R'IVISTA POPOLARE 231 si erano ridotte a 11usereborgate e parte erano rovinate affatto.... Dunque egli attestò la esistenza di quelle città di cui segnalò la decadenza .... Ma perche decaddero , mentre altre città e altri Stati altrove sorgevano e prosperav;ano? E' una domanda , cui spesso la filosofia della storia non può dare risposta soddisfacente. Essa si limita a consacrare questo melanconico insegnamento : sino a questo momento tutte le città, tutti i popoli, tutti gli St:ùi hanno subìto un processo di decadenza dopo uno più o meno lungo di progresso e di gr.rndezza. Perchè doveva sottrarsi a questa legge ~mpirica il. Mezzogiorno, la Magna Grecia, se non v1 s1 sottrassero gl' imperi dell' Asia , l' Egitto , Cartagine , Atene, Roma, la Spagna di Ferdinando il Cattolico e di Carlo V? E attraverso allo splendore ed alle grandezze attuali non si scorgono già i segni della decadenza tra gli Anglo-sassoni? Quel meschino accenno all' abbandono in cL1i Roma imperiale bsciò le strade del mezzogiorno ci dà un idea del modo in cui si svolse il processo di decadenza nello stesso Mezzogiorno. Le linee oscure del quadro si rischiarano alla luce cupa che tramandano le figure dei vari Verre che Roma delegò a governare quelle che erano le provincie più ricche e che, perciò, subirono le ripetute devastazioni e le sistematiche ruberie. E' il materialismo ~torico che segue il Fortunato che gli dà b chiave della decadenza politica e morale del mezzogiorno. La decadenza economica doveva essere seguita dalla decadenza politica e morale, che infiacchi le fibre degli abitanti considerati come un organismo sociale. D'onde il tetro caleidoscopio di conquist,uori e di riconquistatori - ladri che rubano con l' àlito , dice il Fortunato - senza che trovino una valida resistenza ; -d' onde quella successione di domini, che. fa scrivere al Granito di Belmonte: « Nello spazio di seicento « anni dai Normanni ai Borboni quanti se ne con- « tano dallo stabilimento della monarchia nel 1130 « insino alla conquista di Carlo III nel 1734, sono « avvenuti in Napoli ben dieci mutamenti di di- « nastie, il che non s'incontra appresso verun altro << popolo moderno. Ciò rende b storia del Regno « una serie non interrotta di guerre, di usurpazioni_, << di devastazioni, di stragi, d'ire di fazioni, di con- « giure, di ribellioni, di tumulti, di vendette e « sopratuttò di espilazioni. )> (Fortunato pag. 286). Quando le dinastie cessano di succedersi continua nei governanti l'abbandono degli interessi economici e morali e intellettuali delle popolazioni da parte di un governo che fu tipico nella cura costante ed esclusiva di conservarsi vivacchiando giorno per giorno. Siffatto governo eh' era la negazione di ogni concetto di progresso non limitava.si al non fare. il bene - nella misura in cui in Lombardic1 e nel Veneto lo fecero gli stessi Absburgo, in Toscana i Lorenesi e con una breve parentesi quale lo aveva iniziato Carlo III nella stessa Napoli- ma lasciava che altri spiegasse la sua ,1ttività nel fare il male. E aristocrazia, borghesia, clero, colla complicità del governo-non escluso quello Sabaudo, il riparatorefecero sentire al mezzogiorno e .,tlla Sicilia la loro insaziata avidità spogliando le popolazioni lavoratrici dei demani comunali e degli usi c1v1ci; spoliazione efficacemente e sinteticamente descritta dal Fortunato in altre occasioni e in questa monografia (pag. 107, 290 ecc.). Quale la conseguenza di una serie di governi repellenti dal bene e attivi solamente nel male? Questa sola : « il popolo non interve,1ne mai per « parecchi secoli di Storia buia per deliberare sulle « cose sue ; intervenne soltanto sotto quella rude, « pertinace forma di protesta , propria di genti « misere e abrutite , eh' e stato il brigantaggio, « bellurn oniniuni contra omnes. )> Cosi il Fortunato, che consacra molte pagine al brigantaggio , tutte interessanti non solo come episodi drammatici; ma perchè ne dimostrano le cause sociali, danno ragione della grande simpatia che il popolo spiegò sempre pei briganti e nella secolare complicità di preti e frati fanno vedere una delle sorgenti inesauribili di forza cui .-1ttinse il brigantaggio meridionale, che rivestì forma, anche 'dopo il 1860, di rivendicazione sociale (1). Con questo. rilievo pongo fine a questo lungo, ma non inutile esanie di un' opera che sembra consacrata in apparenza ad uh circoscritto inte- · resse locale. La critica , come potrà scorgere chi mi ha seguito, si e alternata coll' ammirazione e colla lode. Mancherei al mio dovere , però , se non avvertissi che nelle stesse pagine del Fortunato e' e una parentesi, che il mio diss~nso giustifica. Egli , infatti , quasi fatto accorto della ingiustizia del proprio pessimismo incidentalmente osserva : « Se per poco si consideri fr,1 quali orribili « casi e atroci dolori il nostro povero paese ha « dovuto , così a lungo, dibattersi, e pur vivere, « per non morire e sparire del tutto dalla scena « del mondo, l'animo e preso di ammirazione e di « meraviglia dinanzi alla straordinaria innata vitat< litù della stirpe , e si apre alla sper~rnza , non « essendovi mai stato ne altra terra, nè altra gente « contro le quali più ostinatamente gi,\ si fossero « accani"ti e gli uomini e il fato! l> (pag. 219). La speranza del futuro miglioramento riposa su dati, di fatto indiscutibili. Ecco qtÙL Il governo italiano venne meno al suo compito, quale lucidamente venne delineato da Camillo Cavour; eppure quel poco che ha fatto ed ha lasciato fare e riuscito a risultati che sembravano impossibili: Il brigantaggio aveva infestato il mezzogiorno per molti secoli consecutivi; e il brigantaggio e scomparso. La malaria non e stata ancora attaccata di fronte; eppure pèr<.ie terreno .... Per poco che le riforme e i provvedimenti iniziati da Zananlelli e continuati da Giolitti si allarghino dalla Basilicata e <la Napoli al resto del mezzogiorno si può essere sicuri che le regioni meridionali che sembravano dannate dalla natura alla inferiorità economica , politica e sociale, risorgeranno a nuova vita. Lo Zorrco (r) Il Fortunato si occupò con equanimità e con acume del briga.,tag~io meridionale in altri scritti. In que'sto su Monticchio si riscontrino sopratutto le pag. 144, 260 a 273, 314 a 323. Molte di queste. pagine fanno fede della indomita energia delle popolazioni meridionali. che avrebbero scritto ben altra storia se circostanze opportune ed uomini predari avessero dato il loro concorso.
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