.,. RIVISTPAOPOLARE DI POLITICA LETTEREESCIENZE SOCIALI Direttore: Prof. NAPOLEONE COLAJANNI (Deputato al Parlam~nto) Esce 1n Roma il 15 e il 30 d'ogni mese I TAL I A : anno lire 6 ; semestre lire 3,60 - EST ERO : anno lire 8 ; semestre lire 4,60. Un nu:rnero separato Oen-t. 30 ~Amministrazione: Via Campo Marzio N. 43. ROMA ~ AnnoIX. N. 19 Ab bona:rnen-to postale Roma,·15Ottobre f 903 SO:M::M:ARIO: On. Prof. Napoleone Colajanni: Francia e Italia. - Noi: Gli avvenimentie gli uomini (Il fiasco della politica epilettica - Il trionfo dell'epilessia - Il Congresso repubblicano - Un giudizio autorevole in favore dell'emigrazione italiana' - Un magistrato contro il servilismo e lo spirito reazionario della nostra magistratura - L'Ungheria e l'esercito austro-ungarico - Chi tal fa, tal riceve). - Enrico Grimaldi: A proposito del centenario Al:fierano. - On. Prof. Napoleone Cotajanni: La lotta per la industrializzazione (In Ungheria e in Italia). - Lo Zotico: Il proletariato intellettuale. - Prof. F. Montalto: La crisi della Scuola (A proposito del recente congresso di Cremona). - E. Vandervelde: Il ritorno ai- campi. - Mario Pilo : La quinta esposizione d'arte a Venezia. RivistadelleRiviste: La crisi inglese e il suo vero significato (Revue. Bleue). - Finis Macedoniae (Oontemporary Re- " view). - L'Esercito chinese (Revue des Deux Mondes). - La Cina coloniale (Revue des Revues). - La protezione degli scrittori (Fortuightly Review). - .Illustrazionni el testo. ·FRANCIA E ITALIA Anche in occasio_ne del Yiaggio· dei reali d'lltalia a Parigi mi spiace dover dissentire pubblicamente dall'atteggiamento di alcuni repubblicani che vedono nell'evento, preparato da tanta concordia di sforzi e di aspirazioni, un episodio cesareo piuttosto che la consacrazione dei sentimenti di due paesi la cui intesa ha un valore inestimabile per la causa della civiltà e depa libertà. Questo ·mio convincimento, del resto, non data da ieri, nè si può credere che l'entusiasmo ufficiale e popolare abbia travolto nei vortici dell'ebrezza propagata dal la Stefani anche la mia serena ed onesta opera di cittadino e di studioso. Mi sia concesso, anzi, ricordare ora, che, con Felice Cavallotti, con Ernesto Teodoro Moneta, con Carlo Romussi - nel Secolo, nell'Epoca, nella Rivista Popolare di A.. Fratti e in altri giornali - io fui tra i primissimi e tra i pochissimi - da contarsi, come si suol dire, sulle dita di una mano - che propugnarono instancabilmente la ,pace e l'armonia tra l'Italia e la Francia. Ciò ricordò anche recentemente il mio carissimo amico 1v1oneta nella Vita Internazionale. Percllè la modesta opera mia -tiuscisse più efficace - poichè ero convinto che se dei torti vi erano in Italia verso la Francia, ve n'erano di maggiori • di là delle Alpi verso il nostro paese - perseguii nella vicina repubblica la stessa campagna sulle colonne della Revue Socialiste, della Nounelle Revue e della Revue politique et parlamentaire; e mi è caro ricordare che ebbi in Francia cooperatori onesti, valorosi e com.batti.vi, in Bènoit Malon, dolorosamente scomparso. e in Gustavo Ruuanet, ancora adrsso pugnace sostenitore della necesI i sità, nello interesse della libertà e della civiltà, (non della razza, che è un legame tra i due popoli del tutto insussistente) dell'unione tra la Francia e l' Italia. \ Questa alta necessità civile e questa utilità so· ciale. indiscutibile, superiore alle aberrazioni politiche del quarto d'ora, io sostenni nei momenti più tristi: all'indomani di Marsiglia (1881). e d'i Aigues Mortes (1893). Dimostrai allora, quando il santo furore ùei Vespri pareva possedesse tutto il paese, che nella caccia all'italiano, le antipatiepolitiche erano la comoda vernice sotto la quale , s1 ascondeva il doloroso contenuto di quegli accanimenti brutali, la cui origine era da ricercare nella concorrenza del lavoro. I nostri operai abili quanto i francesi, ma più modesti e frugali, determinavano un abbassamento di salarii che creava loro un disagio economico, amaro, per i loro bisogni complessi, quanto la minaccia della miseria. Previdi allora che le stesse cause avrebbero dato gli stessi effetti anche dove le antipatie politiche non sussistevano, e venne più tardi la caècia all'italiano a Zurigo, in Germania, dappertutto (1). · Pensai e dissi apertamente contro il De Zerbi, contro molti altri, che il famoso equilibrio del Mediterra:neo doveva cercarsi nell'unione tra la Fran- , eia, l'Italia e la Spagna, per impedire che quello che fu mat·e nostrum di venisse un lago 'inglese; e ciò anche quando sj levava lo spettro di Cartagine rinascente in Biserta, che non poteva e non (I) Sostenni e dimostrai ciò prima fo un giornnle di Torino, diretto dal pover·o Domenico Narratone nel 188t: e poi in Una quistione ardente, pubblicata da A. Fratti in un opu:-;colo della sua « Bi!)li0te~2. della Ri1JiSt1JP, orolarc », nel 1893. · I I"
506 _ 1 • RlTlTSTA POPOL.4.HE DI POLITICA, LET~ERE E SCIENZE SOCIALI potrà mai equivalere al possesso di Gibilterra, di · Malta, di Cipro, di Suez e dell'Egitto. Guardando la quistione dal punto di v,ista economico, fui solo in Sicilia, nel ·1886 e 1887, a sostenere, nei giornali di Palermo, di Catania e di Messina, la necessità di buoni rapporti con la Francia,e a prevedere che la guerra economica colla Francia sa·rebbe riuscita dannosa per l'Italia in generale, disastrosa per il Mezzogiorno, per la Sicilia e per la Sardegna in particolare. I fatti mi dettero ragione•; ed oggi, quanti ~llora credettero potermi deridere e dileggiare, quegli stessi che durante il periodo più funesto e più pericoloso del ' . -crispismo, additavano, insieme con gli· amici del Secolo, me .come un gallo cisalpino - nato per caso in Sicilia - , venduto alla Francia, riconoscono la saggezza illuminata di quelle previsioni -e vorrebbero far credere che non pensarono mai diversamente. Questa persecuzione assunse addirittura le forme della calunnia in mano ad alcuni amici di Crispi - che pur sono oggi preposti alla educazione della gioventù! - nel 1890 per combattere la mia candidatura in Palermo. Tutto questo ho voluto ricorJare per dimostrare 1 come il mjo dissenso dai repubblicani, cui accennavo, mette capo alla sostanza più intima delle mie convinzioni e al mio costante 'atteggiamento politico. Oggi che la verità per la quale ho cornbattuto trionfa, che in tutti gli angoli d'Italia risuona l'eco dell'esultanza di Parigi e della Francia, e si leva l'inno gtocondo alla pace ed alla solidarietà tra le Jue sorelle unite dalla tradizione e. ·dalla -civiltà latina, io ne gioisco come di vittoria di caus·a santa ed ho il diritto di deplorare che miei compagni di fede sottilizzino nel significato di un .avvenimento così fecondo di bene. Io credo, invece, che sia un dovere ricordare qhe son.o stati i moderati, da Di Rudinì a Luzzatti, i preparatori principali nel mondo ufficiale del tanto desiderato riavvicinamento; ma che non per questo si deve oggi, di fronte al grande fatto, lesinare la lode e frenare l'entusiasmo per quistioni