. . 48 RIVISTA POPULA RE DI POLITICA. LETTERE E SCIENZE SOCJ.A..Ll poté infatti viola1·e in Lutti i modi quando t'acea comodo; e non si temette neanche di dimenticarlo ne' suoi dispositivi più v11ntaggiosi agli operai, ai più assidui, de' quali, ad esempio, non Bi permise di giovarsi degli articoli 9 e 10 che accordano agli studenti il passaggio a socii con diritto a mante11el'e l'agevolazio1!e della tassa progressiva ! Anche questo bollor reumatico di riforma è, come il lettor vede, un 11uovo indice della viziosità ~rrante per tutta la compagine della U. P. fiorentina, e che è lì ad attestar: l'incoscenza della vera sede del male. Perciò io ho voluto esporlo al lettore, perL:hé egli possa vedere scarnificate alla meglio tutte, o quasi, le radici di questo male. Molte allre questioni potrei qui sollevare a riguardo della U P. di Firenze, ma bisogna pur che m'affretti a toccare a un secondo capo della questione che l' egregio amico molto opportunamente P' nsò di portare al giudizio del pubblico fiorentino. Finora, io non ho fatto se non documentare, quasi direi, in appoggio alle più savie consideralioni del valente nsservatore; ora io debbo venirne a qualche appunto su talune sue altre considerazioni, secondo me, o erronee, o in ogni modo, assai poco fondate - la qual cosa mi permetterà, infine, di uscire dal campo circoscritto, se pure solo apparentemente, ali' U. P. fiorentina. II. " .. L'egregio pr0f. Dalla Volta, accennando al funziona- ,. mento della University Extension inglese (peccato che, al riguardo, nulla ancora si sia pubblicato in Italia all'infuori di quel tanto che ne dice Ernst Schultze nel suo, del l'esto, interessantissimo lavoro Corsi e Scuote popolari di coltura, e di qualche articolo o studio poco letto) pensa sia sba{Jliata la derivazione da essa delle U. P. francesi e italiane. Egli intende evidentemente attribuire a questo lo stato di inferiorità della forma nostra estensionista di fronte a quella originaria inglese; e però desidera che le nostre U. P. seguano più fedelmente il modello nordico, anzi egli giunge a consigliare di far ciò come unico rimedio per liberare i nostri massimi istituti popolari di coltura dai tanto lamentati difetti. Ora, da quanto io dissi più SQpra, egli avrà potuto notare che tutto ciò che di buono c'era nelle Estensioni u11iversitarie inglesi e di applicabile alle nostre U. P., io ebbi da un pezzo a sostenerlo - se pure in vano -- nel Consiglio direttivo della U. P. fiorentina; non però tutto, poiché non tutto è attuabile da noi di ciò che costituisce la Universit11 Extension, e sono, anzi, parecchie cose e generali e particolari che, se pure attuabili, buone non possono dirsi per noi o, almeno, per tutti noi itali11ni. D'altro canto, l'University Extension é una forma già invecchiata e manchevole (non sap1·ei per qual !"'agione il prof. Dalla Volta la dica anche, sia pure nell' indirizzo, organica); e se in Inghilterra e in altri paesi essa non fa che prosperare, ciò avviene, al certo, per circostanze e conàizioni d1 cose particolari e proprie a quei paesi, fra le qu11li non ultime, forse, anche quelle della autorità assorbente e del numero esiguo delle loro Università di Stato, della superiorità morale delle loro borghesie (nelle quali è anche più sviluppato il senso di responsabilità individua e sociale) e della condizione economica e morale fatta ai loro operai. Noi abbiamo splendide tradizioni in fatto di libere org;rnizzazioni universitarie; dirò meglio: noi avemmo nel medio evo un movimento estensionista il quale, in qualche modo, (come ebbi a notarn altrove) potrebbe stare a paro con quello attuale e che creò le prime Università. Le libere Università italiane di quell'epoca, infatti, non furono, al loro