Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno IX - n. 19 - 15 ottobre 1903

... \ fUVISTA POPOLARE DÌ POLITÌCA, LETTERE E scikNZE SOCÌAli 518 reazionaria 1·e1·wn scriptor- sviscerava in dotti articoli. della Critica sociale, fino alle cervellotiche imprese guerresche del <« padre della patria », · la storia, narrata da scrittori non sospetti, ci ap- . prende ben s.ltro. Rimontando più in su è la 1nedesima cosa. Ognuno saprà le dolorose peripezie subite da Alessandro Tassoni, il poeta giocoso più felice e lo spirito più libero e bizzarro del secolo XVII. Le anguste sue fortune - scrive il Tiraboschi - facean bramare il servigio di qualche principe, e nel 1613 cominciò a introdursi nel servigio del duca di Savoia Carlo Emanuele. Per conto del duca - in guerra con la Spagna - Tassoni scrisse due Filippiche contro gli Spagnuoli e una Rispo • sta a un Soccino genovese, che dichiara va legittimo il dominio spagnuolo in Italia. Nelle filippiche il Tassoni con generosità di cittadino, con -acutezza di politico, e forza di oratore (Carducci) intende a mostrare la debolezza della monarchia i.berica e a sollevare contro il dominio straniero i principi e i popoli d'Italia. « Carlo Emanuele - continua Giacinto Stiavelli, in una succosa prefazione alla Secchia rapita - si disse grato al Tassoni e lo pregò di accettare 200 ducatoni, i quali, per altro, non vennero mai pagati. E nemmeno si ebbe mai il nostro poel~ le 30 pezze d'oro e i 300 ducatoni di pensione che lo stesso principe, largo nel promettere più che nel mantenere, gli assegnò nel 1616. Venne per altro, nel '18, nominato segretario di quel Duca nell'ambasceria di Roma e gentiluomo del cardinale Maurizio, figliuolo di lui. Nel '19 fu' chiamato a Torino, quale primo segretario di Carlo Emanuele, e rimase in corte fino al '21, più pasciuto a parole che a fatti. Anelato nel 1621 a Roma per accompagnare al conclave il cardinale Maurizio, si guastò seco lui e la ruppe del tutto con la corte di Savoja. Si era avvisto di non goder più la fiducia di Carlo E manuele, il quale erasi rimpaciato con gli Spagnuoli, e non volle rimanere in paradiso a dispetto dei santi (se paradiso può chiamarsi una reggia, e se santi possono dirsi coloro che vi comandano). In remuneraiione àe' suoi servigi si ebbe l'esilio di dieci giorni da Roma, e cjò perchè il cardinale Maurizio aveva dato ascolto alla voce che il Tassoni gli avesse fatto l'oroscopo e ricavatone che egli rius~irebbe un ipocrita. Il nostro poeta, allora, per mostrare come male fosse stato ricompensato da casa Savoja e per salvare la sua reputazione, pubblicò lo scritto: Manifesto di Alessandro Tas-. soni intorno alle r_elazioni passate tra esso e i principi di casa Savoja, scritto degno d'esser letto e meditato da chiunque voglia conoscere quanto sia difficile il servire i re, quanto sia duro il vivere nelle corti, siano pure quei re e quelle c0rti il meglio della specie. » se· la triste odissea di Tassoni ci mostra la gene. rosità di Carlo Emanuele, quello che scrive l'AL .. fieri ci dà la giusta misura clella 1iber·tà Sabauda ai tempi della Rivoluzione. Nè si potrebbe dire elle allora dappertutto era così, perchè mentre gli altri principi d'Italia, specie il Gran Duca di Toscana, svecchiavano e raddolcivano la tirannia, il re di Savoja preferiva allearsi all'Austria ed alla Prussia per combattere la Francia, dal cui esercito improvvisato ebbe poi la peggio. L'Alfieri nacque, dunque, sotto Carlo Emanuele lII ( + l 773), come 1 ui stesso dice, e visse durante il regno di Amedeo III ( + 1796), Carlo Emanuele IV, che abdicò nel 1802, e alcuni mesi durante il regno di Vittorio Emanuele I, che « abdicò - dice Bertolini - per non venir meno ai suoi principj conservatori 1> (leggi: reazionari). Ma Vittorio Alfieri, quantunque aristocratico per famiglia, cerca subito di disvassallarsi, spatriarsi e spiemontizzarsi: sia perchè egli era seccato dalla debita e « consueta permissione che bjsognava ottenere dal re per uscire dai suoi felicissimi stati »; sia perchè, dice lui in un altro capitolo dell'Autobiografia (Virilità, VI): « con privilegio non invidiabile i nobili feudatarj sono esclusivamente tenuti a chiedere licenza al re di uscire per ogni minimo tempo dagli Stati suoi; e questa. licenza si otteneva talvolta con qualche difficoltà o sgarbetto dal Ministro, e sempre poi si ottenea limitata.» L'ultima volta, che chiese la licenza, dovette l'Alfieri sorbirsi una « spiacevo! parola ». Però la licenza e nè i cadetti, nè' ! cittadini di nessuna classe, quando non fossero stati impiegati, erano costretti di ottenerla ». A ciò. forse',·'!'Alfieri si sarebbe acconciato; ma c'era il guaio aella li- , ' bertà di stampa. Fin allora egli aveva scritto la Virginia e i libri della Tirannide (senza stamparli) come se fosse « nato e domiciliato in paese di giusta libertà »; ma subito conobbe quanta fosse e l'impossibilità di rimanere in Torino stampando, o di stampare rimanendovi >>, poichè per chi aveva la voglia di stampare, all'estero, scritti ·un po' spinti, c'era questo zuccherino: " Sarà pur anche « proibito a chiccllessia di fare stampar .libri o « altri scritti fuori de' nostri Stati, senza licenza « de' revisori, sotto pena di scudi sessanta, od « altra maggiore, ed èziandio corporale, se così « esigesse qualche circostanza per un .pubblico (< esempio». Di modo che l'Alfieri non poteva essere al tempo stesso « vassallo ed autore ». Prescelse di esr.;ere autore, e decise di donare i due terzi della sua proprietà alla sorella Giulia, maritata col contè · di Cumiana, e ritirarsi a _vivere nella Toscana. Ma per dare stabile e intero com-. pimento a quest'affare molte noje ebbe a soffrire e molo tempo passò, perchè ci vollero le consuete permissioni del re: ~ chè in ogni più privata cosa in quel benedetto paese sempre c'entra il re ». E il re dovette approvare ia donazione e il canone annuo da corrispondere all'Alfieri; e poichè s'era determinato a non abitar più il Piemonte, dovette . chiedere un nuovo permesso al re, « il quale ad J arbitrio suo si sarebbe sempre potuto opporre allo sborso della pensione in paese estero ». Naturalmente il permesso fu infine accordato, giacchè il re <l'allora - dke 1' Alfieri - "il q~ale certamente avea notizia del mio pensare (avendone io dati

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