RIVISTPAOPOLARE DI POLITICALETTERE E SCIENZE SOCIALI Direttore: D.r NAPOLEONE C.OLAJA.NNI (Deputato al Parlamento) Esce 10 Roma il r 5 e il 30 d·ogni mese ITALI A : anno lire 6 ; semestre lire 3,50 - EST ERO : anno lire 8; semestre lire 4,50. Un nuJUero separato Cent. 30 <>-> Amministrazione : Via Campo Marzio N. 43. ROMA <-<> AnnoVIII. - N. 14 AbbonaID.ento postale Roma,31 Luglio 1902 SO~:MARIO: Noi: Gli avvenimenti e gli uomini: (Malumori inglesi e austriaci. - I pericoli della politica estera sotto la Monarchia. - L'emi~~azione italiana. - li centenario della legislazione operaia in Inghilterra. - li caso Pantalconi. - L'uomo Giuseppe Mazzini. - A. Balfour, primo ministro d'Inghilterra). - l,a Rivista: Il trionfo dei SO· cialisti italiani. - On. Dott. Napoleone Colajanni: Lo sviluppo delle grandi città. - On. Prof. Giovanni Hovio: Mazzini, Bovio e i socialisti. - Siculus: Le nostre colonie: Il Brasile (Postilla). - Paolo i\1orbelli: roo milioni all'anno sprecati nell'esercizio delle ferrovie italiane. - Il dotto i· Antonio: L'Asceta. - i\largherita (.,;,.rcssini SaPfatti: Il feminismo in due romanzi moderni. - Prof. F1•anccsco Huclassi: li metodo nelle scienze morali e sociali e i rapporti della questione col Socialismo. - Sperimentalismosociale: (Il lavoro delle donne in Francia). - Antonio l\1a1•t.ino: Due tramonti ('Bonello). - Rivista delle Rivisle: L'annacquamento: Domicilio coatto, Triplice alleanza, Tripolitania (Educazione politica). - La legislazione di classe e la democrazia (Giornale de.rii Economisti). - L'Inghilterra, la Francia e il Mediterraneo (Revue des Revues) - Dopo le elezioni amministrative (Cultura sociale). - Napoleone I e l'ateo Lalandc (Revue Ble1u). - lllustra1:ionlnel testo. GLI AVVENIMENTI E GLI UOMINI l\lalumori inglesi e aush·iaci. - Le interrogazioni di Lord Spencer nella Camera dei lordi sui rappo1ti tra ì'!Lalia e l'Inghilterra, e la risposta del ministro degli este1·i marchese di Lansdowne confermano che al di là della Manica si guarda con mal celata gelosia al ristabi!imento dei nostri buoni rapporti colla Francia. La stampa inglese in generale - non esclusa quella che rispecchia il pensiero dell'opposizione di Sua Maestà - interpetra le parole dei due oratori in sens,J ottimistico, ma é evidente che si tratta di un trucco diplom11tico, assai vecchio per pote1·e ingannare anche un farmacista di villaggio. E bisogna aggiungere che anche la stampa monarchica italiana fa buona cera al cattivo giuoco; poiché é evidente che l'Ic,ghilterra insiste in un modo particolare sul mantenimento dello statu quo nel Mediterraneo; e con ciò vengono contraddette le aspirazioni su Tripoli dei nostri espansionisti. La stessa frequenza colla quale politici e giornalisti inglesi si occupano dell'equilibrio suaccennato del Mediterraneo, indica che le acque vi sono alquanto intorbidate. I malumori austriaci furono segnalati altra volta; il loro diap11son c1·esce. Così, mentre i rappresentanti di Francesco Giuseppe laaciano Pietroburgo e Berlino all'avvicinarsi del Re d'Italia, la stampa austriaca adopera un linguaggio assai sconveniente. La Dentsches Voll,sblatt di Vienna, ad esempio scrive: « Gli ufficiosi possono dire quello che vogliono. La Triplice non ba più alcun valore. L'Halia, inaugurando una politica aggressiva nei Balcani, si unisce alla Russia per rovinare l'azione orientale dell'Austria. l nostri accordi balcanici con la Russia e l'amicizia dell' llalia, non hanno più, per noi, alcun valore. L'Italia favorisce così la barbar.ie asiatica. « La preannunziata partec~pazione dei deputati italiani, aspettati a Vienna pel Congresso della pace, alle feste del centenario di Kossuth, a Budapest, caratterizza la corrente anti-austriaca nella pubblica opinione in Italia. Si tratta di una sf a<!ciataggine da rèspingel'e col massimo sdegno», Ad ogni modo come italiani dobbiamo rallegrarci vedendo che il nostro paese non venga più considerato nella politica internazionale come una quantitiJ negligearble; ma ci rallegre1'emmo di più se nella gita del Re in Russia potessimo scorgere un indizio d: un nuovo orientamento politico inteso ad assegnare all'Italia una missione di pace, quale gliel'augura il ·Novicow, e come