attinenti alle forme di Governo. ~ Ciò non mi pare nè' possibile, nè opportuno, ed io non esito a giudicare erronea la condotta di quei repubblicani che si tengono in disparte e guardano il viaggio del Re d'Italia a Parigi con diffidenza e con malumore; come hanno torto, e maggiore, quei monarchici che, sedotti da certi articoli della stampa boule1Jardiére, osano affermare che nel successo hanno parte precipua le qualità personali della coppia reale. (1) Loubet e il Re d'Italia, nel riavvicinamento e nelle feste che lo celebrano, non sono che la personificazione ufficiale, gli uomini rappresentativi di fatto, dei due popoli. Il carattere e il significato dell'avvenimento rimarrebbe identico se le parti fossero inverti.te; cioè se l'Italia fosse rappresentata da un presidente di Repubblica e la Francia da un imperatore. I pue capi dello Stato non sono che due simboli; e per parte mia in. questo giorno emetto un grido di gioia che non va alle persone, ma all'avvenimento preparatosi indipendentemente da loro e in cui esse, per così dire. non rappresentano che i testimoni, che il caso destinò per autenticarlo. (2). .Castrogiovanni., 15 ottobre 1903. Prof. NAPOLEONCEOLAJANNI. Deputato al Parlamento (I) Certi repubblicani nostrani tanto teneri pei socialisti, rammentino che il la, come si suol dire, alla stampa parigina nello entusiasmo verso la coppia reale è stato dato da un articolo della socialista Paola Lombroso nella Reoue des Rei,ues. (2) Colgo questa occasione per protestare energicamente contro il Fisco di Milano che ha sequestrato L'Italia del Popolo per un articolo di Carlo Russo su J Saooia a Parigi. L'articolo non contiene una sola sil!P.ba che possa dar luogo ad un sequestro, anche sotto il governo p:ù ombroso e più reazionario. Il solo che avrebbe p0tuto dolersi delle parole del Russo sarei stato io, perché ingiustamente mi si rimproverava di non av~r fatto akuna riserva, di non aYer apposto alcuna postilla o nota all'articolo di. Georges Renard pubblicato nel precedente numero della Rivista. La critica è ingiusta perchè gli amici dell'Italia del Popolo non avrebbero dovuto dimenticare che lascio la più completa libertà di opinioni a tutti i collaboratori che sottoscrioono. Se avessi fatto. un~ eccezione per un uomo illustre, per un amico o per un antico e benemerito collaboratore c0me il Renard, avrei commesso soltanto un atto piramidalmente sconveniente. GLI AVVENIMENTI E GLI UOMINI • Il fiasco della politica epilettica. Le sconfessioni venute alla dimostrazione anticzarista ,a base di :fischi, con una solennità grottesca annunziata in Parlamento, non si contano più. Sono venute al gocialismo cosidetto rivoluzionario dagli stessi rivoluzionari. Non parliamo dei riformisti! I promotori della pazzesca dimostrazione vistisi a mal partito hanno tentato una ritirata senza neppure il tentativo della resistenza, ed hanno pensato di sosti~uire ai fischi un manif~sto dell'Estrema sinistra, che avrebbe potuto essere discusso senza i precedenti creati dal Morgari e dai suoi patroçinatori; ma çhe ora è cosa che non avrebbe dovuto essere menomamente accettata da chi non ha solidaf ,.,,,,. ------ - I rietà nella politica epilettica, vile - vilissima - d fronte alla monarchia italiana., smargiassa sino al ridicolo elevato all'ennesima potenza di fronte allo Czar, che potrà djsporre soltanto di una decina di cosacchi.. .. a Roma. Dobbiamo constatare con vivo rammarico che parecchi amici nostri - repubblicani, socia,listi e ·radicali - hanno dato la propria firma a quel manifesto. Una ver~ aberrazione! Sappiamo di qualche repubblicano che l'ha data a malincuore. Ma perchè darla? Per la paura di passare come simpatizzanti coll' autocrazia russa? Via! ·Più di ogni altra rivista la nostra si è interessata alle condizioni della Russia e le ha descritte quali esse
RIVISTA. POPOLA.RE DI POLITICA., ·LETTERE E SCIENZE SOCIA.Li 507 sono, cioè tristissime, inumane ; la Rivista popolare, unica e sola in Italia, a suo tempo dette un largo riassunto di quell' opera meravigliosa sulla Russia ehe hti fa/Ile (Die ungernclencle Russlancl) dei due socialisti tedeschi Parvus e Lehmann; e noi continueremo, come per lo passato, a fare il nostro dovere flagellando a sangue le conseguenze scellerate dello czarismo. Ma abbiamo il coraggio di affrontare l'impopolarità, in questo quarto d'ora, negando la nostra solidarietà colla politica degli epilettici. Intanto constatiiimo con grande soddisfazione che, contemporaneamente all' articolo nostro La Critica sociale ne pubblicava uno perfettamenle concordant~ col mèdesimo, preceduto da un cappello - che sulla testa degli epilettici deve fare l'effetto del ferro rovente - in cui è investita tutta quanta la politica del rivoluzionarismo .... contro lo Czar .... in Italia. Il Turati dice di tale politic~ ,, che essa nell' essenza e nell' anima ,, sua, non è altro che uu lunghissimo :fischio, e come ,, il :fischio, ventosa ed idiota, assordante, irritante ed ,, imbeccillente, sfida all' intelligenza, negatrice della ,, coscienza e della discussione, grido di marmotta e ,, di serpe, che rinnega l'umanità e non ha nulla di ,, umano w Questi severissimi giudizi ,del deputato di Milano si può sospettare che sieno suggeriti dall' ira sua contro il suo avversario - e non da oggi: Turati accolse con diffidenza nelle file socialiste il Ferri, nel 1893 al Congresso di Reggio-Emilia - ; ma la p~litica del fischio o della epilessia ha ricevuto una mazzata sul capo davvero formidabile e inattesa. Gliel'ha assestata Augusto Be bel con questa lettera diretta a Paolino Valera, e che nella sua semplicità è terribilmente schiacciante: 30 Settembre 1903. Egregio Signore e Collega, Non vorrei rispondere affatto alla sua domanda e ciò per la ragione che non voglio immischiarmi nel dissenso dei compagni italiani. Se Ella però mi avesse domandato: che cosa farebbero i socialisti tedeschi nel caso di una visita dello czar a Berlino, io avrei risposto: nulla. Essi lascerebbero che lo czar facesse quello che vorrebbe, e non si curerebbero affatto della sua presenza. . 