.> 584 RIVISTA POPOLARE dramma raccapricciante, pel livido ambiente del sotterraneo scrostato , famoso , sporco , cucina e dormitorio , stanza da pranzo ed officina ad un tempo: è il ritrovo di tutte le miserie, di tutte le viltà, di tutte le ignominie; è la fogna, è la bolgia, dove vanno a ctscare tutti i rifiuti, tutti gli scarti, di tutte le classi sociali ; e tutto quel mondo è il vero protagonista del dramma, nel quale i personaggi non ne rap· presentano che i vari, anzi infiniti lagrimevoh aspetti: c' è infatti il padrone dell'orrendo locale, Michele Ivauovich Kostilow, uno strozzino brutale e feroce, con sua moglie Wassilissa, una cagna dissoluta e bramosa; c'è Medwiedew, loro zio, lo sbirro manutengolo, beone e venale; c' è Pepel Wasika, ladro di razza· e di vocazione; c'è il magnano Klechtch, buono , "in fondo , ma reso crudele e violento dalle torture dell'esistenza dannata ; c'è Nastj a, caduta nelle più turpi bassure della prostituzione, anche lei per fame e per bieca necessitii di destino; c'è Bubnow, il berrettaio alcoolizzato; c'è « il comico», precipitato lui pure dagli splendori della ribalta alle tenebre di quell'antro, per opera del!'acquayite; c'è « il barone >>, reso mez_zo scemo dai rovesci che l'hanno tra- .volto di precipizio in precipizio fino a quel baratro; c'è Satin un altro sciagurato, piombato laggiù dalle altezze dell'onnipotente burocrazia russa, attraverso il delitto ed il carcere, e· il quale ora vive barando e truffando al minuto; e c'è anche Luka, · il viandante , il filosofo errabondo, il buon genio dei miseri, che tra quei deboli, va quegli straccioni, tra quegli affamati, tra quei vinti, tra quei ciechi, brancolanti nell'impotenza e nell'incoscienza, reca .un raggio di luce spirituale, una parola di conforto, di speranza, di r~denzione .... E tutto ciò rappresentato rapidamente, vivamente, rudemente , per scorci arditissimi , per tocchi analitici, che rag- . giungono la potenza di sintesi decisive. come può fare soltanto chi, come il Goiki, abbia occhi di primitivo per osservare e viscere di raffinato per assimilare, tradurre e rappresentare. w E il passaggio a Pietro KROPOTKINviene naturalissimo : le sue Parole d' un ribelle, stampate in italiano a Ginevra, non sono che l' ultima , o la penultima , metamorfosi delle impressjoni angosciose del Gorki: tutto, in questo libro , è discusso e negato in base alla premessa indiscutibile, che una società dove sia possibile ad esseri umani cadere e restare in una condizione cosi bestiale, è una società in isfacelo, indegna di perpetuarsi nel tempo e nello spazio; onde la necessità, la fatalità della rivoluzione, che abbatta ogni cosa é tutto ricostruisca secondo un piano r~dicalmente nuovo. Per parte mia non ci ho nulla in contrario: tutta la parte negativa della dottrina, non dirò anarchica, poichè questa parola. viene di solito intesa in un senso convenzionale ed erroneo, ma individualista e libertaria, mi convince fin troppo, tanto che fin da bambino l'avevo confusamente, per istinto, nel sangue e nei nervi ; ma sulla parte catastrofiu e ricostruttiva., faccio tutte le mie riserve: per la rivoluzione violenta, sanguinosa, vendicati va, che molto probabilmente scatenerebbe sul mondo la belva umana incosciente, e sia pure prodotta ed inferocita nei secoli dalla tirannide borghese, io non ho proprio nessuna simpatia; è un'altra, la rivoluzione che io sogno: è quella delle cqscienze: è quella che nascera, crescerà, trionferà, con la redenzione morale eJ intellettuale del proletariato : con l' intensificazione del valore degl' individui d'ogni ceto; col dare ad ognuno un tal sentimentù di dignità e di iniziativa e di responsabilità, da renderlo ingovernabile da altri fuorchè da sè stesso. È in questo senso, ed in questo solo, che anch'io sono anarchico, e che in questi giorni di frenesie elettorali non vado a votare : a chi mai, di tntti costoro, vorrei io largire spontaneamente il diritto di fare le leggi che mi governino? Ohibò 1 w Ed è così, che ho scorso, sorridendo spesso ironicamente, la trentesima (dico la trentesima(!) edizione del libro di MANTEA, Le buone usanze (Torino, Streglio, L. 2), che, come si sa , è una specie di galateo moderno con tutte le regole del contegno per i fanciulli, pei giovinetti, per gli adulti, pei vecchi; a passeggio, in visita, in società, in teatro, in viaggio, a nozze, in albergo, in villa, ai bagni, in ufficio, a tavola, e persino ..