512 fdVIS'fA.PòPòLARR ht POLITICA, lltrfÉhÈ R Sé1EN21l SOCJAU ùare larga materia ai punti più elevati e sdegnosi del Giorno di Giuseppe Parini, che nel Bisogno · comprese mirabilmente la forza della necessità, divenuta più tardi teoria scientifica nel materialismo storico. ' Io non intendo •rimpicciolire menomamente l'anima grande e sdegnosa di Vittorio Alfieri il quale volle, ma non seppe del tutto liberarsi dallo spirito dominante nella propria casta; quand'anr-he egli vagheg·giasse, secondo scrive Camillo Ugoni, • quello che Vico chiamava libertà signorile, quella che gl'lnglesi hanno, quella che gli antichi credevano assodabile ed avevano associata colla schiavitù>, Vittorio Alfieri sarebbe pur sempre degno di' tutta la nostra incondizionata ammirazione e simpatia, pel bene che egli anche dal punto di vista politico. ha fatto all'Italia, svegliandone, coll'opera sua poetica e profetica, l' anima ne-; ghittosa. C'è poi questo. L'Alfieri, come molti dei massimi scrittori, ha pur avuto il suo momento di nebulosità visiva. A lui mancò la nozione del tempo; giacchè egli all'epoca della Rivoluzione vagheggiava una repubblica sul tipo de' Romani. Accenno semplicemente. Anche Cicerone so;,pira va la forma repubblicana in vigore al tempo degli Scipioni, mentre l'Impero s'ergeva vigoroso sulle rovine dell'antico ordinamento politico; Dante ambi va una monarchia universale con un imperatore tedesco alla testa,e Leopardi rimpiangeva, come altra volta f . mostrammo, i miti pagani scomparsi e dis rutti dalla ragione. piò deriva - mi pare - dal perchè i letterati bene spesso hanno l'orizzonte vasto teoricamente_; ma in pratica non sanno agire, .nè sanno mettere d'accordo lo sfavillare dell'idea colla meschinità dell'azione. Onde anche nell'azione si rifuggono nel passato, cioè nell'ideale. Questo dovè. tanto più avvenire in Alfieri, che nutrì il suo spirito colle vit'e di Plutarco - improntate quasi ad una castigatezza catonescamente repubblicana - e colle storie di Tito Livio e di Tacito, oltre che con tutti gli altri classici latini e greci; egli non seppe trarre dall'antico il vitale lasciando il morto, come ci pare che faccia letterariamente, Anatolio France : egli pigliò tutto. Dal resto l'odio contro la Riv·oluzione doveva na~cere in lui non solo per ragioni psicologiche, anche µerchè egli a stento si salvò da_llegiornate d'agosto, preludio ai massacri settembrini {2-5 settembre 1792), che furono una vera e solenne ubbriacatura di sangue· umano, voluta e giustificata nell'Amico del Popolo dal cinico Marat; uomo d'ingegno corto, al dire di 'I'hiers, e di ariimo feroce come di viso· laido, per cui la distruzione degli aristocratici era un ritornello simile al » Delenda Carthago » di Catone. Noi ricordiamo perfettamente una bella frase di E. De Amicis, il quale, in uno dei suoi articoli soffusi da, delicato sentimento socialista, diceva della famiglia, quello che noi potremmo dire dell'umanità, cioè « che non concepisce ~enza spasimo ». Più di un secolo è passato dalla Rivojuzione, e se noi LJ0'-Siamo riprovare, di quell'epoca memoranda, i sanguinosi eccessi, che s'attirarono lo sdegno di Mazzini, abbiamo però sempre sotto gli occhi le conseguenze di quella carneficina violenta, violenta protesta di tanti secoli di sorprusi e çli a.bbominazioni. Ma Alfieri non potette vedere l'esprit nouveau diffondersi· e trasfondersi nella ci viltà, nella politica e nel giure, lui non vide che le conseguenze immediate: il / palco eretto e la • mannaja a contrappesi un po' rimodernata e incipriata da un medico macchinhta chiamato Guillottin ,., o in altri termini il sangue versato, le giornate di settembre e il dilaniarsi feroce, a ·colpi ùi pugnale e di mannaia, delle diverse fazioni politiche. Appassionato dall'argomento e dalle antinomie, che in Alfieri, come in altri scrittori, si trovano, mi son lasciato trarre più fuor del seminato che non fosse nel mio desiderio. Ma mi pungeva il dubbio che non avvenisse per Alfieri, quello .che giorni fa aC'cadde a Rénan. Un foglio napoletano - « a disposizione del Ministero» - per poco non lo faceva passare per uno scagnozzo picchiapetto o un bieco reazionario: tutto ciò in un degno turpiloquio, da cui traspariva la passione politica, che animava lo scrittore contro la « democrazia ». Poichè il pensiero di certi titani delle lettere e delle sci'enze· non si desume <la una frase o da I • un'opera, scritta in un momento di malumore o quando la parabola della vita scendeva, ma dalla opera complessiva Così i posteri vedranno in Carducci Enotrio Romano, non il Renatore Giosuè; e desumeranno il pensiero politico di lui dal maggior n_umero .di poesie, piuttosto che da •qualche di.scorso ... elettorale. Così l'opera massima dell'Alfieri resterà in difesa della libertà e contro la monarchia, sia pur quella ,dei Savoia. Noi siamo troppo abituati a ritenere i Sabaudi come principi-modelli. Al liceo e al ginnasio ci hanno così piena la testa dei vari conti rossi e verdi, degli Amedei ed Umberti Bfancamano; noi siamo talmente impregnati dello spirito monarchico attaccatiècio, sapientemente infuso nelle nostre anime adolescenti, che quando leggiamo la veridica i~toria dei principi sabaudi restiamo come intontiti. Già fin dalla prima elementare ci turbano l'anima con scempiaggini di questo genere: " Viva il Re! dell' It.alia gli sguardi Stan rivolti al temuto (!) tuo brando (sic); Salutiamo Re Umberto gridando: Viva il Re! Viva il Re! Viva il Re!,, Ma ben altro ci apprende la storia: da Carlo Felice, che si oppone violentemente alla costituzione e lancia il Piemonte « in balia d'una reazione eccessiva> (Bertolini), a Carlo Alberto il magnanimo (!), meschinissimo manichino e travicello nelle mani dei reverendi gesuiti, che condannava a morte Garibaldi e Mazzini e faceva largo uso della tortura nelle carceri; da Cavour, la cui anima
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==