'A. BEBEL. Abbiamo bisogno di ricordare che Augusto Bebel è il sommo pontefice, il dittatore onnipotente, del So- ,cialismo rivoluzionario tedesco ? -¼ Il trionfo dcll'epile"sia. - Avevamo scritto ed era composto il precedente stelloncino, quando pervenne la notizia che lo Czar non viene più. Non abbiamo alcuna ragione di sopprimerlo; aggiungiamo poche parole di commento. Se la grande, se la gloriosa manifestazione ... dei fischi equivalesse al trionfo di un'idea e fosse il prodromo di una rivoluzione, non ci, azzarderemmo di chiamarla • il trionfo dell'epilessia. Ma altrimenti non può chiamarsi il successo incontestabile dei socialistirivoluz·ionari offembacchiani d'Italia, il cui concetto ebbe il merito di riunire in un solo biasimo i socialisti di Europa - addomesticati e intransigenti - da J aurès a Be bel, da Turati a Labriola. E il loro successo sarebbe più completo e più clamoroso se essi all'ultimo non si fossero dimostrati pentiti e vergognosi della grande trovata, e non avessero escogitato il succedaneo del manifesto dell'Estrema che rappresentava una implicita sconfessione della prima. Se lo Czar fo~se venuto noi siamo sicurissimi che il fischio si sarebbe tramutato in fiasco colossale: senza bisogno di cosacchi e di Knut, i fieri intransigenti, alla vista dei reali carabinieri, a,vrebbero messo giudizio ed avrebbero avuto una paresi momentanea delle corde vocali e dei muscoli labiali. Informi la storia del 1898 e del massacro militare ricordata precedentemente, e la prudenza non abbastanza ammirata di fronte allo stato di assedio ed ai Tribunali militari. Ma noi comprendiamo che lo Czar non abbia voluto metterli alla prova. Vari motivi spiegano la sua decisione: spface ad ogni gentiluomo che va in casa altrui l'esservi accolto a fischi, tanto più quando non si ha la libertà e la potenza di trattare i fì.schiatol'i come si vorrebbe; spia_ce ad ogni galantuomo la sola possibilità di essere causa di tumulti, che possono provocare repressioni sanguinose. Constatato il trionfo del partito dei fischi, aggiu:g.giamo che più miserevole di tale trionfo è lo spettacolo che dànno i giornali governativi e quelli di opposizione: gli uni nel tentare una goffa menzognetta negando che lo Czar non venga pel timore dei fischi e dei possibili relativi tumulti; gli altri addossando qualunque responsabilità al governo nella speranza di dare il gambetto ai ministri attuali. I primi non trovano un cane che presti loro fede; i secondi si mettono facilmente dal lato della malafede chiedendo loro: cosa avreste fatto per impedire che Morgari parlasse dei fischi alla Camera e che l'Avanti! accogliesse e difendesse la proposta? Francamente, le accuse e le difese ci sembrano cosa che rasenta l'indecenza. Oppositori desiosi di portafogli e ministeriali paurosi di perderli farebbero molto meglio a tacere e, lieti o umiliati, a lasciare passare il trionfatore di questo quarto d'ora, Morgari I, l'onnipotente sovrano del Regno del fischio! Il Congresso repubblicano. - In un ambiente saturo di spirito repubblicano, tenne le sue sedute nei giorni 3, 4 e 5 ottobre il VII Congresso nazionale re• pubblicano. Gli argomenti all'ordine del giorno erano importanti. Oltre il resoconto del Comitato centrale si doveva discuter~ della quistione doganale, della quistione meridionale, della quistione ferroviaria, dell'azione economica del partito repubblicano e dei rapporti tra il partito e il gruppo parlamentare. La parte più interessante e pratica del programma della riunione, cioè la quistione doganale, e ferroviaria - fu messa da parte per mancanza di tempo. E fu un errore perche ha dato agio agli avversari di obbiettare, che i repubblicani non sanno affrontare la discussione dei problemi più vitali del paese. Non sappiamo formarci un concetto esatto delle proposte di Pio Viazzi sulla organizzazione operaia e sull'azione economica del partito, dal resoconto che ne dà l' ltatia del Popolo - che dovremmo credere il più esatto ·e il più ampio - nè dalle critiche di Pellegrini e di Gorini. Tra le proposte del Viazzi - relatore - la prima, che raccomanda ai repubblicani la partecipazione attiva alle lotte economiche e la iscrizione nelle associazioni, nelle leghe professionali, nelle cooperative colla direttiva della lotta di classe, ci sembra che sia un poco in contraddizione colla quarta, nella quale si raccomanda: " Che tutti gli inscritti al Partito, pur svolgendo nel l'opera interna delle organizzazioni un'azione esclusi-
508 RIVISTA POPOLARE DI POLITICA, LETTERE E SCIENZE SOCIALI vamente di .classe, e pur prendendo attiva parte alla difesa degli interessi dei lavoratori delle leghe di resistenza, anche se alle medesime non appartengano, non debbono trascura,re mai la considerazione degli interessi comuni ai vari gruppi di concorrenti e di contendenti, dirigendo pertc1nto l'azione comune, anche nel campo economico, contro il sistema politico vigente da cui promanano i danni comuni delle spese improduttive, della sperequazione dei tributi, del parassitismo protezionista, e della burocrnzia impacciante il libero svolgersi di tutte le energie sociali produttrici ,,. Come sarà pnssibile partecipare alla lotta di classe e , propu,qnare gl'interessi comuni ai vari gruppi di concorrenti e di contendenti ? È vaga la seconda che mira a far sì : "Che l'azione economica di tutto il Partito debba dirigersi, per intanto, a togliere dalla legislazione vigente civile e penale ogni disposizione la quale contrasti o restringa il libero gioco delle forze e dei gruppi economici in conflitto, e ad ottenere che alle organizzazioni di qualsiasi genere sia fornito il mezzo per affermarsi praticamente nel campo giuridico indipendentemente dall'azione isolata dei singoli contendenti.,, Accettiamo la terza che invoca la istituzione di un Tribunale del lavoro. Pare che il Gorini abbia sconsigliato la iscrizione nei sodalizi e nelle istituzioni in cui prevalgono i socialisti • per non subirvi sopraffazioni di ogni sorta. E chi può dargli torto ? La sua obbiezione ,trova la piena giustificazione nei fatti. Il nichilismo e lo scetticismo dell'on. Pellegrini, invece, non ci sembra giusto. Egli crede che nulla di buono e di utile si potrà ottenere sino a tanto che dureranno le istituzioni monarchiche. Egli non ammette, per ora, che la critica e la demolizione. L'idealismo, che astrae della realtà, ebbe il suo rappresentante nel direttore dell'Italia del popolo, Innocenzio Cappa, che come pubblicista repubblicano respinse ogni disegno di rappresaglie ingenerose verso i socialisti. Chi non legge il valoroso giornale repubblicano di Milano dalle accennate parole potrebbe supporre che il Cappa sia un ottimo cristiano che porga l'altra guancia a chi gli assesta uno schiaffo sulla prima. Meno male, però, che le opere sono assai diverse dalle parole ... Prevalsero le idee di Viazzi, riassunte in un ordine del• giorno di Ghisleri, che non conosciamo. In qualche giornale abbiamo letto che Arcangelo Ghisleri s'intrattenne eloquentemente e lungamente del problema meridionale; ma mentre scriviamo non ne abbiamo potuto avere nemmeno un magro sunto. Viva ed elevata fu la discussione sull'azione del gruppo parlamentare repubb_licano. Molti degli accusati erano presenti e si difesero vigorosamente. L'intransigenza che aveva trionfato a Rimini, e ch'era stata combattuta nelle nostre colonne nel numero precedente, fu battuta nel Congresso nazionale di Forlì. L'ordine del giorno Serpieri che la incarnava non· ottenne che 84 voti; invece ne raccolse 140 Fordine del giorno Masini che suona così: " Il Congresso nazionale sulla questione dell'indirizzo del Partito nell'azione parlamentare, conferma integralmente le deliberazioni prese al riguardo nei Congressi di Firenze e di Ancona, lasciando i deputati repubblicani liberi e però responsabili dell'opera loro rispetto all'azione del Partito, la quale azione deve avere la sua base precipua in mezzo alle organizzazioni operaie