Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno VIII - n. 23 - 15 dicembre 1902

RIVISTA. POPOLA.RE DI POLITICA., LETTERE E SCIENZE SOCIA.LI 639 ma nemmeno le forme nuove concrete di attività individuali e sociali, che, sebbene ancora non ben determinate, si affacciavano già abbastanza vive negli spiriti superiori tra i suoi contemporanei. Egli fu grande, direi quasi inarrivabile, nel cogliere la natura umana statica, cioè quanto in essa di pensiero e di sentimento é reso fisso da secoli. In un'epoca, in cui una ventata di dolcez·za, di tenerezza quasi morbosa passava nelle opere dell'arte e anche in quelle della scienza; in cui Michelet aveva dato alla storia la poesia umana del romanzo e Renan si maturava a vestire di mistico sentimentalismo le sue demolizioni nella mitologia cristiana ; in cui Viclor Hugo, ~iganle, lanciava a libero volo l'anima sovraha verso I raenle,sciolta del peso della materia e sublimandol.!l,col fare divini perfino i suoi mostri; mentre Alfrodo de Vigny e Musset doloravano della malattia del secolo,come mera vi~ ~!iati che tutto ciò che l'uomo toccava .non si trasmutasse 10 fiori, offesi dal brutto e troppo deboli per sostenerne lo spettacolo e domal'io. - Balzac si chinava freddamente alla sua tavola per fare del romanzo un'opera scientifica. E vi riusci, ma da anatomista, non da embriologo; egli fu il fotografo geniale della visibile éra in cui visse; ma non senti la filogenia organica del tempo, il legame genetico dell'ora presente con lutto 11 passato e con l'av- ·venire prossimo, Ie cui voci avevano già scosso e affenaLoi Michelet,i George Sand, i Saint Simone i Victor Hugo. E questa insensibilita, quasi assoluta per tutto ciò che nella psiche umana e nelle istitµzioni sociali non è fissato da secoli, non ci deve meravigliare negli artisti. In fondo, in fondo, in parte scaturiscono da essa e in parte si nutrono di essa il misoneismo e la poesia esagerala e morbosa delle cose lontane, cosi frequenti in essi. Tutto ciò che nella nost1·a psiche e nelle istituzioni sociali non è fisso da secoli non è bello e sacro, ap• punto perché non è sentito negli elementi di vita e di bellezza nuova. E in certa arte e in certa scienza, prima di Balzac, e assai più dopo di lui, la poesia della vita non si sente una ed eterna, nel passalo, nel presente e nell'avvenire, se non quasi unicamente traverso a quei graziosi ~ingilli, che sono le dame e traverso allo splendore e a, riti sensualmente mistici, che le rendono più belle. Fate che un esteta veda una bianca mano protendersi a carezzare il capo di un bambino, la moderna castellana che butti il proprio borsellino al vecchio mendicante sulla soglia della chiesa, come nei vecchi quadri romantici o nelle odierne oleografie da due soldi, ed egli da volterriano raffinato e ra&ionevo'e, da superuomo vi dirà, con i buoni compari dei clero, che Lullo va per il meglio nel migliore dei mondi possibili, che gli orfani, vedove, e LuLLi poveri sono etali creati per la gran· dezza delle dame e dei gentiluomini, per il loro bel gesto che dona, e che sarebbe un vero dehllo se le società future fossero condannale a non più avere delle sceneLle cosi nobili e gentili. E innanzi all'incanto magico delle Fate il fetieista del bello non si chiede quasi mai quanto pianto e quanto sangue sia costato all'umaniLà questo grazioso idolo. Poiché la natura è dei forti, cioè dei superuomini e delle dame, a che pensare alle innumerevoli donne senza pane, senza Lello, senza famiglia che meriti tal nome, senza amore che le nobiliti e renda loro desiderata e sacra la maLernilà ~ Al fascino dell'aristocrazia aggiungete quello della chiesa con le sue architetture, le sue tradizioni, i suoi misteri, gl'incensi, gli ori, i quadri, con il richiamo a sé della poesia della naso::ila,dell'amore e della morte, ed eccovi abbaglialo, accecalo e conquistalo quel gran fanciullone che è spesso l'a1'LisL11,anche grande. Come il popolo, molti artisti si fermanoa guardi>re, non ad esaminare. Dovete colpirne l'imaginazione con i luccichii o con lo sLrepiLo. Non attendete dalla fotta e da quest'anima ingrandite delta folla, che sono gli artisti, di cui parliamo, la pietà virile della miseria· e dell'abbrutimento ogni giorno che vedeLe per le vie e nei Lugurii. Ma fate che il buon Dio si ricordi agli uomini con la ben nota ferocia di piccolo re asiatico, che si scaleni il cielo, che si apra la terra, che divampi il fu1co, che distrugga, per es., Modica, e vedrete sorgere la commozione generale che piacerà tanto agli esteti. La. nostl'a pietà della epidermide ha bisogno di essere sco,;sa dall'uragano, da immani tragedie, per fremere. Coloro che danno denari e vesti per le viLLimedi quell'inondazione, 9anno che i nove decimi dei