t .. /. . . . RJVISTA POPOLARE DI POLITICA. LEITERE E SCIENZE SOCL4.Ll i loro desiderati· in ordine all'insegnamento, gli studenti furono riuniti nel locale, dell'U. P., nessun alLri ebbe curiosità di assistere a quella riunioue all'infuori di me che - sia dello fra parentesi - dovevo trovarmene, oltre ogni più temeraria speranza, premiato, non soltanto coll'inattesa soddisfazione di aver potuto constatare come gra11 parte di quanto io venivo la~entando e proponendo in Consiglio fosse pre isa.nente e secondo lo stesso mio pensiero, inteso dagli studenti, ma anche colla gioia grande di aver poLtJ.toconstatare con quale alto senso di responsabilità, con quanta nouile dignità la discussione procedesse. E potrei continuare ancora dell'altro; ma, é bene fermarsi qui. Ora, io voglio anche ammettere che nel primo anno non fo.sse possibile di condurre ad effetto una sola delle cose che a me, e forse non a me soltanto, pareano pure così necessarie; voglio inoltre ammeLlere, ad 0l!or della vecchia dannata ipotesi, che nel secondo anno le impossibilità rimanessero invariabili (confesso francament'3 che nc.ppure io speravo di veder tutte effettuate le mie proposte); ma ciò non po:eva né doveva, io penso, impedire, la presa in considerazione aln1eno, se non lo studio, di cose tanto essenziali alla esistenza e al progresso dell'U. P. come principio, come premessa, come indirizzo su cui avviare pian piano la nostra Scuola superiore del popolo. In ogni modo, anche in codesto rir,idiiinio negatfoo nstrattamente considerato - col quale sempre si maschera l'impreparazione, spesso la mala volontà, e talvolta qualcosa pure di men confessabile - può rinvenirsi una radice fra le più robuste e violente del male (qui e là più o meno allarmante) che affetta in ge11.erale le U. P. italiane. Il prof. Dalla Volta, in appoggio delle cui interessanti considerazioni son venuto finora esponendo dei fa lti precisi, vede bene come non mi potesse riescir nuovo cruanto egli lamenta cosI giudiziosarnenLe nel suo articolo. La soggettività forse troppo intensa di rruesle mie notazioni, la quale io oso sperare non sia che meglio a Lta a renderle suggestive nelle loro linee essenziali, nqn può togliere valore al fatto che a me preme r1ui rilevare: questo eioè, che non la sconoscenza delle cose notate dal prof. Dalla Volta, ma il nullo potere della conoscenza di esse, invece, in menti, salvo eccezioni, affatto impreparale, spinto fino al più inintelligente accanimento di repulsione, può dirsi, se mai, una delle cause maggiori dell' attuale stato della U. P. di Firenze. Prima di chiudere questo. pr:mo capo della questione, bisogna che io tocchi a un, dirò cosI, aspetLo particolare che il disagio è venuto da un pezzo (sordamente prima, oggi palese men le) assumendo nella Associazione della U. P. fiorentina - intendo alludere al movimento 1·iformista che si è or ora affermato nell'ultima assemblea sociale. Del resto, mette conto di accennar qui immediatamente al fenomeno straordinario, perché il lettore non s'inganni sulla sua portata e possa anche caratterizzarlo di fronte a qu6ll'aHro, dirò anche, riformismo, da me, come s'è visto, inulilm~ute sollecitato, il quale, appunto perché veramente utile e opportuno, trovò costantemente dl3isordi incocciati a non voler ascoltare. Là si trattava diformare piuttosto che di riformare, o, se mai, di riformare delle mentalità; la bisogna, come vedete, era molto difficile e poco allegra: qui, invece, si ti1 alta di buttar giù qualche articolo più o meno innocuo per sostituirvene, con la solita competenza e col solito buon sangue, rrualche altro. Adunque, nella Associazione deLt' U. P. di Firen::e si vorrebbe ora dare ogni colpa dello aLLuale stato di cose al