e popolari. ,, Ohi ricorda il tenore degli ordini del giorno di Ancona e di Rifredi non p_otrà che trovarli in perfetta contraddizione C()lla pàrte sostanziale dell'ordine del giorno Masini, che noi abbiamo sottolineato e che noi accettiamo completamente. Così dev'essere: i deputati repubblicani siano completamente liberi da ogni pastoia e 1da ogni umiliante sorveglianza di comitati; ma siano del pari responsabili di fronte al partito, di fronte agli elettori, di fronte alla loro coscienza delle loro azioni. L'assurdità dell'ordine del giorno di Ancona fece uscire dal gruppo parlamentare gli on. Colajanni, Pantano, Garavetti, Mazza e Dell'Acqua; quelli che l'accettarono in teoria non ne tennero alcun conto nei fatti. E per noi fecero male ad accettarlo; malissimo a violarlo. Si è osservato che l'ordine del giorno Masini è equivoco per la contraddizione da· noi rilevata; ma l'intonazion_e vera al medesimo viene dalla circostanza che esso trionfò in opposi:.done all'ordine del giorno iritran- . sigente di Serpieri e di l:Umini. La logica vi avrebbe guadagnato qualche cosa - pur facendogli perdere qualche voto - se si fosse taciuto, non volendoli esplicitamente sconfessare, degli ordini del giorno di Ancona e di Rifredi. In ultimo dobbiamo accennare al voto platonico di Schinetti sulla fondazione di un giornale repub blicap.o · nell'Italia centrale redatto con criteri moderni. Bravissimo ! Trovi, però, le centinaia e centinaia di migliaia di lire, che occorrono per fare il giornale moderno ; e sino a tanto che non li abbia trovati deve riconoscere che ha fatto miracoli l'Italietta di Milano e il Giornale del popolo di Genova. Si può dissentire da entrambi. in certi momenti ; ma si deve loro riconoscenza sincera per l'opera quotidiana che compiono in tanta misel'ia economica del partito. · Infine si votò che Roma debba essere la sede del Comitato centrale repubblicano. Male, male assai! Roma è un ambient~ fiacco e scettico, dove il Comitato centrale vivacchj_erà come in un deserto, non ostante i due collegi che mandano due repubblicani alla Camera. Milano continua ad essere la capitale morale d'Italia; ed a Milano il Comitato centrale repubblicano aveva un ambiente ottimo per l'attività, per la intellettualità e per le forze economiche. Un giudizio autorevole in favore dell'emigra• zione italiana. - Tra gli stranieri ben di rado riscontriamo persone che giudicano benevolmente l'emigrazione italiana ; perciò siamo ben lieti di riprodurre ciò che ne scrive il Fredericksen (La libertà. d'emigra- :tione) nell'ottimo Européen (26 8ettembre 1903). Lo scrittore danese, dopo avere detto in quale conto siano tenuti nel Nord-America· gli scandinavi, gli scozzesi, i tedeschi e gli austro-ungarici - e sono meno ben visti gli ultimi e i penultimi - soggiunge: "Avendo preso parte personalmente, durante qualche tempo, alla colonizzazione dell'Occidente america-no, devo saperne qualche cosa. Così so bene che non c'è nazionalità contro la quale si facciano maggiori obbiezioni, quanto eontro gl'italiani, specialmente quelli del Mezzogiorno. Non parlerò di ciò che essi hanno compiuto per la costruzione delle ferrovie. Si assicura che vi sono delle linee nel Sud lastricate dai corpi dei disgraziati lavoratori italiani. ~a le linee sono là! Si parla con ragione delle popolazioni avvilite di certe grandi città. Ma conosco del pari in queste grandi città, a Chicago per esempio, delle lunghe strade nelle quali tutte le case solide sono la proprietà d'italiani che hanno guadagnato il loro denaro, talvolta centinaia di
RIVISTA POPOLARE DI POLITICA. LETTERE E SCIENZE SOCIALI 509 migliaia di franchi, con delle occupazioni modeste, come quella di venditori di' aranci. Ora non c'è ragione per la quale questi st.essi italiani non possano essere trasformati in coltivatori come lo sono nell'America del Sud,,. Il Fredericksen è più severo contro gl'Irlandesi, e ritiene che se in America sono meglio considerati, ciò si deve alla considerevole forza politica che essi rappresentano. Un magistrat,o contro il servilismo e lo spirito reazionario della nostra 1uagistratura. - Ci siamo occupati spesse volte della magistratura italiana per metterla alla gogna -' specialmente_ all'epoca delle vergognose sentenze della Cassazione sui processi svoltisi innanzi ai Tribunali militari contro i delinquenti politici e sulle relative sentenze che nulla avevano da invidiare alle più inique dei Borboni, del Papa, é degli Austriaci nel Lombardo-Veneto. Ma la magistratura italiana non rende servizi al governo - come disse il ministro Eula - soltanto in occasioni eccezionali, come nel 1894 e nel 1898 all'epoca dello Stato d'assedio e degli accennati Tribunali-giberna; ma li rende anche in tempi normali ; e i suoi servizi riescono sempre a dimostrare che, specialmente l'alta - magistratura, la Corte suprema di .Roma, è animata dal più abietto servilismo e spirito reazionario. Se ne è avuto una prova recentissima in una decisione, che cassava una onesta sentenza di un pretore - · quello di Cremona. La Corte Suprema, conformemente alla richiesta del Procuratore generale, ha stabilito che : " l'art. 4.34 del Cod. penale riconosce nell'autorità la facoltà di emanare, nell'interesse dell'ordine pubblico, provvedimenti che non derivano da espresse disposizioni di legg~ ;- che basta che la pubblica sicurezza abbia imposto limitazioni al regime di un pubblico esercizio, perchè si debbano osservare,,.· La sentenza della Cassazione è stata severamente giudicata dal Lucchini nella Rivista penale in questi termini: " Essa senza neppur più curarsi_ di articoli di legge, consacra senz'altro nell'autorità politica il più ampio e sconfinato diritto di emettere provvedimenti, siccome " incontestabilmeate manifesto ,, per l'indole della cosa e dell'ufficio, e aggiunge dover riconoscersi pienamente legale l'esercizio di tal diritto .finchè, come nella specie, non sia leso alcun diritto ,,. " Già, se vi è un diritto, il suo esercizio dovrebbe esser sempre legale. Ma poi, come si può dire che una limitazione della libertà non leda alcun diritto ? O che diritto non è se non il bere, il mangiare e il vestir panni? Così era ai tempi austriaci e borbonici, ma non in un civile reggimento; e l'affermare che i precetti polizieschi non ledano alcun diritto vuol dire aver poca famigliarità con le istituzioni e guarentigie costituzionali .... ,, " Tristi,· tristi assai sono le riflessioni che corrono alla mente di fronte a tali requisitorie e a tali sentenze, ispirate. evidentemente non dal culto rigido e austero della legge, di cui la Corte Suprema dovrebb'essere vigile custode, ma dal falso concetto di favorire la potestà e il prestigio della pubblica autorità, ottene~do poi, come ormai insegna una ben lunga esperienza, un risultato diametralmente opposto a quello prefi.ssosi ,,. " Confidiamo che i magistrati di merito sappiano e vogliano resistere a sì aperte e manifeste violazioni della legge ,,. Per apprezzare al giusto questo severo giudizio, a color.o che