inizio e molto in là di e::;so, se 110n estensioni monastiche, in qu11.nto che la coltu,·a fin'allora ermeticamente chiusa nel monastero si estendeLte fuori di esso, così come oggi quella dell'U11iversità di Stato si estende al popolo: più tardi, poi, il contenuto estensionista dove a Iaicizzarsi del tullo e rendersi affatto indipende11te da quello dei monasteri. Da questa ultima fase, s1 può dii·•', provenne a noi quel tipo nazional0. rn cui si dovea formare la nostra attuale Università di Stato rome pur quella di altre nazioni. Io 11011 posso ora estende•·mi oltre in que• sto confronto per adagiarvi le due fo1·me, inglese o italiana (o latina), e neppure per trarne quakhe conclu- • sione in favore di una terza e più perfetta forma da me vagheggiata e la cni ideai visione é nella mente, al certo, di molli studiosi del problema nuovo. lo dirò, soltanto, al prof. Dalla Volta, che l'estensione inglese é semplicemente questo: l'estensione di qualche materia o corso, variabili, dall'Università al popolo; mentre l'U. P. é un vero e proprio organismo scolastico a sé. Per riguardo a quella, mal si farebbe quindi a parlar di compenetrazione di materie, la quale non può che esser solamente in queste. Non bisogna, inoltre, dimenticare che la compenetrazione, l'organicità in genere dell'insegnamento tdel resto, autorevolmente proclamata nelle decisioni del Congresso internaziona/.e per l'insegnamento secondario e superiore di Parigi del 1900) pone come premesse, direi, teoriche e concrete, molte altre condizioni che non possono rinvenirsi nella University Ext•nsion. Ma, la contradizione in cui, come s'è visto, cade il prof. Dalla Volta, assume estensione maggiore ove egli accenna a specificare le materie che, secondo il suo criterio, dovr8bbero venire insegnate in una U. P. I suoi apprezzamenti, altrove così giudiziosi, son qui evidentemente spostati. Egli si fa una ben falsa idea dei fini dell' U. P., rruando dice di voler limitato l'insegnamento di essa « a certi rami del sapere che formano veramente la coltura generale (storia, geografia, letteratura, ecc.) - cioè a « cinque o sei materie », 11ggiungendo a quelle sopra notate in parentesi, l'Economia politica e « qualche parte del diritto privato e di quello pJbblico, ecc. » Dovrei soggiungere che non men falsa idea egli si faccia della cultura, poiché questa non può certamente consistere r1ella conoscenza anche perfetta dell'ordine di materie da lui indicato, e perché la cultura é qualcosa di diverso e di maggiore che non $Ì8 l'istruzione. Ma non su ciò io debbo e posso fermarmi, tanto più che l'insegnamenlo scientifico, nel vero ed eletto senso del termine, viene oggi semp1·e meglio apprezzandosi, e non soltanto dal punto di vistll dell'educazione popolare. Io domando ali' egregio professore: quale compenetrazione vuol che sia possibile esercitare fra queste così scarse e male scelte materie se non forse quella dell'arcaicità di concezione che può tutte riunirle, (eccettuata la Geografia, conoscenza naturale e sperimentale, quasi direi, tanto quanto l'Anatomia umana) e la cui sommazione sintetica non solo può essere inutile ma anche dannosa agli intelletti. Gli farò poi osservare che l'insegnamento di una Storia che non sia collegata alle somme linee figurative e documentali della civiltà, quello della Letteratura che non sia qualcosa di più serio di ciò ch'esso é attualmente, quello dell'Economia politica che non sia vivace e nudrita dialettica sussidiata da largo corredo di conoscenze naturali e scientifi ·he oltre che di esperimentazioni storiche e positive, quello del diritto che non spazii in sintesi scientiliche e non si fondi su conoscenze egualmente scien-
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