524 RIVISTA POPOLARE DI POLITICA, LETTERE• SCIENZE SOCLU:.l vendo essere il rimedio ài mali prodotti dalla so - cietà attuale, non conterrà tracce di quelle tre categorie sociali che son pensate cause dei mali stessi. Quindi esso consisterà: a) in un regime della produzione coattivo, b)-associato ed unitario, c) senza proprietà privata. Fuori di queste tre determinazioni il concetto logico di collettivismo non può dar.)i altro; ma in questo caso, come diceva Spinoza, ogni determinazione del concetto di collettivismo è una semplice negazione dello schema mentale che noi ci facciamo della società presente. Se non che la negazione collettivistica ha per presupposto un difetto d'analisi. È poi vero che la libera concorrenza Jeneri tutti i mali della società capitalistica 1 E se per caso questi mali fossero il prodotto del concetto e del fatto opposto a quello della libera concorrenza, cioè del monopolio, non ne discenderebbe anche che il rimedio escogitato non è proporzionato al male, ovvero che gli è congruo soltctnto in una misura da determinare ? Alla soluzione di questo ùubbio ci avvicinerà un rapido sguardo alla genesi storica dell'idealitù collettivistica, come è presentemente formulata. Stabiliremo così che il concetto del colletti vismo sorge per antitesi ad uno stato sociale, che non risponde completamente alla soci'età più evoluta in cui viviamo. * .. Accenno appena. Del collettivismo o comunismo utopistico e classico non è certo questo il caso di parlare. Esso obbedisce ad una legge formativa e ad un ritmo di svi! uppo che riguarda, per molta parte almeno, la semplice psicologia individuale. Inoltre non si concreta in un partito, nè da luogo. ad un vero movimento storico continuativo, come è il caso del socialismo moderno. 11 collettivismo moderno o, come più esattamente dovrebbe chiamarsi, comunismo critico (1) ha una paternità ben chiara e distinta in Gracco Babeuf. Non è un fatto privo di significato che il Manifesto dei Comunisti passando in rassegna e criticando le varie dottrine socialiste, apparse prima di esso, si astenga completamente dall'occuparsi d'una dottrina che aveva avuto tanta eco e aveva trovato il suo coronamento in una tragedia come quella del Babeuf. Sembra lecito supporre che i due giovani e geniali autori del Manifesto abbia.no voluto di proposito astenersi da ogni giudizio su quella dottrina, giudizio che, per la loro coscienza scienti.fica, dovendo essere assolutamente negativo, avrebbe potuto offuscare il senso di viva ammirazione che la figura storica del Babeuf solleva va in loro e la gratitudine che indiscutibilmente dovevano nutrire per il padre intellettuale di tutte le moderne sette comunistiche (2). (i) Tral•scio ogni questione oziosa c;rca il significato specifico di queste due parole, che oramai sono usate promiscuamente. (2) In che modo la tradizione babuvista si conservi nel blan• quismo e per la via di questo influisca sul marxismo si può ve, uere nelle Vorausset.wngen del Bernstein, pag. 27 e 6eg. ~~ dunl]_uc in Francia, e nel periodo declinante della Rivoluzione, che il sistema del collettivismo si vien precisando come dottrina e trova il suo strumento materiale in un partito, il quale non si spegne affatto coi suoi corifei, ma rivive in tutte le agitazit>ni rivoluzionarie per le ·quali è passata la Francia sin quasi alla Comune di Parigi, e per mezzo della Societé des Saison influisce sulla Lega dei Giusti, che più tardi· Moli, Schapper ed Eccarius trasformarono nefla Lega dei Comunisti. Questa genesi non è casuale . e serve meravigliosamente ad illuminare il pregiudizio socialistico che il sistema del collettivismo debba riparare ai mali della libera concorrenza. La Francia passò bruscamente dalle forme legali del regimento feudistico al sistema della libera concorrenza e della proprietà borghese. Sino alla vigilia della grande rivoluzione, le giurande si mantenevano in piedi e gli usi feudali vigevano in tutta la loro estensione, salvo che il tempo non ne avesse quà e là obliterati i caratteri più odiosi. Il passaggio dall' una forma legale all'altra fu rapidissimo. Che una tale sovversione clei vecchi or<linament,i della società dovesse accompagnarsi ad inconvenienti della peggiore specie, è cosa t.:he si capisce su due piedi. Ogni modificazione dell'equilibrio sociale, per quanto· diretta ad eliminare gl'inconvenienti del precedente equilibrio, genera, nel momento della mutazione, una somma di mali infinitamente maggiori di quelli che si vogliono ovviare. Non fa dunque meraviglia che la rivoluzione fosse seguita da mani,festazioni tanto pericolose di cittadini in preda alla delusione. Ogni sovvertimento politico o sociale lascia nell'animo dei suoi autori più sinceri ed entusiasti il ricorrente rammarico: ne valeva rJ.unque la pena? E ciò non tiene soltanto alle cons'!guenze degli irragionevoli desideri, ma alle condizioni inevitabili in cui ogni rivoluzione lascia la società. Poichè, aggravando essa momentaneamente il malessere politico o economico che ne è stato lo sprone, provoca un corrispondente stato psicologico nei suoi autori. Di qui il fatto che ogni rivoluzione lascia sempre il desiderio d'una nuova; talchè se questo desiderio potesse trovare soddisfazione la società dovrebbe essere abbandonata alla rivoluzione in permanenza. L'ordine nuovo che la rivoluzione francese aveva creato era 'il sistema della libera concorrenza. I mali dunque di cui gli uomini si lagnavano dovevano essere per necessità di cose riportati alla nuova condizione posta dal trapasso sociale; il rimedio doveva risultare, appunto eliminando la nuova condizione di cose. E siccome per un facile processo di analogie, i mali del sistema feudale dovevano riportarsi anche alla stessa condizione, supposta prima imperfettamente operante, si escogitò, come rimedio, un sistema che involgesse la più radicale e completa negazione del regime liberale: il comunismo della produzione e del consumo.
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