lo iguorasser.o, faremo sapere che il Lucchini è precisamente un ·consigliere della Corte di Cassazione di .Roma, ed uno dei più illustri penalisti italiani non ostante la voluta sua microcefalia, denunziata colla sua ordinaria balordaggine dalla scuola di antropologia criminale. Gli amici nostri del Giornale del Popolo hanno fatto bene a mettere in evidenza le benemerenze civili del Lucchini ; ma ne hanno dimenticata una non p~ccola: il contegno liberale e giuridicamente corretto tenuto in occasione delle decisioni vili della Cassazione di Roma in tema di Tribunali militari. E ci piace ricordare che in una. di queste occasioni il Lombroso, con uno scatto· di sincerità lodevole, diresse al Lucchini una magnifica lettera in cui esprimeva per lui calda ammirazione. L'Ungl~eria e l'eser<'ito Austro-Ungarico. - Che la situazione politica interna dell'Ungheria non è delle più rosee tutti sanno, ma che ad aggiungere esca al fuoco ci si metta proprio l'Imperatore questo nessuno lo poteva immaginare, e nessuno lo pensava. Eppure è stato proprio così. La questione che era già, grande e che il Khuen e il Szell non riuscivano a risolvere in nessun modo, è stata acuita proprio da quegli che dovrebbe essere la mente riflessiva, e la personalità moderatrice di quella politica fatta, più che altro, di prepotenze Austriache a danno della nazionalità Ungherese. Altra volta abbiamo avuto· occasione di occuparci dell'Ungheria e dell'Austria, ed abbiamo rilevato quanto noccia alla coesione dell'Impero la diversità di popolazioni e di razze di cui è composto. Il problema di tenere uniti tanti di versi popoli pareva risoluto sem - pre dalla personalità di Francesco Giuseppe cui le sventure della sua casa conciliavano la simpatia ed il ri- _spetto di tutti, e la cui tarda età induceva a pazientare anche i più insofferenti di giogo. Del resto egli era anche riuscito con la sua grande prudenza e la sua abilità non comune, a mantenere in vita ed in vigore quel moclus vivencli che più che ogni altro trattato, legge o costituzione contribuiva a tenere unita all'Austria l'Ungheria. Ma ora egli stesso, irritato probabilmente dalla avversione dell'Ungheria ad accettare i.. ...... benefici del governo del conte Khuen Hedervary, egli stesso ha dimenticate le sue virtù, e col proclama di Clopy che farebbe ridere se non fosse una sfida al sentimento nazionale di un popolo, e non fosse la scintilla che ha dato fuoco alle polveri, ha dichiarato che l'esercito Ung·herese deve ricordarsi che egli è al servizio dell' Austria, che ~gli ha, quindi, l'obbligo di, reprimere ogni moto popolare Ungherese; e che deve parlare tedesco. Bisogna ricordarsi che l'Ungheria non è stata conquistata dall'Austria; non è un paese sottomesso: liberi trattati l'uniscono all'Austria sul piede di eguaglianza, e il proclama dell'Imperatore d'Austria - Re · d'Ungheria - all'esercito Ungherese è apparso, com'è difatti, una esosa provocazione. Ora date le difficoltà che alla politica interna Austria~a sono create dalle ao-itazioni Croate, Slavofile e Italianizzanti; dato l'ag- o . gravarsi della questione Balcanica, che si fa tutti i giorni più minacciosa, non pare una mossa molto conveniente, nè molto opportuna questa dichiarazione dell'Imperatore eh.e provoca lr1 levata di scudi in Ungheria.
510 RIVISTA POPOLARE DI POLITICA, LETTERE E SCIENZE SOCIALI E' vero che, come lo ha dichiarato franca.mente Francesco Kossouth, l'Ungheria ora è disn.rmata ecl impreparata ad una lotta di armi : ma qnesto però non significa che, se troppo audacemente spinta alli estremi, l'Ungheria non possa ribellarsi apertamente. Già dei segni minacciosi di rivolta si manifestano nell'esercito ungherese ; iutieri reggimenti dichiarano che essi parteggiano per la nazionalità Ungherese; numerosi gruppi di ufficiali si dimettono, mentre i soldati disertano. Si dice, e si pubbli~a, che reggimenti Austriaci sieno pronti a partire per conquistare l'Ungheria. La diceria è signi.:6.cativa; e se si traducesse in fatto l'esercito Ungherese si troverebbe in massa costretto ad optare fra la sua nazionalità, e la sua soggezione. Dato lo stato attuale delle cose la scelta non è dubbia, e in Austria si avrebbe la guerra civile. Qualche prodromo c'è stato già a Szeghedino, dove le corone deposte da soldati ungheresi sul monumento a Luigi Kossuth hanno provocato dimostrazioni seg,1ite da violenti repressioni con morti e feriti. I nostri lettori sanno che nell'interesse dell'Italia noi crediamo utile il mantenimento dello Stato austro-un. garico; ma non tutto ciò ch'è utile e desiderabile si può spesso realizzare. Perciò bisogna prevedere l' ipotesi del prossimo sfasciamento del vicino impero. Che faremo noi in quel giorno? Noi abbiamo un trattato di alleanza con l'Austria; ma il giorno in cui la lotta interna scoppiando apertamente riduca l'Austria ad una condizione di patente inferiorità il .trattato diventa nullo : saranno i direttori della nostra cosa pubblica ttssai oculati da prevedere questo evento, tenerqisi· pronti e saperlo sfruttare assai abilmente da farne profittar bene il paese? Il riavvicinamento colla Francia sarà tale, sincero e duraturo, da servirci nel caso? Noi abbiamo, o possiamo avere,pretese su certi punti del littorale Adriatico il giorno che l'Austria non possa più dichiararli suoi e come tali difenderli. L'agitazione Ungheresa fa prevedere, più vicino assai di quel che pareva, questo giorno: i nostri gover.- nanti ci pensano? Lo dovrebbero e speriamo ci pensino davvero, altrim2nti potrebbe darsi che ci pensasse per loro qualche altro cui uno sbocco sull'Adriatico farebbe proprio comodo. Non sono soltanto i pangermanici gli alldeutschr, i pa:d nadunali, come li ha chiamati Mommsen nel suo nobile appello agli inglesi. · Chi tal fa, tal riceve. - E' proprio vero che i proverbi son la sapienza dei popoli, e quella buona lana di Re Pietro di berbin. ne sta sperimentandone uno e lo esperimenterà fino ad applicazione completa; ciò che, probn.bilmente, non sarà proprio di tutto suo gusto, ma starà nella logica naturale delle cose. Non si peritò a mettersi d'accordo con un gruppo di ufficiali spergiuri ed assassini ed ora, assolutamente in loro balìa, teme per la sua corona, e molto più per la sua pelle. K on ha pace, n giorno, nè notte; gli ufficiali del suo esercito gli si ribellano reclamando la punizione delli assassini - tanto varrebbe chiedergli che s'impiccasse - il popolo, malgrado le smentite ufficiali, lo guarda in cn.gnesco, ed i suoi buoni n,mici gli fanno chiarnmeute intendere che se non riga dritto - questo vuol dire far ciò .che vogliono loro - son dispostissimi a rendergli il medesimo servizio che resero poco tempo fa a,l suo predecessore Aless[~n.dro e a Draga. Naturalmente, date queste condizioni di fatto, l'onesto galautubmo si sente un po' a disagio sul trono di Serbia; forse comincia ora a pensare che se fosse da. rifare non ne farebbe niente: -ma ormai.. .. e dorme cou tre sentinelle di tre reggimenti diversi alla porta della sua camera, e - questa è una diceria ma appare verosimile - si dice che dalla :finestra della sua camera penda una scala di salvataggio, della quale egli inten-, dcrebbe servirsi nel caso che quei suoi amici voles sero fargli visita dopo la mezzanotte. Nè lo rassicura la condotta degli alti capi del suo esercito. Il generale Jankovic comandante la guarnigione di Nisch, disobbedisce all'ordine del re, di cedere il coml:l,ndo al generale Ginkuic, e gli ufficiali tutti della guarnigione di Nisch si dichiarano solidali con quelli che furono arrestati per aver firmata la petizione con la quale dimandavano al re la espulsione dall'esercito degli ufficiali regicidi. Jautchith ha nelle mani una lettera di Pietro nella quale egli prega i congiurati di agire al più presto e promette loro l'impunità se riescono. Queste prove di complicità, che hanno in mano i regicidi, spiegano perchè mentre il mondo civile brontola, e le potenze fanno il viso dell'armi, Re Pietro promove l'assassino principale, Maschin. Questa lettera fa pensare che se è lecito - o quasi - in certi paesi essere una canaglia, non è però permesso a nessuno d'essere uno stupido, senza portarne la pena. Intanto la Serbia è alla _vigilia della guerra civile, e il Re Pietro - l'amico dei regicidi - si spolmona ad assicurare gli altri, e si sforza di persuadersene, che tutto è per il meglio nel migliore elci mundi possibili. La verità è il rovescio, e potrebbe darsi che le sentinelle e le precauzioni non bastassero a smentire il vecchio proverbio: chi tal fa, tal 1-iceve. Ciò che, in fondo, non sarebbe altro che una prova di più del _dowinio potente di quella legge morale per cui ogni delitto ed ogni ingiustizia preparano da se i.tessi lo strumento e i mezzi della loro punizione. Noi. @@G@©©G@@@@@©©©@@@©@@@@@ Nel prossimo numero pubblicheremo il discorso che l'onorevole Roberto ~'.Ci rabelli ha pronunciato ai Cong~esso di Forll : 11 par ti to repub bli can.o e l'azione parlarnent.are. A propositodelcentenario Alfieriano L'ind ustre cittadella del Piemonte, A ti dal e moscato spumante> commemorà con la più grande solennità il primo centenario del giorno in cui si spense il più glorioso dei suoi cittadini, il primo e vero potante tragico dell'ItJ.lia risvegliantdsi a libertà Vittorio Alfieri, verso cui unanime fu l'ammirazione di altri Grandi: da Giuseppe Parini ad Ugo Foscolo e Gia.Gomo Leopardi; i quali tutti gli ele\rarono nei proprii carmi un monumento ae1~e pe,~ennius. Il o fiero Allobl'Ogo » colui che primo in su I la scena mosse guerra ai tiranni, col pugnale di Melpomene, ben era dt->gno del plau3o, di. uomini siffatti ; poichè il suo vet~s0 giungeva fresco e viYace, come acqua zarn pillante di fonte viva, a sconipigliare le idee rancide e vuote, i custumi imbellettati dell'aristocrazia di quel tempo; la vena spontanea di poesia impauriva i tiranni, e la sua prosa tutte\. nervi - come diremmo j 1 I ,
RIVISTA POPOLARE DI POLITICA., LETTERE E SCIENZE SOCIALI 511 oggi per indicare la concisione e la svelta sobrietà della forma - giung8va come tanti schiaffi sulle guance degli uomini vili e cortigiani, complici inconscienti e involontario sostegno - ·per quieto vivere - di ogni più esosa tirannide. . Io non ho quì la menoma pretensione di esa · minare tutta l'anima polifona di Vittorio Alfieri, .ribelle a ogni specie di dogma e ad ogni più pertinace menzogna convenzionale. Il fiero astigiano che, nelle sue varie manifestazioni, brilla ugualmente come le diverse 'faccette di un diamante, fu anzi tutto un carattere tenace, ed ebbe, contrassegno di carattere, una volontà ferrea e indomita, che non si fermava neppure innanzi alle più insormontabili diflicolia. Egli fu sopra tutto un uomo libero noncurante dell'etichetta e permaloso ::.nnanzi allo · spirito di caserma, al tanfo delle sagrestie o alle banali parate principesche. Poichè egli abbominò la tirannide ed esecrò i re. Sarebbe perfettamente inutile fare qui delle citazioni e sci.egliere tra i suoi versi o nella sua prosa una qualunque documentazione di quello che scrivo: Vittorio Alfieri era un uomo tutto d'un pezzo, uno di quegli eroi che si traggono dietro buona parte d'umanità verso la luce. Come citare 1 bisognerebbe pigliare la sua opera intera e metterla sotto gli occhi del lettore. Versi, tragedie, liriche, satire, autobiografia, trattati, poemetti, tutto convergeva a un sol scopo : le sopµressione della tirannide, il trionfo della libertà. Co--i la sua opera diventò un apostolato come quell~ di Victor Hugo, di Giuseppe Mazzini e del conte Tolstoi. Vietar Hugo ebbe lo sguar 10 più largo, anctrn perchè postériore all'Alfieri, .e volle e propugnò più cose: il deismo filosofico, la giustizia sociale, la fratellanza dei popoli; l'Alfieri, più vicino al Medio Evo, che nelle storie baroccamente si fa terminare alla· scoperta delle Ame· riche, senti sopratutto il bisogno di pensare liberamente, e come vide che il pensiero era tenuto· avvinto dalla censura dei preti e dalle forbici di chi rapµresentava l'autorità regia, egli avventò i suoi strali animosi e violentissimi contro i re e contro i preti, sostenendo bene spesso il regiridio a spada tratta. Ciò lo condusse logicamente ad essere un fervido propugnatore della forma repubblicana, tanto che giunge perfino a scrivere ingenuamente nella « Tirannide» che certe cose - per esempio una bancarotta - possibili sotto una « mono-tirannide ~ sono quasi irnrossibili . , in regime reµu_bblicano. Intendiamoci : se Vietar Hugo nei suoi primi versi manifestò sentimenti monarchici, rice'"ruti per altro in famiglia, dopo si ravvide nell'età matura e la sua coscienza repubblicana si fortificò 'e si corroborò attraverso l'azione rivoluzionaria contro Napoleone il Piccolo, e durante l'esilio. Egli fu un seguace della libertà incondizionata. Per Alfieri avvenne il contrario. L'Allobrogo per poco non cantò la palinodia al Parigi sbastigliato e .tll'America · liberata ; e ~e addirittura non lo fece, scrisse però il Misogallo. esagerato pamphlet diffamatorio contro .i Francesi e contro tutto· ciò che di Francese sapevo in quel tempo: moda, co~ stumi, lettere, scienze, arti. Egli perseguitò i gallt e i galloni con una. incalzante filatessi di virulenti epigrammi e sonetti, discorsi e. panegirici, prosa e poesie di ogni forma e metro. Eugenio Camerini - il cui ingegno, genialmente colto, fu, come ben notava altri, meglio sprerr,rnto ·e peggio paga• to dall'editore Sonzogno - scrisse: « Egli si batteva il petto della· sua Etruria e del Parigi sbastigliato. Chiamava i liberi, libe.rti. - La Ubertà era, al suo intendere un privilegio. Il fut démocrate, mais démocrate féo,lal disse· assai bene il Villemain nelle tre belle Lezioni, in cui tratteggiò da maestro e con raro affetto· la vita e le tragedie dell'autore del Misogallo. Di fatti egli lti prezza la ignuda plebe lurida che spalanca le digiune gole : Giunto è il regno dei c·enci, egli esclama. Alle nari aristocratiche che non erano offese dallo stabbio de' cavalli, facevan afa gli stracci della rovera plebe 1,. Mà l'Alfieri feG,e di più: egli escluse dalla libertà i nulla tenenti. e per popolo intese soltanto i nobili e gli agiati.