancare ai riguardi di buon vicinato. E se voi volete accordarvi con me, che l' indi pende11za dell'ai·te dalla morale si debba intendere per l'appunto in questa maniera, come s' intende l'indipendenza dell'Italia dall' Aust1·ia , cioè come una formola che non escluda anzi includa il vicendevole rispetto, eccomi pronto ad accettare la vostra formola : purchè, beninteso, si trovi un modo pur che sia di riparare al grandissimo male già avvenuto, per cui la indipendenza dell'a1·te è degenerata nell'abusivo diritto dell'arte di ca.Ipestare ogni momento la morale , e per cui l' arte dominante è divenuta la più abbietta nemica del dovere e la glorificatrice del vizio. A questa condizione accetterei la vostra formola, non ostante che l'addotto esempio dell' Italia e dell'Austria non calzi giusto a capello, e le relazioni fra l'arte e la morale siano ben altrimenti intime e complicate; tanto che, per dare un'immagine più esatta della situazione reciproca; bisognerebbe immaginare un'Italia quasi tutta intorno circondata da territorio austriaco. L'arte è espressioue di vita, la morale è ideale e norma di vita: come è possibile quindi rompere fra loro ogni relazione? Scindere fra loro organi vi venti significa disseccarne le sorgenti vitali. O nemiche, o alleate, non c'è per l'arte e la morale via di mezzo. È inutile che l'Arte dica alla Morale: « Non intrigarti nei fatti miei, bada ai tuoi! > e Ma i fatti miei sono appunto quelli degli altri>, risponde la Morale: e il criterio mio io non posso applicarlo a me stessa: o si applica agli altri, o esso non serve a nulla I > Infatti, se noi immaginiamo una società futura perfetta e felice, noi non possiamo immaginarla diversamente che regolata in modo, che la morale, diventata quasi legge istintiva dal duvere: sia supremo limite e guida a tutte le energie individuali e sociali. Allora l'arte, la politica ecc., saranno in un certo senso, altrettanti capitoli dell'etica. Snlus humana sup1·ema lex est. Allora ci sarà matematicamente evidente la vera legge del bene, la vera legge del bello, delle quali ora abbiamo solo incerte e contradittorie intuizioni, e anche la loro vicendevole alleanza e gerarchia. Allora sapremo i certi e supremi segni della vita, e sapremo tutto subordinare a quelli. Per ora non possiamo che indirizzare la vita a ideali provvisorii, non possiamo che formulare delle teorie più o meno approssimative, che ci valgono a rischiarare il cammino come fiaccole che mal suppliscono la desiderata luce del sole. Ma non voglio cedere alle seduzioni del tema, e mi fermo. Ho voluto scrivervi, non con la presunzione di far mutare idee ad un dotto come voi, che sull'argomento avete convinzioni formate da tante letture e studii e da tanto pensiero ; ma vi ho scritto con ]a speranza di provocare da voi una risposta, per la quale il mio pensiero riceva luce ed eccitamento dal vostro. Mi contenterete? O si o no, credetemi sempre Vostro aff mo Salerno 7 aprile 1905. Grov ANN r LANZALONE Il I Il II I 111111111 I Il 1111111111111111111111 lii ll l li ll I li ll lii li lll li I Il ll li I ll lii lllUIIIII KIYIST A DELLE KIYISTE ----~---- Ulò che hanno mandato gl' Italiani dagli Stati Uniti e etò che vi posseggono. - Abbiamo ricordato nel numero precedente della Rivista l' articolo di C. Dondero nella Rassegna commerciale di S. Francisco di California. Dal medesimo togliamo queste notizie sulla condizione degli Italiani negli Stati Uniti, che riusciranno certamente non sgradite ai nostri concittadini. Lasciamo pure la nota patriottica, che in ultimo vi ha aggiunto e che davvero non guasta. li Dondero rivolgendosi all' on. Pantano scrive: u Vedi Pantano? Quel brulichio immenso, appena discernibile, nelle tenebrose e mefitiche viscere della terra, sui campi infuocati, nelle malariche pianure, nelle frementi città, sui fiumi, sui laghi, sui monti, nelle foreste, nelle ubertose valli , ovunque, quanti italiani contiene? Le statistiche d'Italia non vanno più in là del 1876. Secondo esse da quel!' anno al 1902, in 26 anni, r ,030 mila italiani fissarono la lorò permanente dimora negli Stati Uniti. Le · statistiche americane ci dicono, invece che furono 1,280 mila. Nel 1876 si sa che ve n'erano già circa 300 mila. Nel 1903 e 1904 ne vennero altri 450 mila, di cui certamente oltre la metà non ritorneranno più in patria. Sarebbero così molto più di 1,800 mila. Ma io non amo far torto nè alle statistiche d'Italia nè d'America. Faccio, quindi, un gran taglio: fisso gli italiani ora permanentemente negli Stati Uniti a 1,250 mila. (( Le statistiche commerciali presentan fenomeno ancor più strano. Le italiane, dal. 1871 al 1896, confondono il commercio per e dagli Stati Uniti con quello del Canadà, e, per più anni, anche del Messico. Secondo c:sse, dal 1871 al 1902. l'Italia esportò per gli Stati Uniti merci per lire 2,261 milioni, ed importò per 2,935' milioni. Secondo le americane, in quel periodo di tempo; l'Italia avrebbe preso dagli Stati Uniti merci per lire 2, 2 r 2 milioni e dato agli Stati Uniti, esclusi Canada e Messico, per 2,408 milioni. Dal 189 r al 1900, ad esempio, secondo l'Annuario d'Italia, agli Stati Uniti diedero ali' Italia per lire 1,734 milioni e ne presero per 1,312 milioni ; mentre le statistiche ufficiali degli Stati Uniti, ci dicono che l'Italia mandò qui merci per 1,116,265 mila, e ne prese per 979,450 mila. Aggiunti gli scambi del 1903 e 1904, dal 1871 a tutto il 1904, l'Italia avrebbe preso , secondo le statistiche americane, per lire 2,537 milioni, e dato per 2,783 milioni; ciò che fa complessivamente 5,320 milioni d'affari. " Gl' italiani hanno, se non ho errato nel lungo ed improbo lavoro di ricerca, 5,300 negozi frutta e legumi, 182 dei quali di colossali proporzioni; 4,900 negozi di alimentari, di cui 230 di primissima importanza; 4,150 liquore.·ie, 82 delle quali rappresentanti un capitale di forse lire 150 milioni; 220 fabbriche
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