con soverchia fretta crede di vederla iniziata l'ottimo Economista di Firenze. Noi, pur troppo, siamo convinti che tutto l'armeggio contro la Triplice sia fatto a scopo dinastico, e possa procura:·ci gravi imbarazzi, che peserebbero sul paese in genere e sÙlla democrazia in ispecie, anche in caso di una vittoria, che farebbe ringalluzzire l'esoso ed insaziabile militarismo. I peI•icoli della politica estera sotto la Mooa1. ... chia. Abbiamo letto con vero compiacimanto i commenti che l'Avanti! ha fatto seguire ad un articolo di Arturo Labriola sul Pasticcio della Triplice. Il socialista napoletano deplorava che I~ democrazia non seguisse con grande interessamento la vigorosa campagna che il Secolo di Mdano - e perché non ricordare l'Italia del Popolo, che non é meno energica, né meno perseverante nella stessa ca111pagna f - ha intrapreso contro la Triplice già rinnovata, cui attribuisce anche lo scopo di consolidare negli Stati contraenti l'attuale forma monarchica. L'Avanti! risponde facendo suo il grido di allarme che da molto tempo ha dato il nostro direttore sulle colonne del Secolo sui pericoli di una politica estera dinastica, che si va delineando sempre meglio sull'orizzonte internazionale, e che più volté é stato ripetuto qui stesso, anche dal nostro Paratore. L'organo ufficiale del pal'lito socialista italiano arriva quasi a giustificare la Triplù:e dal punto di vista della
366 RIVISTA. POPOLARE DI POLITICA., LETTERE E SCIENZE SOCIA.LI presente situazione scrivendo: « Lasciamo andare le fantasticherie. Apprezziamo la situazione come realmente si presenta: è vero o no che la Triplice ci salva dalle mltul'e coll'Austria f È vero o no che la Triplice non impedisce oggi il cordiale ravvicinamento italo-francesef Perchè vol,ir negare questi vantaggi per l'ossessione ài una alleanza italo-francese~ No, noi lo diciamo apertamente: l'alleanza italo-francese, nelle presenti condizioni, indebolirebbe la situazione italiana e costituirebbe un pericolo pe1· la pace europea. L'adesione dell'Italia alla Francia, ossia alta Russia, romperebbe troppo l'equilib1·io delle due avverse alleanze, e rinfo1·zerebbe i sogni del nazionalismo e le aspirazioni della réoonche ,,. « Quets a sarebbe la poli Lica c!ie piace al Secolo e al Lab1·iola, e rhe piacerebbe molto in Qufrinale ... ma non è troppo di nostro gusto. E per questo il La bl'iola dice che sic1rno monarchici ». Noi nulla abbiamo da replicare alle osservazioni dell'Avanti!, che ha dato prova di coraggio vero affrontando la impopolarità cui si va incontro in Italia militando nella fila dei partiti avanzati quando si proclama110verità, clie urlano nelle -::onvinzioni e nelle sentimentalità dei medesimi; ma noi crediamo che sia andato troppo oltre nell'allribuire al Secolo il de~iderio di una al!eanza franco-italica e di una guerr11 a breve scadenza coll'Austria. È noto, notissimo, che il giornale democratico di Milano è il più sisten1aLico partigiauo della pace quasi ad ogni costo, e che odia e combatte la Triplice soprattutto per gli oneri militari che ci ha imposto e continua ad imporci. E sotto questo aspetto l'avversiamo anche noi. Dove l' Aoantil ha torto evidente si è nella confusione che fa sul potere di contrarre i trattati, di dichiarare la guerra e di concludere la pace. Esso distingue repubblica da repubblica , e noi disLinguiamo tanto che non abbiamo mai augurato al nostro paese una repubblica unitaria e militarista come quella francese. Ma per quanto essa sia cattiva, non si potrà mai accomunare la costituzione Rivet allo Statuto Albertino perché nella prima non c'è un articolo che equivalga all'articolo 5 della nostra Costituzione. Di più: l'insieme degli ingranaggi politici della repubblica pone un freno indiscutibile al potere del Presidente, ch'è assolutamenti sconosciuto nelle nostre monarchie. Il potere esecutivo vero ed effettivo risiede nelle mani del Ministero; e si sa che nella 1·epubblica francese il Presidente non esercita alcuna influenza diretta od indiretta nella loro formazione e nella sua vi La. Sinora parecchi Presidenti sono andaLi via per volere dei Ministeri sor·retti dal Parlalllento, ma non c'è stato un Ministero caduto per volontà del Presidente. Si