• Il nostro illustre maestro Bonaventura Zumbini, che l'anno scorso tenne parecchie geniali lezioni· sull'Alfieri, faceva notare questo: un democratico contem(Joraneo chiamerebbe retrogrado l' Alfieri,· ma bii:;ogna notare che costui scriveva prima della Rivoluzione francese (il trattcito della Tirannide),· la quale non fu che il trionfo del terzo stato, quello che adesso si thiamerebbe borghesia: nemmeno gli Encicloµedisti parla vano allora del quarto stato, dei proletarii ,d'oggi. Ciò è vero. Noi· ricordiamo la formula: - Cile cos'è il terzo stato1 Nulla! Che cosa deve essere? Tutto l - Ma è· pur vero che sd gli Enciclopedisti ben poco si occup4rono della plebe - la cui difesa assumevano più tardi i seguaci del cosidetto socialismo utopistico Babeuf, Saint-Simon, Fourier ecc. - non scrisser0 però contro la sesquipedale plebe, contro il regno dei cenci. Poichè noi diamo troppa importanza· alle idee dominanti e non pen')iamo che di fronte alla morale alfonsina - spregevole sinossi de'lla· casuistica dei gesuiti - ci sono gli scritti di ·Pascal, è che all'autore del e Principe» rispondono, poco più tardi un gesuita e un re geniale, e chi· sa quanti altri, i cui scritti furono dispersi dall'oblio. Poi bisogna pur notare che la Rivoluzione· francese ebbe il primo e forse principale lievitò· nelle dolorosissime miserabili condizioni dei contadini e dei poveri diavoli, che erano a pieno ed'. ·intero libito dei preti e dei signori, perfettamente' come nel Medio Evo. Queste condizioni - con sapiente analisi ·notomizzate da Giovanni Jaurés nella Storia Socialista -- non .furono osservate dall'Alfieri, il quale, di sangue finam~nte aristocratico, si contenta.va di·· scagliare ì suoi fulmini al regif.ae monarclÙco · senza curarsi di quei misera·bili, 'che · dove.vano · i(
512 fdVIS'fA.PòPòLARR ht POLITICA, lltrfÉhÈ R Sé1EN21l SOCJAU ùare larga materia ai punti più elevati e sdegnosi del Giorno di Giuseppe Parini, che nel Bisogno · comprese mirabilmente la forza della necessità, divenuta più tardi teoria scientifica nel materialismo storico. ' Io non intendo •rimpicciolire menomamente l'anima grande e sdegnosa di Vittorio Alfieri il quale volle, ma non seppe del tutto liberarsi dallo spirito dominante nella propria casta; quand'anr-he egli vagheg·giasse, secondo scrive Camillo Ugoni, • quello che Vico chiamava libertà signorile, quella che gl'lnglesi hanno, quella che gli antichi credevano assodabile ed avevano associata colla schiavitù>, Vittorio Alfieri sarebbe pur sempre degno di' tutta la nostra incondizionata ammirazione e simpatia, pel bene che egli anche dal punto di vista politico. ha fatto all'Italia, svegliandone, coll'opera sua poetica e profetica, l' anima ne-; ghittosa. C'è poi questo. L'Alfieri, come molti dei massimi scrittori, ha pur avuto il suo momento di nebulosità visiva. A lui mancò la nozione del tempo; giacchè egli all'epoca della Rivoluzione vagheggiava una repubblica sul tipo de' Romani. Accenno semplicemente. Anche Cicerone so;,pira va la forma repubblicana in vigore al tempo degli Scipioni, mentre l'Impero s'ergeva vigoroso sulle rovine dell'antico ordinamento politico; Dante ambi va una monarchia universale con un imperatore tedesco alla testa,e Leopardi rimpiangeva, come altra volta f . mostrammo, i miti pagani scomparsi e dis rutti dalla ragione. piò deriva - mi pare - dal perchè i letterati bene spesso hanno l'orizzonte vasto teoricamente_; ma in pratica non sanno agire, .nè sanno mettere d'accordo lo sfavillare dell'idea colla meschinità dell'azione. Onde anche nell'azione si rifuggono nel passato, cioè nell'ideale. Questo dovè. tanto più avvenire in Alfieri, che nutrì il suo spirito colle vit'e di Plutarco - improntate quasi ad una castigatezza catonescamente repubblicana - e colle storie di Tito Livio e di Tacito, oltre che con tutti gli altri classici latini e greci; egli non seppe trarre dall'antico il vitale lasciando il morto, come ci pare che faccia letterariamente, Anatolio France : egli pigliò tutto. Dal resto l'odio contro la Riv·oluzione doveva na~cere in lui non solo per ragioni psicologiche, anche µerchè egli a stento si salvò da_llegiornate d'agosto, preludio ai massacri settembrini {2-5 settembre 1792), che furono una vera e solenne ubbriacatura di sangue· umano, voluta e giustificata nell'Amico del Popolo dal cinico Marat; uomo d'ingegno corto, al dire di 'I'hiers, e di ariimo feroce come di viso· laido, per cui la distruzione degli aristocratici era un ritornello simile al » Delenda Carthago » di Catone. Noi ricordiamo perfettamente una bella frase di E. De Amicis, il quale, in uno dei suoi articoli soffusi da, delicato sentimento socialista, diceva della famiglia, quello che noi potremmo dire dell'umanità, cioè « che non concepisce ~enza spasimo ». Più di un secolo è passato dalla Rivojuzione, e se noi LJ0'-Siamo riprovare, di quell'epoca memoranda, i sanguinosi eccessi, che s'attirarono lo sdegno di Mazzini, abbiamo però sempre sotto gli occhi le conseguenze di quella carneficina violenta, violenta protesta di tanti secoli di sorprusi e çli a.bbominazioni. Ma Alfieri non potette vedere l'esprit nouveau diffondersi· e trasfondersi nella ci viltà, nella politica e nel giure, lui non vide che le conseguenze immediate: il / palco eretto e la • mannaja a contrappesi un po' rimodernata e incipriata da un medico macchinhta chiamato Guillottin ,., o in altri termini il sangue versato, le giornate di settembre e il dilaniarsi feroce, a ·colpi ùi pugnale e di mannaia, delle diverse fazioni politiche. Appassionato dall'argomento e dalle antinomie, che in Alfieri, come in altri scrittori, si trovano, mi son lasciato trarre più fuor del seminato che non fosse nel mio desiderio. Ma mi pungeva il dubbio che non avvenisse per Alfieri, quello .che giorni fa aC'cadde a Rénan. Un foglio napoletano - « a disposizione del Ministero» - per poco non lo faceva passare per uno scagnozzo picchiapetto o un bieco reazionario: tutto ciò in un degno turpiloquio, da cui traspariva la passione politica, che animava lo scrittore contro la « democrazia ». Poichè il pensiero di certi titani delle lettere e delle sci'enze· non si desume <la una frase o da I • un'opera, scritta in un momento di malumore o quando la parabola della vita scendeva, ma dalla opera complessiva Così i posteri vedranno in Carducci Enotrio Romano, non il Renatore Giosuè; e desumeranno il pensiero politico di lui dal maggior n_umero .di poesie, piuttosto che da •qualche di.scorso ... elettorale. Così l'opera massima dell'Alfieri resterà in difesa della libertà e contro la monarchia, sia pur quella ,dei Savoia. Noi siamo troppo abituati a ritenere i Sabaudi come principi-modelli. Al liceo e al ginnasio ci hanno così piena la testa dei vari conti rossi e verdi, degli Amedei ed Umberti Bfancamano; noi siamo talmente impregnati dello spirito monarchico attaccatiècio, sapientemente infuso nelle nostre anime adolescenti, che quando leggiamo la veridica i~toria dei principi sabaudi restiamo come intontiti. Già fin dalla prima elementare ci turbano l'anima con scempiaggini di questo genere: " Viva il Re! dell' It.alia gli sguardi Stan rivolti al temuto (!) tuo brando (sic); Salutiamo Re Umberto gridando: Viva il Re! Viva il Re! Viva il Re!,, Ma ben altro ci apprende la storia: da Carlo Felice, che si oppone violentemente alla costituzione e lancia il Piemonte « in balia d'una reazione eccessiva> (Bertolini), a Carlo Alberto il magnanimo (!), meschinissimo manichino e travicello nelle mani dei reverendi gesuiti, che condannava a morte Garibaldi e Mazzini e faceva largo uso della tortura nelle carceri; da Cavour, la cui anima
