Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno VIII - n. 19 - 15 ottobre 1902

RJVISTA. POPOLARE DI POLITICA, LETTERE É SCIENZE SOCIALI scono questo stato d' incertezza. Il Bernstein P. lo ,Jaurès, scrivendo in parti direrse dell'Europa civile, e quasi inconsapevoli l'uno dj ciò che aveva scritto l'altro, si sono dimandati con sbigottimento che cosa accadrebbe della civiltà moderna se le classi lavoratrici conquistassero oggi il potere. In conformità del lo spirito puramente positivo della dottrina sociaJ;sta essi non si sono posti problemi circa il fondamento etico o giuridico del presagito assetto comunistico della società, ma soltanto intorno ai limiti ed alle condizioni secondo cui il fatto stesso era possibile. Dai teorici i dubbi sono passati in coloro che hanno la diretta responsabilità del movimento pratico delle classi lavoratrici. Si discute da tutte le parti, nel campo socialista, se il partito socialista non abbia perduto di combattività e non siasi adattato a divenire una burocratica organizzazione di piccoli interessi riformistici. Sembra ai più che mentre il Partito Socialista accentua teoricamente la sua tendenza verso l'organizzazione collettivistica della vita economica, nel fatto pratico agisca appena come il partito della legislazione sociale, cioè di quel complesso di leggi, regol-amenti e disposizioni che, rispettando la fondamentale struttura della società nostra, si limitano a garentire con precise disposizioni di legge, i diritti che moralmente e teoricamente le classi lavoratrici hanno già conseguiti, rispetto ai regolamenti di fabbrica, ai casi d'invalidità procurata dall'esercizio del laYoro, all'igiene interna della fabbrica e così via. . .. . È un punto questo che non sembra possa revocarsi in dubbio. Sono appunto, infatti, i più tenaci conservatori della vecchia formula collettivista i quali accentuano il carattere del partito socialista come del partito della legislazione sociale. Il colletti vis mo - per tutti costoro - sembra che sia come la promessa della beatitudine eterna per i moralisti neo-cattolici, un semplice mezzo, cioè, per ispronare le virtù assopite e trattenere le passioni pericolose~ accantonata ogni questione rispetto alla sua realtà obbietti va. Il collettivismo è diventato una specie di l'iserva mentale e nu:la più.(1) Il solo momento che l'azione .del partito socialista pone in rilievo è - considerando qnell'azione nel modo come si estrinseca fuori del partito - la tenace e risoluta rivendicazione delle riforme sociali e più specialmente delle leggi sulle fabbriche e sui rapporti fra ca pitalista ed operaio. Il collettivismo é stato, dagli scrittori di maggior credito, giustificato bensì come tendenza obbiettiva della Società, ma non come uno stato sociale del quale fosse pacificamente assodato che (1) Ciò notava b~nissimo il Colajanni, a proposito del recente congresso d'lmola, per il Turati. il quul0 , da politicante consumato, rimprovera bens\ a qualche 1uo avversario di non essere abbastanza collettivista, ma poi, per conto proprio, relega il ,collettivismo all'anno . . . . 3000 I la somma della felicità colletti va sarebbe maggiore di quella garantita dal 1_.1resenteassetto sociale. I tentativi fatti per descrivere e magnificare questo stato sociale futuro, relativamente al benessere che avrebbe apportato all'umanità, o furono apertamente derisi come utopistici o semplicemente tollerati come esempi immaginari privi di valor pratico. Lo scrittore tedesco che si nasconde sotto il nome di Atlanticus si limitò semplicemente a provare la maggior produttività dell'industria associata su quella indiYiduale e la possibilità che una produzione non per il mercato, ma per il consumo locale o nazionale contribuirebbe ad accrescer di molto la somma del benessere collettivo. Ma nemmeno il saggio dell' Atlanticus ebbe grande successo. Devesi per tutto ciò ancora una volta rilevare quanto sia marcata e decisiva l'antipatia dei socialisti per ogni tentativo di precisare il contenuto ed i limiti della presagita organizzazione collettivistica. • . . Pure, manifestamente, non basta fermarsi a questo p1:1nto.Ci ha pure ad essere una ragione che giustifichi questa riserva dei socialisti, una ragione obbiettiva, diversa da quella che per solito i socialisti stessi avanzano, cioè che essi non son tenuti a disegnare utopie e a costruire immaginari stati di convivenza umana. Ma se tutto il socialismo, come è volgarmente inteso, è una profezia I La verità è, secondo me, un'altra. Il collettivismo non è un ideale positivo, cioè a dire esso non è l'affermazione d'uno stato sociale determinato, come generalmente si crede, e come in buona fede ritengono gli stessi socialisti. Il collettivismo è un ideale tutto negativo. Per persuadersene basta considerare un poco quali sono gli elementi logici della costruzione mentale del collettivismo. II collettivismo, o comunismo, è pensato in antitesi al regime attuale della produzione, verso il quale si troverebbe nel rapporto identico in cui si trova il rimedio medico ad un male individuale. Come istituzione sociale, esso è pensato sprovvisto di quelle categorie che si suppongono produrre . il rilevato malessere della società esistente. Il male deriverebbe, nella nostra società, dalla libera concorrenza, che costringerebbe i lavorato•·i ad uno stato di miseria, materiale e morale, sempre crescente. Ora la libera concorrenza è il prodotto immediato della dissociazione degli uomini. Questa dissociazione, a sua volta, presuppone la possibibilitJ. per ogni uomo di vivere indipendentemente e q:iindi la proprietà privata. La miseria dei lavoratori avrebbe dunque tre cause successivamente e spontaneamente generantisi, nel processo storico e nell'attuai ità del momento: a) la libera concorrenza, b) la dissociazione degli uomini, cioè la mancanza di vincoli sistematici fra le singole economie produttive, c) la proprietà privata. Il regime collettivistico non può dunque determinarsi che in un modo negativo; esso cioè, do-

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