può dire altrettanto dall'Italia? E quale interesse proprio e non nazionale potrebbe aver un Presidente nel contrarre un alleanza? Reponse s'il oous plait. [}emigrazione italiana. - Le proporzioni assunte 4alla nos1 ra emigrazione nell'anno 190l, secondo le recenti pubblicazioni della Direzione generale della Statiitica, sono veramente spaventevoli. Era stata già elevatissima nel 1900 con 352,782 emigranti; arrivò a cifre vertiginose nell'anno successivo con 533,245. La Direzione della Statistica giustamente avverte, che a determinare il considerevole incremento, oltre alle condizioni disagiate di taluni luoghi, ha particolarmente contribuito una maggiore attività degli agenti di emigrdzione in previsione dei freni che dal nuovo regolamento, approvato con Regio Decreto 10 Luglio 1901, stavano per essere posti a coloro che arruolano e che m·andano o conducono emigranti all'estero. Aggiuugiamo che l'elemento psicologico, il contagio che sospinge all'imita:r.ione, ha pure la sua parte nel fenomeno; ma è innegabile che questi grandi esodi furono sempre un indizio di g1·an malessere economico; perciò si vide sensibilmente diminuire l'emigrazione irlandese, inglese e tedesca II misura che migliorarono le condizioni economiche dei rispeLlivi paesi. La gravità del fatto sta poi in questo: quesla colossale emig1·azione iLaliaua avviene in un momento in cui lanlo in Europa quanto nei paesi transoceanici c'è sul mercato del lavoro sovrabbondanza di braccia disoccupate. Cosi per la emigrazione tempol'arn~a, soltanto in cifre tonde, si sono diretti in Austria 68 mila emigranti, 52 mila in Francia, 45 mila in Germani3, 44 mila nella piccola Svizzera. Eppure si sa che in alcuni di questi paesi la disoccupazione, specialmente in Germauia, è minacciosa. E come non allarmarsi dei 60 mila emigranti circa che si sono indirizzati nel1'ArgenLina, e di oltre 80 mila che partirono pel Brasile, sapendo che le due repubbliche attraversano una crisi veramente eccezionale? Non si può quindi non lodare vivamente la Direzione del Commissarialo dell'Emigrazione che ha proibito l'emigrazione gratuita pel Brasile e che diffonde largamente le notizie sul mercato del lavoro in Europa e fuori. Ad evitare tutte le conseguenze dolorose che l'emigrazione nostra talora l1·ae seco, sia provocando la concorrenza spietata del lavoro sia sottoponendo a privazioni inaudite i nostri concittadini in tutte le pal'ti del mondo, sorge evidente ed impellente il dovere in tutti di porre un freno, nella misura delle forze di ciascuno, a questo esodo straordinario. Non si deve nascond~re, però, che l'emigrazione funzionando da vera valvola di sicurezza, la sua chiusura dovrà necessariamente peggiorare le condizioni dei lavoratori in Italia. Lo spostamento vi diverrà sempre più generale e non è difficile prevedere che se l'emigrazione si arresterà, guai di vario geDere si avranno a deplorare - dall'aumento dei reati alle sommosse. In Italia c'è grande disquilibrio tra l'incremento della popolazione, della ricchezza nazionale e delle imposte; da tale disquilibrio trae origine l'emigrazione, di cui bisogna rallegrarsi come di una fortuna, sino a tanlo che essa viene assorbita sen:..:a inconvenienti dall;eslero. Ma questo non è più il caso, come si • visto, e occorre dunque che un certo equilibrio l1·a i tre fattori si ri::;tabilisca all'interno. Una diminuzione delle nascite non si può sperare da masse analfabete e spensierate, e non agirebbe che a lunga srade1;za. Il solo mezzo, quindi, per prevenire malanni grossi l'ha in mano il governo diminuendo considerevolmente le imposte. Con ciò permetterebbe una più notevole capitalizzazione, che attenuerebbe i risultati del rapido incremento della popolazione. Disgraziatamente nulla fa sperare che il governo, conscio della gravità del problema, voglia mettersi sulla buona strada. .. Il ccntenar•io della legislazione operaia in lnghilte,·ra. - Il 22 giugno è compiuto un secolo da che la prima legge di protezione operaia fu votata dalla Camera dei Comuni in Inghilterra. È un centenario che non soltanto dalla classe operaia di oltre Manica ma dal mondo inte1·0 dovrebbe essere commemorato. Il f actory act del 1802 riguardava « la protezione della
