526 iUV1S1'A. POPOLARÈ bi POLITICA., LÈITERÉ B SCIENZÉ SOCÌA.l.t furono diffusi i principii della libertà econo1nica e venne predicata quella dottrina che benissimo fu definita di « nichilismo amministrativo » quei principii e quella dottrina ebbero valore di predicazione democratica e di strumento ri voiuzionario. Prima, infatti, che gli uomini 5i fossero dati allo studio delle scienze economiche, essi avevano cercato di por le mani nei rapporti economici, con risultati assai poco soddisfacenti. Un re pazzo o furfante riduceva arbitrariamente il metallo incorporato nelle monete e pretendeva che conservassero l'antico valore mercantile. In definitiva i prezzi delle cose crescevano e l'erosione della moneta s_iaddimostrava affatto inutile. Politicanti che si credevano abili, per sviluppare l'industria cotoniera inglese, uccidevano quella rlell' Irlanda. Risultato: i salari degli operai inglesi diminuivano, perchè gl' irlandesi rovinati emigravano in Inghilterra e venivano a fare la concorrenza agli operai inglesi. Per avvantaggiare le. sorti del lavoro, parlamenti filantropici votav,rno le leggi per i poveri e non ne riusciva che l'abbassamento della meta dei salari. I commissari del governo prescrivevano ai fabbricanti come il panno doveva esser tessuto, su che modello doveva esser disegnato, quanto doveva esser largv, e le industrie andavano in rovina. •· Non può negarsi che tutta la storia dell' intervento statale nei rapporti economici sia la prova defìnitiva della fallacia di questo intervento. Il Trattato del Pareto ribocca di esempi di questa specie. Gli economisti della seconda metà del secolo XVf[[ e di tutta la metà del successivo avevano ragioni da vendere, quando, dimostrata la estrema difiicoltà dell' avporsi bene in materia d'intervento statale, e le terribili conseguenze derivanti da un intervento sbagliato o maligno, concludevano che meglio era lasciar fare agli interessati il comodo proprio. I! errore nella condotta individuale partorisce appena la rovina d'un uomo o della sua famiglia; l'errore nella condotta collettiva potrebbe provocare il disastro di tutto un popolo. La dottrina del laisser faìre, dapprima semplice reazione al vincolismo del regime feudale, diventò consiglio di regola pratica della condotta. Il De Molinari riassume i benefici di essa in questa chiara formula: « il problema economico si riso! ve da sè stesso nella maniera più conforme all'interesse generale e permanente della specie, mercè l'azione delle leggi della concorrenza e del valore, ma a condizione che queste leggi naturali non siano ostacolate o turbate nella loro azione, in altre parole che esse agiscano in un ambiente libero» (1). Il guaio è questo che un ambiente libero, nel quale possano senza ostacoli agire le leggi natural i dell'economia, ancora non esiste. Il mondo è rotto e spezzato da barriere doganali, da usanze loc.:ali, da abitudini tradizionali che pervertono e (1) G. De Molinari, Les problémes du XI X siècle,Paris 1901, pag, 93. guastano il giuoco naturale della iibera c.:oncorrenza. L' istessa Inghilterra, che si mostra come l'Eden della libertà economica ·è ben lungi dal- !' offrirci lo spettacolo cl' un paese sincera men te conquistato alla libertà economica. Noi non sappiamo se un r-egime di piena ed assoluta libertà risolverebbe veramente, come pretende il De Molinari, il cosiddetto problema economico; (e saremmo inclinati a ritenere che no); ma è certo che questo esperimento non si è fatto ancora e quindi non è lecito concludere contro di esso. A noi accade spesso di rimproverare la libera concorrenza di quello di cui non è responsabile affatto. Ora schizziamo un quadro rapido dei suoi effetti presuntivi e vediamo in quali rapporti l'efficacia della libertà economica si trova con le finalità del socialismo, considerate indipendentemente dai mezzi, che per solito e tradizionalmente si giudicano congrui al fine del socialismo stesso. I risultati della libera concorrenza - conside rati teoricamente - si riferiscono a tre ordini di fattj: 1° al prezzo dei prodotti, 2° al prezzo delle rimunerazioni, 3° ali' equilibrio della produzione. Per quanto è di questo ultimo punto, giova osservare <.:he l'esercizio della libera concorrenza avrebbe a conseguenze : 1° che le industrie si stabilirebbero nei luoghi e nelle regioni, ove fossero maggiormente utili; 2° che le industrie stesse sarebbero costrette ad apvlicare tutti i progressi che la tecnica è in grado di realizzare; 3° che, essendo la produzione governata dal- !' interesse, essa tenderebbe ad equilibrarsi con la domanda e così a rendere sempre meno possibile o più tenue nelle sue conseguenze il fenomeno delle crisi. E che a questo fine si vada incontro senza bisogno d'una così fondamentale instaurazione della società, quale sàrebbe richiesta dalla sostituzione della proprietà colletti va alla proprietà individuale dei mezzi tecnici di produzione, lo mostra il fatto, come ho già notato altrove, che i paesi a più solida e vec~hia struttura industriale che esistano in Europa, e cioè la Francia e l' Inghilterra, sono state meno colpite dalla grave crisi economica, la quale cominciata in Europa verso la fine del 1900, si è venuta mano a mano liquidando nella primavera di questo anno. Ora, si badi, che nè l'Inghilterra, nè la Francia, godono d'una completa libertà economica (l ). (Continua) AR'rUlW LABRlOLA (1) L'argomento rlelle crisi è stato sempre sfrnttato a vantaggiv della tesi cnllettivistica. Mi sembra perciò cosa della più alta importanza nntare che i due paesi che nell'ultimo ventennio soffriron~ crisi economiche acutiss;me: Stati Un;ti e Germania sono i paesi classici del protezionismo. Non sembra riunque che_la libertà economica sia causa emergente di forti cr;si economiche. Per abbonarsi alla " RIVISTA POPOLARE,, mandare cartolina-vaglia all'On. Dr. N.APOL. 00.L.AJ.ANNl. Roma.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==