Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno VIII - n. 17 - 15 settembre 1902

460 RIVISTA POPOLARJl DI POLITICA; -LETTERE B SCIENZE SOCIAU LEDIVERTSEENDENElEPLARTITO SOCIALISTA II. La tendenza repubblicana. (Continuazione • Vedi N. 16). Scrivendo del metodo rivoluzionario bandito dall'on. Ferri ho accennato ad un carattere comune alle due tendenze Ferri-Turati, l'avversione, cioè, al partito repubblicano e l'ostentato disprezzo verso la teoria e l'azione seguite da questo partito. Questa ostilità - ho aggiunto - assume, nei due uomini in cui sono c0me impersonate le due maggiori correnti del partito socialista italiano, e nei loro rispettivi seguaci, diverse manifestazioni formali, ma è, nella sostanza, identica, come quella che, negli uni e negli altri tende allo stesso fine: l'esautoramento completo del partito repubblicano e la conseguente eliminazione di esso dal novero dei partiti attivi e combattenti e dal teatro della politica viva, per relegarlo nel museo dei vecchi "ed innocui ricordi patriottici. Quando Filippo Turati dichiara di ritenere la sostituzione di un ministero ad un altro, in certe determinate condizioni, più importante e più decisivo dello stesso mutamento della forma politica dello Stato, quando egli afferma di preferire la monarchia alla repubblica di certi repubblicani, ed allude proprio a coloro che più dànno, forse, della loro attività, del loro ingegno, del loro entusiasmo alla propaganda continua ed alla foraggiosa difesa dell'idea repubblicana; quando egli si compiace di scherzare sulla •gioconda. pregiudiziale e proclama necessario il boycottaggio, appar chiaro in lui il fine suaccennato.(1) Esaminate tutta la polemica di Turati e dei suoi più devoti amici ed interpetri con i repubblicani. Vedrete che essa non si limita alla discussione, sia pure vivace; accanita quanto si voglia, in difesa delle proprie idee o in attacco alle idee altrui ma tende sempre a screditare l'avversario nel concetto del pubblico, a versare il ridicolo su di lui, trattandolo, ostentatamente, non come l'avversario con cui si discute da pari a pari, ma come l'essere inferiore a cui si risponde non per lui o per il valore dei suoi argomenti, chè non ne varrebbe la pena, ma per gli altri, per coloro che, miopi o ignoranti, potrebbero essere ingannati in buona fede. In ogni articolo, in ogni brano di prosa polemica turatiana - e non del solo Turati, intendo, ma di tutti coloro che ne dividono le idee - rivolto ai repubblicani, troverete sempre, quanto meno, il razzo finale, il motto che chiude e riassume la polemica, jn cui è evidente l'intenzione (almeno questa) della satira diretta a suscitare il sorriso del lettore all'indirizzo del malcapitato avversario. E nulla prova in contrario il fatto che Turati ed i turatiani abbiano, nelle ultime elezioni am- (l) I concetti espressi dall' on. Turati nella nota intervista con un redattore del Pungolo e le dichiarazioni da.lui fatte nel congress? di Imola confermano pienamente questo che io aveva scritW prlilla che dette ll!anifes~ioni avvenissero. ministrative, caldeggiato l'alleanza con i repubblicani come con i democratici, e che essi siano, in generale, fautori della tattica elettorale affinistica. Una volta stabilito il concetto di dover impedire ad ogni costo una resurrezione della consorteria moderata milanese, sarebbe stata, intanto, una imprudenza massima il rinunziare ad un certo contingente, qualunque esso potesse essere, di voti; ma, più ancora che questa consirlerazione, deve avere influito sull'animo di Turati e dei suoi amici la visione, il presentimento della disastrosa impressione morale che avrebbe prodotto un'alleanza fra socialisti e democratici, con i repubblicani tagliati fuori per volere esclusivo dei socialisti. E se i turatiani sono fautori, in genere, del metodo af. tìnista è perchè essi lo ritengono necessario alla buona riuscita del loro calcolo politico, consistente nel giovarsi della borghesia più moderna, più evoluta, come essi dicono, per trarne il maggior vantaggio possibile di riforme in favore delle classi lavoratrici. Ma il partito repubblicano, nel concetto di costoro, non ha valore, non è degno di considerazione per sè stesso, in quanto, cioè, è repubblicano, ma soltanto perchè fa parte di quella borghesia avanzata di cui essi si giovano per i loro fini. Che, anzi, se essi devono venire a delle distinzioni, non nascondono le loro prefe· renze per quella democrazia, apertamente monarchica o proclamatasi indifferente ;di fronte alle forme politiche, la quale, - secondo loro - non precludendosi la via con alcuna pregiudiziale, mostra di avere un concetto d,~lla odierna lotta per la conquista dei successi vi miglioramenti sociali ben più moderno e positivo di quel che non l'abbia la democrazia repubblicana inYecchiata, ammuffita in una formula stantia. E Ferri 1 Ferri segue un metodo diverso dai turatiani, ma, nella sostanza, ripeto, tende al medesimo fine. Invece di manifestare l'avversione al partito repubblicano solo quando ne capiti il destro, come fanno quelli, in un articolo o in una conferenza, egli fa la propaganda anti-repubblicana di proposito, con lo scopo evidente di sottrarre al partito repubblicano tutto l'elemento operaio, che è poi l'elemento più numeroso e, diciamolo, più sicuro del partito stesso. Anche l'onorevole Ferri si è finalmente accorto, come si rileva dal suo- scritto sul . metodo rivoluzionario ' che la famosa distinzione, da lui e da tanti altri socialisti sempre predicata, fra proletariato e piccola borghesia, in rapporto al partito · politico a cui ciascuna di queste classi deve logicamente appartenere, ripetendo chissà quante migliaia di volte che gli operai devono essere tutti socialisti, laddove il partito repubblicano deve essere un partito di piccoli borghesi, professionisti, proprie• tarii o commercianti, anche l'on. Ferri si è finalmente accorto che questa distinzione è una « frase ratta " e niente altro, e che, in real ta, proletariato e piccola borghesia possono benissimo coesistere nello stesso partito. Se non che egli, come si capisce benissimo, trae motivo da questa scoperta

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