438 IUVtS'fA POPOLAkE bt POtf1'1CA, lE1'1'ERE È SC!ttNtE SOCIAtl cessaria senza la quale tutto il resto non è pen- :-abile » (1). A volere ùare la giusta interpretazione a tale giudizio si donebbe concludere che il valore marx.ista è raffigurato come uno schema fogico che contenga in sè • tutto il resto ». Arri ,·eremmo così ad uno schematismo, che è in deciso contrnsto con l'andatura metodologica dialettica del « Capitale ». Bd inoltre i p1·oblemi svolti nei due secondi Libri se discendono dalla premessa del valore, sono d'altra pacte la riflessione della realtà empirica, con cui coincidono. Coincidono con la realtà del mercato i prezzi di produzione, i costi, i prezzi di vendita. E<;si sono cioè tutti fenomeni empirici e però pensabili anche fuori di qualsiasi premessa teorica. E nu.lla avrebbe impedito a Marx di seguire un metodo formalmente inverso, partendo dalla realtà empirica del mercato (2) per indurre gli elementi a- ~tratti necessarii per assurgere alla sua teorica del valore. L' istessa dottrina del pluslavoro avrebbe potuto svolgere anche pri rria di ricavare la suprema legge del valore - e l'amico nraziadei ne h::i.dato la prova esauriente - ove si fosse fermato a dedurre la legge del profitto d3. quella r-he l'istesso Marx ha• chiamato pre1nessa naturale della plusvalenza (3), cioè dal tatto naturale per cui l'uomo è in grado di produrre più di ciù che effettivamente bisogna al suo mantenimento. È chiaro ora, che essendo la teorica del valore del Marx, assunta come una legge superiore esplicati va deg-1i altri fenomeni. economici essa non è · cil'coscritta in una speciale zona della realtù, ma è dietro ogni lato della realtit. È da rigettare perr,iò l'opinione del Sorel, pel quale • il valore spiegherebbe il suo vigore in una prima opera d'indagine, la 4uale astrae dall'eterogeneità del ca[Jitalismo reale per assumere l'ipotesi cl'un capitalismo omogeneo che presuppone capitali clella medesima composizione • (4). G; da rigettare, perchè ispirata dall'istesso errore lllgi.co, la vedtita del Cl'oce, secondo il quale il concetto del valore marxista ò fonrhto su di un'e• conomia lavoratrice, che non è quindi la presente economia éap italistica (5). Nel la l" e nella 2" i.[lotesi la teoria del Valore di ~farx, sarebbe ricavata bensì daelementi reali, ma ùa uno stato di cose escludente la pre:;ente società. Ciò che torna a cl ire che la teori.ca del valore di Marx è inapplicabile alla societù capitalistica, ma serve nel • Capitale » come un mero mezzo mentale, per JJOrre in luce, per via di raffronti ellittici, la discre_panza di conseguenze a cui con la violazione della teoria del lavoro-valore (]) Antonio Labriola: in Discorrendo di filosofia e soeicilis11w, pag. )cl. (2) E questo metodo ha infatti seguilo con successo Art. Laurioln nella sua « Teoria ciel Vcilore cli Marx "· (:)1 Marx. Capitale. Voi. 1 pag. ~28 e segg. della traduzione italiana. l~l Snret: .Jow'1w/ des 1fr·ono1nisles - :\fai 1897: Sur la th~orie de la valeur. Ma per ciò in articoli successivarneute ap• pa,·si il Sorel ha ricouosciuto da sé la falsità della sua veduta. (5) Vedi i suoi varii llllggi nel già citato volume, cosi denso cli penetranti e doLte osserva,zioni. perviene la societù capitalistica. L'errore del Sorel e del Croce, basato su I fatto della non coincidenza ciel valore col IaYOl'Onella societù presente, è rimosso non appena si pensi che la discrepanza ciel valore dal lavoro, e la misura di tale discrepanza. sono appunto spiegabili, secondo M<trx, con la legge del valore da lui formulata. ])ire poi che la teoria del valore marxista è vera solo in un condizionato stato della realtù (capitalismo omogeneo, o economia lavoratrice) significa togliere ad essa quel carattere generale, e <1uella portata assoluta e tipica, su cui Mal'X ha insistito appunto con l'evidente intenzione ti i /'arne una i'egge. La teoria del valore di :Marx. esprimendo du nque una legge generale è immanente a questa, come alle altre possibili società. E se Marx se ne serve per il particolare studio della società moderna, perchè il suo scopo era limitato a tale studio, ciò non toglie che se ne sarebbe pot.uto giovare per lo studio cli altre economie storiche. Però hanno torto col Kautsk.v tutti coloro che assumono il valol'e marx.ista come una terJ(Je, nel senso reale, fìsico dell'accezzione. E vecliamo percli~. J(. Una legge fisica riveste un immediato car:-ittere cl i necessità. G; necessario che un corpo cada su I piano inclinato; è necessario che avvenga il livellamento dei liquidi nei vasi conrnnicanti non capillari ecc. Ma della legg-e del valore-lavol'O non ù a dirsi altrettanto. Per quale legge cli necessitit 8 ore di lavoro del muratore clebbano valere 8 ore ùi lavoro del fabbro? Non v'è nessuna ragione intrinseca. o ta.nto meno nessuna forza super·iore, che detel'mini in modo necessario questa equazione di scambio. Perchè dunque, e per <Juale via, Marx ci d;\.come una legge la equazione suddetta? Oggi, come accenneremo cli quì a poco, l'economia è appunto diventata una scienza fìsico-matematica che ha da fare con leggi nr'cessorie e misurabili negli effetti. Così, mediante la l'tll'za di concorrenza quella equazione che il Marx pone fra due lavori eguali, l'economia odierna la rinviene tra due costi eguali, in modo neces··a1·io. nell'ipotesi di completa libertù economica. Ma il Marx prescinde,nella determinazione del la forza del lavoro, assolutamente dalla forza di concorrenza, che apparinì. solo in un modo derivativo i.n 4uesto terzo volume, a cosi grande distanza pubblicato dal primo. L'equazione marxiana, non essendo necessitata da alcuna forza concreta, non puù assurgere al carattere di legge fisica. Perchè il lavoro del tessitore diventa uguale al Ja voro del sarto ? Come le clue forme concrete si volatilizzano nel lavoro astratto comune ? Ecco tlue quesiti a cui Marx. risponde con l'involuta elucubrazione del carattel'e feticéio ,le Ila merce: ma elle sono soltanLo spiegabili empiricamente con la varièlà dei bisogni umani, al-
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