... \ fUVISTA POPOLARE DÌ POLITÌCA, LETTERE E scikNZE SOCÌAli 518 reazionaria 1·e1·wn scriptor- sviscerava in dotti articoli. della Critica sociale, fino alle cervellotiche imprese guerresche del <« padre della patria », · la storia, narrata da scrittori non sospetti, ci ap- . prende ben s.ltro. Rimontando più in su è la 1nedesima cosa. Ognuno saprà le dolorose peripezie subite da Alessandro Tassoni, il poeta giocoso più felice e lo spirito più libero e bizzarro del secolo XVII. Le anguste sue fortune - scrive il Tiraboschi - facean bramare il servigio di qualche principe, e nel 1613 cominciò a introdursi nel servigio del duca di Savoia Carlo Emanuele. Per conto del duca - in guerra con la Spagna - Tassoni scrisse due Filippiche contro gli Spagnuoli e una Rispo • sta a un Soccino genovese, che dichiara va legittimo il dominio spagnuolo in Italia. Nelle filippiche il Tassoni con generosità di cittadino, con -acutezza di politico, e forza di oratore (Carducci) intende a mostrare la debolezza della monarchia i.berica e a sollevare contro il dominio straniero i principi e i popoli d'Italia. « Carlo Emanuele - continua Giacinto Stiavelli, in una succosa prefazione alla Secchia rapita - si disse grato al Tassoni e lo pregò di accettare 200 ducatoni, i quali, per altro, non vennero mai pagati. E nemmeno si ebbe mai il nostro poel~ le 30 pezze d'oro e i 300 ducatoni di pensione che lo stesso principe, largo nel promettere più che nel mantenere, gli assegnò nel 1616. Venne per altro, nel '18, nominato segretario di quel Duca nell'ambasceria di Roma e gentiluomo del cardinale Maurizio, figliuolo di lui. Nel '19 fu' chiamato a Torino, quale primo segretario di Carlo Emanuele, e rimase in corte fino al '21, più pasciuto a parole che a fatti. Anelato nel 1621 a Roma per accompagnare al conclave il cardinale Maurizio, si guastò seco lui e la ruppe del tutto con la corte di Savoja. Si era avvisto di non goder più la fiducia di Carlo E manuele, il quale erasi rimpaciato con gli Spagnuoli, e non volle rimanere in paradiso a dispetto dei santi (se paradiso può chiamarsi una reggia, e se santi possono dirsi coloro che vi comandano). In remuneraiione àe' suoi servigi si ebbe l'esilio di dieci giorni da Roma, e cjò perchè il cardinale Maurizio aveva dato ascolto alla voce che il Tassoni gli avesse fatto l'oroscopo e ricavatone che egli rius~irebbe un ipocrita. Il nostro poeta, allora, per mostrare come male fosse stato ricompensato da casa Savoja e per salvare la sua reputazione, pubblicò lo scritto: Manifesto di Alessandro Tas-. soni intorno alle r_elazioni passate tra esso e i principi di casa Savoja, scritto degno d'esser letto e meditato da chiunque voglia conoscere quanto sia difficile il servire i re, quanto sia duro il vivere nelle corti, siano pure quei re e quelle c0rti il meglio della specie. » se· la triste odissea di Tassoni ci mostra la gene. rosità di Carlo Emanuele, quello che scrive l'AL .. fieri ci dà la giusta misura clella 1iber·tà Sabauda ai tempi della Rivoluzione. Nè si potrebbe dire elle allora dappertutto era così, perchè mentre gli altri principi d'Italia, specie il Gran Duca di Toscana, svecchiavano e raddolcivano la tirannia, il re di Savoja preferiva allearsi all'Austria ed alla Prussia per combattere la Francia, dal cui esercito improvvisato ebbe poi la peggio. L'Alfieri nacque, dunque, sotto Carlo Emanuele lII ( + l 773), come 1 ui stesso dice, e visse durante il regno di Amedeo III ( + 1796), Carlo Emanuele IV, che abdicò nel 1802, e alcuni mesi durante il regno di Vittorio Emanuele I, che « abdicò - dice Bertolini - per non venir meno ai suoi principj conservatori 1> (leggi: reazionari). Ma Vittorio Alfieri, quantunque aristocratico per famiglia, cerca subito di disvassallarsi, spatriarsi e spiemontizzarsi: sia perchè egli era seccato dalla debita e « consueta permissione che bjsognava ottenere dal re per uscire dai suoi felicissimi stati »; sia perchè, dice lui in un altro capitolo dell'Autobiografia (Virilità, VI): « con privilegio non invidiabile i nobili feudatarj sono esclusivamente tenuti a chiedere licenza al re di uscire per ogni minimo tempo dagli Stati suoi; e questa. licenza si otteneva talvolta con qualche difficoltà o sgarbetto dal Ministro, e sempre poi si ottenea limitata.» L'ultima volta, che chiese la licenza, dovette l'Alfieri sorbirsi una « spiacevo! parola ». Però la licenza e nè i cadetti, nè' ! cittadini di nessuna classe, quando non fossero stati impiegati, erano costretti di ottenerla ». A ciò. forse',·'!'Alfieri si sarebbe acconciato; ma c'era il guaio aella li- , ' bertà di stampa. Fin allora egli aveva scritto la Virginia e i libri della Tirannide (senza stamparli) come se fosse « nato e domiciliato in paese di giusta libertà »; ma subito conobbe quanta fosse e l'impossibilità di rimanere in Torino stampando, o di stampare rimanendovi >>, poichè per chi aveva la voglia di stampare, all'estero, scritti ·un po' spinti, c'era questo zuccherino: " Sarà pur anche « proibito a chiccllessia di fare stampar .libri o « altri scritti fuori de' nostri Stati, senza licenza « de' revisori, sotto pena di scudi sessanta, od « altra maggiore, ed èziandio corporale, se così « esigesse qualche circostanza per un .pubblico (< esempio». Di modo che l'Alfieri non poteva essere al tempo stesso « vassallo ed autore ». Prescelse di esr.;ere autore, e decise di donare i due terzi della sua proprietà alla sorella Giulia, maritata col contè · di Cumiana, e ritirarsi a _vivere nella Toscana. Ma per dare stabile e intero com-. pimento a quest'affare molte noje ebbe a soffrire e molo tempo passò, perchè ci vollero le consuete permissioni del re: ~ chè in ogni più privata cosa in quel benedetto paese sempre c'entra il re ». E il re dovette approvare ia donazione e il canone annuo da corrispondere all'Alfieri; e poichè s'era determinato a non abitar più il Piemonte, dovette . chiedere un nuovo permesso al re, « il quale ad J arbitrio suo si sarebbe sempre potuto opporre allo sborso della pensione in paese estero ». Naturalmente il permesso fu infine accordato, giacchè il re <l'allora - dke 1' Alfieri - "il q~ale certamente avea notizia del mio pensare (avendone io dati
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