RIVISTA POPOLARE 129 not1z1e di segreti la cui rivelazione può recare nocumento » ha diritto al segreto professionale. Evidentemente !'.egregio professore, che con piacere annoveriamo fra i nostri maestri di diritto all'Università, parla del segreto professionale del giornalista alla stessa stregua di quello degli altri professionisti. E in ciò secondo noi, lo diciamo francamente, (codesta franchezza non può spiacere al nostro maestro) consiste l'errore del Napodano. Secondo lui, in conseguenza, il giudice deve rispettare il silenzio del giornalista come quello degli avvocati, medici, farmacisti e lev,1trici. Talchè, siccome questi professionisti, nella grande generalità dei casi, non rivelano le confidenze ricevute o le circostanze conosciute ad alcuno e in nessun modo, il giornalista non potrà avvalersi del suo giornale per divulgarle, -trovandosi, di fronte alta legge, nelle stesse condizioni dei professionisti nominati (1). Ma allora dove se ne va l'azione del giornalista ? Vuol dire che se a un giornalista si denuncia , in confidenza, che un pubblico funzionario conculca i suoi più sacri doveri, esso giornalista non può svelare il segreto, conosciuto a causa. della sua professione, nemmeno. alla giustizia. Allora, il teste Lanza non avrebbe potuto essere obbligato a svelare la circostanza Sbertoli, qualora egli stesso spont:meamente non l'avesse comunicata, perchè: - segretoprofessionale. Ma ci si dica: se un giornalista è tenuto al segreto in osservanza al divieto del1' art. 163 cod. pen. come potrà egli esercitare il diritto sacrosanto di libera censura sul pubblico funzionario, quello stesso diritto a cui ci richiama anco il Napodano ? Se cosi si dovesse intendere il segreto professionale del giornalista , noi per i primi, ne saremmo contrari e quasi saremmo indotti a sottoscrivere il concetto del!' Alberici , secondo il quale giornalismo e segreto sono due termini che si elidono. Di qui la necessità di specificare il segreto professionale del giornalista di fronte a quello degli altri professionisti. Ci rifaciamo all'incidente del processo ricordato. · Francesco Lanza, nel!' udienza 4 dicembre 1903 al Tribunale di Roma, teste di difesa, avendo svelata la mediazione dello Sbertoli nel trust siderurgico italiano, ]'avv. Caveri della parte civile chiese come fosse nota al teste tale mediazione. Lanza ris!)ose che dello Sbertoli ebbe notizia da « persona insospettabile », che non poteva nominare. D' onde l'incidente procedurale; Girardini pose la questione del segreto professionale ; il P. M. domandò che l'istanza della difesa fosse respinta, perchè la qualità del giornalista non era indicata nel codice. Motivo troppo gratuito , davvero , per un rappresentante della legge, al. quale non poteva essere ignota l'ultima parte dell'art. 288 p. p., invocato, cc.... e ad ogni altra persona, a cui per ragione del suo stato o della sua professione fu fatta confidenza di qualche segreto ». Il tribunale, con ordinanza, costrinse il Lanza a dire il nome che fu, come ognun rammenta, quello del Comm. Emilio Cerrutti da Genova. Il Tribunale, come appare dal testo della sua (I) Sul segreto professionale dei medici vedi l'ultimo lavoro, assai buono, in 'TJeutscheJuristen-Zeitung, 19041 pag. 1014 e segg. del Simonson e comp. la recensione in rivista « La legge it anno 1904, 16 dicembre, col. 2493 e 2494. ordinanza, non ravvisò odia specie il nesso di causalità tra la professione giornalistica e la fatta domanda, ma coL più grave errore. In quanto ]a professione del giornalista non va considerata solo dal punto di vista della cronaca giornaliera , in base alla quale niun potrebbe . concepire un diritto al segreto professionale, com' à fatto il tribunale, sulle orme di una sbagliata dottrina e giurisprudenza belga (1), perchè il giornale, lo abbiamo già detto in principio , è ormai vira , scuola delle nazioni e vigile supremo delle pubbliche amministrazioni, su cui esso esercita e deve esercitare la censura. Ammesso questo concetto della professione del giornalista (2), bisogna interpretarne il segreto professionale nel senso che esso_ gli renda più facile, agevole e sicura detta missione. E per ciò noi, 1 ungi dal considerare il giornalista come gli altri professionisti, sosteniamo che il cc diritto » del segreto professionale deve intendersi nel senso che il giornalista non é tenuto , a sve'lare la fonte della notizia saputa , a nessuno e in nessun modo. Con ciò, ci riferiamo alla distinzione tra la notizia in se stessa e la fonte della informazione, accennata ·già dall' egregio Bianchi (non lo ignoriamo) ; rispondendo agli obbietti fottigli dai suoi colleghi e parrebbe che, in massima, egli ammettesse la non rivelabilità della fonte informatrice. L' Alberici esprime convincimento opposto alla distinzione, nella quale, sempre in omaggio ai concetti esposti sulla funzione giornalistica , noi facciamo invece· consistere la nostra tesi. Secondo l' Alberici non è luogo a differenti discipline secondo che si tratti della notizia nel suo contenuto o nella sua origine; ma ciò che conviene ricercare , egli osserva, ccè se l' una e l' altra cosa sia rivestita di tale carattere confidenziale per cui meriti di salire all'onore del segreto professionale ». Ma perchè non ammettere codesta distinzione che dalla giurisprudenza prevalente è ammessa in materia di deposizioni degli agenti di Pubblica Sicurezza ? « Se la suprema legge ccsalus pubblica », scrive l'egregio Magistrato di Milano, può spingere a malincuore magistrati e giuristi a proteggere col segreto professionale il tramite per cui un'informazione è giunta a notizia della polizia - il che, del resto, è ammesso senza contestazioni in Inghilterra, nazione che si suol citare a modello di procedimenti liberali - certo nessun motivo consimile può consigliare o giustificare il segreto pei giornalisti ». Davvero? Dov' è la grande diversità tra la situazione dell'agente di pubblica sicurezza e il giorna- (1) Cfr. Nypels, Législ. crim. t. III; Beltjens, Enciclopedie du droit crimine! belge, 2.e partie; Rev. du droit beige, t. I,er, citati anche dal prof. Napodano. (2) Siamo lieti che questo concetto corrisponda a quello dell' Itatico, esposto nella Tribuna ( 3 gennaio I 905) in un bell'articolo sulla diplomazia e giornalismo, scritto in occasione del discorso che il signor Barrère pronunciò ricevendo la colonia francese a palazzo Farnese. In quell'articolo, a cui possiamo richiamare l' attenzione del lettore, soltanto ora, mentre correggiamo le bozze , l'egregio pubblicista osserva che nessun'altra carriera come la giornalistica esige cosi vasta e çomplessa conoscenza -dei fatti, delle loro cause, degli uo• mini nei quali s' impersonano, delle masse che li subiscono - o da cui provengono ; nessuna provoca e rende inevitabili tanti e si diversi contatti. E guardando a quanto oggi avviene in tutto il mondo più o meno civile, vediamo anche che nessun' alti-a professione esercita tanta influenza sui più oppo~ti casi individuali e nazionali.
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