povero e tanto, ahimè!, dimenticato suo Statuto; e dalla riforma di esso sembra si sia lì per attenderne il tocca e sana. Non i~1,al certo, per sentimento e intellettualità di uomo moderno, mi opporrò a questa riforma. Potrei ricordare il detto, se non erro, di Montesquieu, che, cioè, non sono le leggi che fanno gli uomini migliori, ma questi fanno parere ottime le leggi; ma, io amo conLentarmi di assai meno. Personalmente, io non avrei che a sentirmi ben soddisfatto di questo pensiero di riforma che agita la Associazione fiorentina, poiché esso dimostrerebbe, infine, che si ha coscienza della rachitide da cui é affetta In sua U. P., so pure di questo male non si sappia a citi e a che cosa attribuir la colpa. lo sono il primo a con• venire che lo Statuto ha bisogno di esser corretto e perfezionato. E questo io lo dico ora tanto più n!Lamentc in quanto che lo Statuto ora è più apertamcnlee con più accanimento attaccato. Dirò, anzi, di più: dirò quello che non dissi mai quando esso ebbe lodatori: dirò, senza che mi si possa accusare di immodestia, che esso é lutto opera mia. Oserò, anzi, aggiungere che lo Statuto dell'U. P. di Firenze, in ispecie per quanto, più strettamente riguarda l'organismo scolastico, è il migliore di quanti io ne conosca; e mi rimetto, per tal., i·iguardo, al giudizio degli specialisti della materia. In ogni modo, per la grossa questione che oggi si solleva contro questo Statuto - poiché esso non concede alcun vantaggio ai socii, neppur r1uello di frequen• tare le lezioni -- avrei molte cose a dire. Potrei anche citare l'esempio di allre U. P. italiane dove (ruesto diritlo non è concesso; ma io mi limilo a dii· semplicemente che non é niente vero che lo Statuto faccia divieto ai socii di intervenire alle lezioni dell' U. P.; e clte poteva una decisione del Consiglio, secondo le circo-· stanze, ammetterli. A coloro, poi, che basar.dosi su un tale inesistente difetto dello Statuto, questo trovano ragionevole di modificare e di combattere, io osserverò che fra le varie proposte da me fatte a questo riguardo . , quando feci parte del Consiglio direttivo, ne fu pure una che invitava il Consiglio stesso ad ammettere, in via provvisoria e di esperimento, Lutti i soci alle lezioni; e questa proposta mi fu respinta da quelli stessi che ora più lamentano l'inconveniente, servendosene di argomento per voler modificato lo Statuto. Osserverò ancora che, quando nella preoccupazione, appunto, di accontentare in qualche modo i socii, ip mi accordai col prof. Bonaventura, tanto gentile verso la nostra U. P. perché egli ripetesse per le famiglie dei soci, il corso della storia della musica con audizioni, dato con tanto plauso agli studenti, io ne ebbi a patire dagli egregi colleghi del Consiglio una di quelle solite risposte che io dirò semplicemente collezionabili, anche perché sono come i francobolli .... Non si volle, dunque, mai pensare sul serio a far ciò che si poteva per attrarre alla Associazione dei socii nuovi e per contentare quelli che già c'erano; non si voìle mai fare della propaganda sul serio; non si volle mai avere un·a bibliote~a circolante né per socii nè per studenti, si arrivò perfino (la cosa é non sai se più risibile o più assurda) a negare alla U. P. la sua funzione di irradiazione; mi si respinse infine la proposta di un Congresso delle U. P. italiane a Firenze per discuterne seriamente tutte le questioni e gittare le basi di una Federazione di esse. Ora, io domando: tutto ciò (a non parlare di quanto già accennai in principio) era, forse, lo Statuto che lo impediva? Povero e dimenticato Statuto, del J'esto, se non deLLe mai alcuna preoccupazione, neppure nel violarlo ! Si
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