nostri contadini si trascinano s:n da! nascere tra la fame, la malaria e la pellagra, Hanno mai pensalo al rimedio~ Siamo troppo avvezzi a questo spettacolo cronico per trovarlo interessante. E' brutto sì, ma di un brullo volgare; chiudiamo gli oc~hi e tiriamo avanti verso la bellezza. lo non accu,o Balzac di non e,sersi accorto dei dolori sociali. Egli studiò il fenomeno qua e là, in tulle le classi sociali; ma nella sua rappresentazione non lo colse mai il bisogno di inda~arne le cause e i rimedi: la coscienza del -::ittadino ebbe in lui una forza e uno sviluppo molto deboli, direi quasi fu rachitica in paragone della coscienza dell'artista. La Francia, uscita grondante sangae dalla rivoluzione e ancor più insanguinala da Napoleone, era tornata sfinita al vecchio regime. Il clt:ro e l'aristocrazia, dopo la tirannia alea della rivoluzione e quella militare dell'impe1·0, potevano ~iocare facilmente la part& della mitezza e della bontà E mentre Victor Hugo inneggillva alla santità della rivolu1.ione, mentre Saint-Simon trasfondeva la pietà del momento e l'eredità degli enciclopedisti nei suoi studi economico -sociali e faceva i piani utopistici della città futura ed, educava nei suoi d1scepoh il bisogno di sanare le miserie sociali con l'intuito dei rinnovamenti radicali, mentre una donna di genio, George Sand, compariva nel mon io lellerario, lottando anch'essa contro vecchie istituzioni e vecchi pregiudizi, Balzac si serbava fedele al passato che riappariva ed a quella parte odiosa del passalo che tornava ad imperare ed opprimere: il clero e l'aristocrazia. Dopo ciò noi ci crediamo in diritto di affermare, contro i critici, che Zola non fu per la letteratura della se· conda metà del secolo seorso ciò che Balzac fu per la letteratura della prima metà. In Zola l'uomo e l'artista sono l'usi insieme, sono un'unica forza civile, scaturente dai tempi nuovi, di cui egli è una delle voci più potenti. La sua non fu una sempfice ope1·a letteraria: dentro la gr11nde obbieLLività della sua arLe egli mise una indo- .ma bile fede, uno spirito di ribellione e di conquista, nutrito non soltanto dallo spettacolo del dolore e dalla sete d'idealità e di giustizia, come in Victor Hugo e in Michelel, ma anche dal senso sLorico reso più scientifico per il diffondersi della teori11 inLegrale dell' evoluzione e per lo sviluppo delle forze nuove nel campo industriale e nel campo proletario. che dànno una base solida scientifica alte visioni delle reallà del domani. Infatti Zola incominciò ad essere veramente artista quando a lui si schiuse, attraverso le scienze biologiche ed antropologiche, Lutto il mistero dell'.,nima umana e dell'ambiente fisico e soci11le, che la va creando fibra a fibra e plasmando. E gilla le radici dei Rou~on Macquarl in quel primo romanzo: La fortuna dei uougon, non certo uno dei suoi più celebri, ma che ha tante pagine di vera bellezza. È inutile indagare se in lui il senso sereno e profondo del reale, ciò che si è chiamato naturalismo, in· cominciasse a rivelarsi in quel romanzo o fosse incominciato prima. Egli aveva già lanciato con vero cor11ggio I miei odt al mondo arLisLico, come un guanto di sfida alle ve~':hie trad,izioni, a Lutto il ciarpame romantico. In quel primo lavoro del ciclo egli si rivelava grande; ma né fondava la nuova scuola realista, né la rimetteva in ono1·e pigliandola da Balzac, come si affermò da alcuni criLici, perché in tutti i tempi gli artisti veramente g1andi sono stati realisti, !naturalisti. I grandi artisti hanno se,npre l'intuito del reale. li guaio è che essi non sempre intuiscono, vedono e sentono tullo il reale; e inoltre, come spiegazione delle differenze tra gli artisti della stessa epoca e tra le varie fasi dell'arte allraverso i secoli, bisogna invocare un altro fatto importantissimo: il metodo, col quale essi pe• nelrano nel reale, nei fenomeni, non lo pigliano sempre • dai più geniali Lra gli studiosi contemporanei, ai quali viene imposto dalle conoscenze progredite e aumentale. Partendo da diversi punti, battendo diverse vie, si incontrano, è vero, Lutti nel senso netto e profondo della vita; ma non tulle le manifestazioni della vita in un dato momento storico sono percepite sempre da essi; e inol• Lre il ton'>, l'emozione che accompa 9na involontariamente tulle le nostre percezioni e la 1deazion➔ e la rap• presentazione, non è identieo in Lutti gli individui e 111 tutte le epoche. Riconosciamo però che le distinzioni ar• tifìciali tra le cos·1 dette scuole provengono più dai discepoli che dai maestri: di tanto si distaccano dalla vera arte, che è la visione delle profonde verità, la divinazione, che era così bene intesa dai greci, quando chia-

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