•. a letto. Ora io ritengo che quella del contegno (non dico della condotta) sia un'arte come tutte le altre, e che richieda della vocazione: c'è, in tutte le classi sociali, il gentiluomo nato , come c' è il mascalzone; c' è il principe consorte che picchia brutalmente la g_iovane sposa , e c' è il facchino che reduce a sera dall'aver fatto per quindici ore la bestia da soma, bacia galantemente la mano- a sua moglie: per l' uno e per l' altro , le regole sono superflue : valgono invece, lo riconosco, per le trentamila marionette, che per muoversi hanno bisogno che un uomo, un uomo vero, tiri loro i fili dall'alto, e per parlare, che una voce superiore formuli essa le loro parole. Ma questi fantocci son bene la gran maggioranza degli uomini, come i copisti, gli amanuensi, i tralucidatori , sono , ahimè, la maggioranza enorme dei cosl detti artisti : per essi , è bene che si stampino , a molte e molte migliaia, i galatei delle buone usanze, del bello scrivere, della corretta pittura, della simmetrica costruzione : se no, quando e come oserebbero muoversi, costoro ? E che ne sarebbe della religione, se Mantea non prescrivesse che a capo del letto della signorina trionfi ui;ia madonna, un crocefisso, o qualcosa di simile, senza di che la donna << è come un fiore senza profumo, una cosa incompleta, un'anomalia >>? E termino con l' annunziare un libro assai meno poetico, forse , ma molto più pratico , La via della fortuna, di G. G. MILLAR (Milano, Pallestrini), tradotto e pretazionato egregiamente dal nostro Antonio Agresti: non è affatto, come potrebbe credersi a prima giunta, un manuale d' egoismo e di sfruttamento per arricchire: è un'opera, nel suo genere, piena d' idealità e di slancio simpatico ; é , dalla prima all' ultima pagina, un inno al lavoro onestamente gagliardo, all' iniziativa prudentemente ardita, a quell'affermazione d'individualitn e di responsabilità personale, anche nell'industria, nel commercio, negli affari, che or ora io propugnavo nella politica nella morale , nel contegno; e raccoglie in piccola mole Li quintessenza, la filosofia, dell' operosità veramente moderna, l'estetica, l'etica e la logica della vita nuova economica, della lotta d'ognuno e di tutti contro la povertà inerte, contro il fatalismo incolto ; e largisce, in forma facile e spiccia, come conviene a chi non ha tempo da perdere, i tesori dell'esperienza accumulata nell'opera assidua e vittoriosa, a tutti gli uomini di salda fibra e di buona volontà. Chieti. MARIO PILO 111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111 ~IVLSTA DELLE ~IVlSTE ----~---- Giusto Calvi: Paradossi elettorali. - Il fenomeno più saliente di queste elezioni è - chi ben guardi :-- l_alotta sapiente e accanita che democratici pit'i o. meno_ rad1~ah e socialisti co:;ìdetti riformisti muovono ai nvoluz10nan, repubblicani o socialisti estremi. A Milano il fatto è di evidenza immediata. Parrebbe che la dissoluzione dei Partiti Popolari avesse l'unica mira di espellere le frazioni est_ren:i,e, co1~servando un tacito patto fra le più m0derate fraz10m d_el n~ormismo democratico e socialista. Difatti la democrazia milanese reca fra i suoi candidati i socialisti riformisti proL Majno e avv. Turati, escludendo l'ex de_putat? J?e A~dr_eis, repubblicano. E le concioni elettorali dei soci_alnform1st1, e gli articoli del loro giorn~le sono, ~iù ~h~ ~ltr?, un~ be'.1 nutrita ed aspra requisitoria contro i sociah~ti n:7oluz10uai:1, Con tutto ciò non credo che i conservatori e clu non abbia
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==