Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno IX - n. 5 - 15 marzo 1903

114 RIVISTA. POPOLA.RE DI POLITICA, LETTERE E SCIENZE SOCI.A.LI ~ l saggi del Sorel sono preceduti da una interessantissima prefazione del Racca, in cui la critica obbiettiva e 1'ispettosa è commista all'ammirazione più schietta. Di tale Prefazione crediamo opportuno riprodurre d~~~L . " Giorgio t:)orel è uno dei più grandi sociologi contemporanei, uno degli spiriti più chiari più acuti, pm analitici e nello stesso tempo più sintetici. I suoi saggi di analisi, d'interpetrazione e di cri- • tica del marxismo e delle facce multiformi della vita sociale antica e moderna sono dei veri modelli di pre- ·cisione e di lucidità, alla lettura dei quali si scopre -quanto poco noi conoscessimo i fenomeni che pur stimavamo di conoscere perfettamente. Il Sorel è un matematico di prim'ordine; egli occupò una gran parte della sua esistenza nella vita pratica; non fu mai ascritto ad un partito politico o scientifico. Tutto ciò fece sì che egli fosse mirabilmente predisposto per gli studi sociologici; tutto ciò gli diede l'assenza di fronzoli e di sciocche sentimentalità, lo stile conciso e chiaro, la lucidità delle idee, l'obbiettività, la franchezza piena ed assoluta contro e malgrado tutto e tutti ,,. Il Racca dopo aver fatto la critica di alcune ide~ del Sorel chiude la prefazione con queste parole : " Dicono che il Sorel sia socialista. Ma noi seguendo il nostro aut9re nella sua franchezza assoluta, la quale dopo che egli ebbe tanto studiato Marx lo porta a chiedersi se q•uesti fosse comunista, ~i chiediamo se e quanto il Sorel sia socialista nel senso corrente della parola. Se si vuole accettare la sua definizione che,_sono anarchici coloro che, denunciando la corruzione e l'ignoranza di tutti i governi mostrano l'inverosimiglianza di un rinnovamento sociale ottenuto da un parlamento, e preconizzano l'organizzazione delle classi operaie .. in società capaci di migliorare la sorte dei lavoratori ,,, il Sorel è anarchico. Difatto è uno scienzato, un grande scienziato che vede (come il nostro maestro, Vilfredo Pareto) che in mezzo al generale sfacelo di una società in decomposizione, non è al socialismo che spetta l'eredità, ma all'intelligente, forte e seria aristocrazia di lavoratori che è in via di formazione ,,. I,a cr,n1 mcn1ora.zione cli \fazi".ini e il Governo del Ile. - Quest'anno la più bella delle commemorazioni l'avrebbe fatta il ministro dell'Istruzione Nunzio Nasi, raccomandando ai " Regi Provveclitori agli studi e " e ai Presidenti delle Giunte cli Vigilanza per qlì istituti "Tecnici e Nautici,, i Doverdi ell'Uomo di Giuseppe Mazzini. Ma siccome il nostro governo, anche quando è rappresent:1,to da uomini che dicono di.non aver paura dicerti vieti pregiudizi, trema come una foglia quando fa una cosa buona, e la fa quindi male: questa volta, d'accordo, -- parrebbe persino impossibile, se non fosse vero! - con la Commissione Editrice delle Opere di :nfazzini - doventata così un'agenzia succursale del Ministero - ha raccomandato una edizione (Firenze. G. C. Sansoni) dei Doveri dell'Uomo, decapitata della scultoria prefazione di Mazzini - ch',è la spiegazione e la sintesi del libro, inseparabile dal medesimo come la testa dal corpo - mozzando qua e là il testo dell'aureo libretto nelle parti che potessero urtare i delicatissimi orecchi dei nostri monarchici più ortodossi che, si sa, alle note dell'ideale preferiscono sempre quelle della marcia del Gobatti. t Riservandoci nel prossimo numero di tornare su questa indegna mistificazione dei Reverendi Padri della Minerva e della Commissione Editrice delle