Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno X - n. 19 - 15 ottobre 1904

RIVISTA POPOLARE 521 liardi e 70 milioni; ciò che dà un prezzo medie di 327,000 lire a chilometro, che è più di quante• dovrebbe costare se fosse tutta di montagna. Infatti io ho dimostrato in varie mie pubblicazioni che il costo di costruzione presso gli altri principali Statj di Europa varia fra le 80,000 lire a chilometri, per terreni pianeggianti, alle 250,000 per terreni fortemente tormentati, cioè io media lire 170,000 a chilometro, e che quindi le nostre ferrovie costarono il doppio di quanto dovevano costare, e di quanto valgono. Sono dunque due miliardi e mezzo di maggiore costo, e non già un miliardq solo, come crede il Morbelli. E questo soltanto, spiega il derisorio e disastroso interesse di 0,82 °y0 (non 0,32 come dice l'articolo) che esse ci fruttano. Dove il Morbelli ha ragione è nell'escludere che la causa della forte e sproporzionale (non già proporzionale, come egli dice) nostra spesa di esercizio_ sia dovuta alla povertà del traffico. Ma erra poi nel. far pesare, con calcoli. in parte inesatti, l'nuica origine di tale alto coefficiente di esercizio sulla scarsa applicazione del sistema di esercizio economico nelle linee complementari; perchè queste non affrancheranno mai le reti principali dalle conseguenze dell'attuale esercizio privato. Nè, per ultimo, si accorge il Morbelli che il suo paragone coi iisultati della Nord-Milano si ritorce contro la tesi dell'esercizio di Stato, che egli con noi propugna; come non si avvede che la sua c-0uclusione, in cui fa « obbligo imperioso « allo Stato di compiere l'intera applicazione del regime eco- « nomico sopra tutte le linee locali ed interprovinciali, prima « di pensare a nuovi contratti d'esercizio farebbe passare non solo il 30 giugno 1905, ma molti altri 30 giugno, senza che da noi si fosse potuto provvedere al nuovo ordinamento ferroviario ? Questi ed altri semplici rilievi di fatto, che ogni competente in materia ferroviaria av1à potuto fare leggendo l'articolo del Morbelli, provano che, pure avendo tutte le ragioni . del mondo nel principio che sostiene , egli getta, come si suol dire, sassi in colombaia. Di cuore, Vostro aff.mo N. N. Il lii 1111111111111111111111111111111111111111 lllll 0111 llllllHlì U 111111111111111U111111 LE NOSTRE COLONIE l?er una " più grande ,, Italia Nello Stato di San Paulo II. Rio de Janeiro, luglio 90-1. Ono1·evole amico, Vi avevo da poco inviato la mia prima lettera quando giunsero qui da Roma notizie che sembravano consolanti per noi italiani. Sembrava cioè che il Commissariato dell'Emigrazione fosse proprio li lì per provvedere in qualche modo alla protezione richiesta, necessaria, urgente, dei nostri connazionali residenti in Brasile. Si sperava che a Roma si fosse finalmente intesa la grande verità. E la verità , come vi ho accennato l'altra volta è questa: nel Brasile si potrebbe formare una più grande Italia. Superfluo ripetere ai nostri intelligenti lettori che io parlo di provvedimenti economici , che tendano a rafforzare di commerci di lavoro e di opere le colletti vi tà nostre, e di provvedimenti amministrativi che tendano a dare ai nostri Consolati forza nel loro còmpito, maggior consapevolezza della loro missione. Fui ingenuo? Ma santo iddio ! Come mai dovevo credere che si volesse perdurare nella vecchia e colpevole inattività? Aggiuugete che la buona illusione era giustificata, che la speranza era del tutto legittima, poichè, come sapete, il Commissariato av6va incaricato jl Console Generale dì San Paolo e "il signor Salemi-Pace di studiare e di riferire sn ciò che fosse possibile tentare ed attuare nel Sud del Brasile a vantaggio dei nostri. Dunque aspettavo, col più vivo desiderio in cuor mio che le mie lettere a voi avrebbero avuto altro tono e altra ispirazione. Ahimè! sono costretto a continuarle come avevo purtroppo immaginato che sarebbero uscite dalla mia penna: piene di triste7,za per l'incoscienza che dimostra e nella quale perdura il Governo del nostro Paese. E continuo. ♦ Dicevo che Hel Brasile c' è posto per ancora due o trecento milioni di uomini; che gli abitanti che conta il Brasile - 18, 20, o 22 milioni - sono una cosa ridicola rispetto all'enorme estensione delle terre brasiliane ; e che i nostri connaziona)i non saranno più di un milione e 200,000 in tutto il Brasile. Aggiungo ora che, più o meno, un mezzo milione dei nostri se la cavano abbastanza bene: gli altri stanno male, e sono molte diecine di migliaia coloro che stanno addi•ittura malissimo. · ij"ello Stato di S. Paolo gli italiani sarnnno circa 800,000. Tolti quelli che si son dati al commercio, tolti gli operai, gli artigiani , la massa è di salariati agricoli, che nelle fazende dove si colti va il caffè han sostituito con le loro braccia le braccia degli schiavi. C'è nello Stato di San Paolo una situazione che fa pena. ]~ c'è a Roma un Governo che si preoccupa di ciò soltanto a parole, e c'è nella città di S. Paulo un console che si balocca con la sua vanità , nella quale il ministero degli Affari Esteri sembra lo incoraggi, promovendolo di grado. Come Console, - per l'acquisita abilità burocratica, per la indiscutibile onestà contabile, per l' innegabile saper vivere con le autorità del paese - il cav. Pio di Savoia non è uu cattivo Console. lVIa a San Paolo ci vuole altro: ci vuole intelligenza, cultura, cuore; e al cav. Pio di Savoia queste tre doti mancarono sempre, nè mi par verosimiìe eh' egli possa acquistarle proprio adesso, che invecchia, adesso che ha visto per . lunga esperienza che per andare avanti, nella famosa carrie1·a basta saper corbellare il ministero a foria di carta sporca, a tener a bada i connazionali a furia di gran cassa, di giornali amici, e di sorrisetti. A San Paolo ci vuole altro che q,lesto ottimo cancelliere di legazione qnale sarebbe il Pio di Savoia. Ma il ministero conosce così poco la situazione che ha mandato sempre laggiù dei consoli lamentevoli, tanto che, per essere giusti, il Pio di Savoia è, relati vamente, una perfezione. Cosicchè bisogna augurarsi, malgrado tutto, che egli resti al posto che occupa (perchè al peggio non c'è fine!) a patto però che il Commissariato dell'Emigrazione si decida a mandare un suo valoreso funzionario nello Stato di San Paolo, il quale abbia il compito di toglier dalle mani del Console - se pure egli ha in mano qualcosa ! - tutto ciò che concerne i servi~~ di emigrazione , e gli studi relativi alla colonizzaz10ne. Come vedete, mio onorevole amico, mi contenterei di ben poco, tanto per cominciare. Eppure vi assicuro che questo ben poco-per quanto poco possa sembrare - sarebbe, come dicono al mio paese, la base de tudo. Il cav. Pio di Savoia, ottimo massimo console- nel senso più evidentemente burocratico della parola-di emigrazione e di colonizzazione non ne ha mai capito un acca. Ha scritto molto sulle colonie italiane del Brasile, moltissimo , raccontando fatterelli e racimolando dati - perfetto stile consolare! - ma non è capace di ripensare su quei fatti e su quei dati, non

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