Opere di G, :M9,zzini, non possiamo a meno che a:.sociarci ai nostri amici del gruppo repubblicano dell'Estrema che non vogliono un Mazzini castrato, un Mazzini diverso da quello che è. Per fortuna il resultato di certe ipocrisie che dimostrano tutt'altro che " l'illurninato discernimento del Governo del Re ,, proclamato dalla Commissione Editrice delle opere di Mazzini, che sostituisce una flaccida e vu, ta prefazione - capolavoro di tartuferia - a quella vigorosa e densissima del filosofo genovese: per fortuna il risultato, non sarà che quello d'invogliare parecchi italiani, curiosi di sentire genuinamente certe bestemmie politiche, a leggere il testo autentico dei Doveri clell'uom,o di Giuseppe Mazzini. Ed è a spert1rsi che leggendo i suoi Doveri s' invo,'.";lieranno anche a leggere almeno qualcuno dei 20 volumi delle opere di lui, tanto che basti, se non altro per non spropositare, come in odio ai repubblicani fa l'Avanti! del 13 marzo: che la teoria di Mazzini salvata la Repubblica, lascia " intatta la sostanza, ossia il fondamento mi- " stico ed autoritario su cui si rizzano tutti i troni e " tutte le dominazioni di classe ,,. * La schi:,vitù al Ben,atlir. - In questi ultimi tempi hanno fatto viva presa sull'opi~ione pubb}ica le pùbblicazioni del Secolo di Milano e di altri giornali che citando fatti e documenti denunciar9no la esistenza della schiavitù nella nostra colonia del Benadir, concessa in ge::;tione ad una Società anonima di capitalisti milanesi. La cosa fu portata alla Camera, principalmente da una interpellanza del deputato Gustavo Chiesi, intesa a conoscere le condizioni morali e materiali di quella Colonia ed i rapporti del Governo colla società concessionaria, e da n,ltre interpellanze degli on. Cottafavi, Mel e Santini, queste ultime specialmente ~·iflettenti la. quistione della schiavitù. ' .L'on. Chiesi diede a~pio svolgimento a tutte le quistioni inerenti alla Colonia del Benadir, dimostrando, prima, come la Società si fosse accinta all'impresa con un capitale insufficiente (1 milione) del quale un terzo solo aveva versato, e che in tre anni e più di esercizio effettivo nulla essa aveva, fatto, per dare alla Colonia quell'incremento civile e morale ch'era scopo fo:q.damentale e tassativo della concessione fattale dal governo, colla convenzione del novembre 1898 approvata dalla Camera, accontentandosi di incassare la sovvenzione governativa di L. 400,000 annue - pagando su di essa il tributo di 220,000 lire dovute al Sultano del Zanzibar, in compenso del protettorato accordatoci su quel territorio - e gli introiti doganali su la merce in. entrata ed uscita dalla Colonia. Non opere di approdo per assicurare la navigazior:i.e: non miglioramenti nelle vie di comunicazione per l'interno, o fra le varie località del territorio; non provvedimenti per la sicurezza pubblica, e per la giustizia; non tentativi di vera colonizzazione agricola, nulla insomma di tutto quello che la Società avrebbe dovuto fare e che solo avrebbe potuto combattere la piaga della schiavitù. Quanto alla schiavitù, la esistenza di questo stato sociale inferiore, nel Benadir, non era un mistero nè per il governo, nè per la società, nè per q nanti si occupano di studi e di cose africane. La colpa, la responsabilità, vera, innegabile, che si fa n,lla società del Benadir, e che il Chiesi largamente dimostrò alla Camera, è l'aver non solo tollerato, ma sanzionato ed in certo modo, anche tratto profitto, dalla schiavitù, o ·da quello che è il commercio degli schiavi. L'on. Chiesi presentò all'a. Camera alcuni docurr: P-nti interessanti s-

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