► RIVISTA POPOLARE DI POLITICA, LETTERE E SCIENZE SOCIALI 367 salule e dello slato morale dei giovani apprendisli nelle fabbriche di cotone e delle alt1·e· manifallu1·e, » e fu seguilo da inchieste industriali che fecer0 conoscere al mondo le spaventevoli miserie che l'indust1ialismo aveva generato, e delle quali Marx ed E11gels deltero una descrizione cosi complel11. Dal 1802 al HM4, nove leggi di prolezione operaia furono votale dal Parla men lo sollo la p1·essione della classe operaia, ma lo slalo slesso della classe operaia, la debolena delle sue lrades-unions allora appena nalc-, l'msufficenza dell'ispezione del lavoro, e soprattutlo la COll1!Jlicilàdella magistratura, fecero s·1 che le leggi votale restas~ero cosa morta. In seguilo ad un'ardente campagna alla quale consac1·arono lulte le l01·0 forze uomini come John Ward, Richard Oasller, Michael, ThorT'as, Sadley, lord Ashley e Rol,erlo Owcn, il fondalore della cooperazione, il Parlamenlo nominò unn Commissione d'inchje,la che presentò la sun relazione il 30 gennnio i843. La relazione della Commissione confermò lullo quel che di più grave era slato dello sugli orrori dell'induslrialismo: l'eta nella qualti i fanciulli erano ammessi nelle officine, le lunghe giornale di lavoro loro imposle, le condizioni malsane e immorali che dovevano subire. Questo doloroso calvario nell'infanzia ispirava ad Elisabelta Browning il suo ammirabile poema, li grido dei fanciulli, a Thomas Hood il suo Canto della camicia, a Carlo Dickens il suo romanzo ;\1.ichaelA rmstrong f."inalmenle 11cl1847 la <'lasse operaia ollenne l'approvazione della legge delle dieci ore che Marx ha chiamalo una delle più grandi vittorie che il prolelariato abbia mai ripo1 lato. Erano occorsi qua1·antacinque anni di lolle e di sofferenze! Da allora ben 60 leggi sono slale votale dal Parlamento inglese concernenti la protezione dei lavoraLori. Qualunque sieno le lacune di quesle leggi - dice Jear. Longuel nella Petite Republique - esse rappresenlano quel che di più completo vi sia atlualmente in Europa; ma esse non valgono che perché dielro i lesti legislalivi si lrova un prolela1·iaLo potentemente o··ganizzalo, in condizione di fa1·si rispellare, e che tullo quello che ha ottenulo lo deve ai suoi sforzi conlinui, alle sue lolle generose, ai marliri e agli (rOi usciti dal suo seno in difesa della sua causa. Il caso Panlaleoni. - Vogliamo dirne una parola perché il linguaggio adoperato dulia slampa democralica verso di lui, in seguito ai discorsi pronunziali alla Camera e a Mace1·ata (I) sulla quistione dei f-,1·1·ovieri,ci ha prodollo una dolorosa sorpresa. I democratici accusano l'illustre economisla ed amico nostro, di essère quasi divenulo un reazionario perché ha biasimalo aspramente e francamenle la soluzione dala dal governo al problema dei ferrovieri; si é anche scritto che egli si é messo ai servizi dei eapilalisli. Nulla di più assurdo e di più ingiuslo. Maffeo Pantaleoni in nome delle sue anliche e profonde convinzioni ultra liberiste - quasi anarchiche - ha parlalo oggi sulla quisLione dei ferrovieri, come parlò ieri nella quislione del dazio sul grano. I due discorsi sono la esplicazione logica dello stesso modo di concepire i r&pporLi lra l'individuo e lo Stato. Sono semplicemente illogici ed ingiusti i socialisli, che lo applaudirono calorosamenle quando la sua pafola riusciva loro g1·adita, e che lo biasimano ora che ne conlraddice gl'inLeressi polilici. (I) Vedi alla Rioista delle Rioislc il riassunto che abbiamo !allo <li queslO discorso dal Giornale degli Hconomisli. Maffeo Pan la leoni, - con V. PareLo, con De Viti de Marco - fu ed é un individualista outrée che si troverà pe1·ciò in confl;Lto per~nne colle lendenze inlervenzioniste ;illuali della democrazia; e non é colpa sua se egli fu erroneamente giudi<'alo dai partiti po!]olari - clte del reslo dowebbero sempre rispetlarlo per la dol· trina e pel car 1tlere, e rier quello sua rude franchezza, di cui si 11vverle la defìcienza in ILalia, e ch'è lanto necessaria per la nostra l,uona educazione politica. ... l.'1101110 (;iuseppe l\'la:r.zini. - Primo Levi nell'ultimo nume1·0 della ~ Rivisla Moderna », pubblica in pro• pria difesa questo breve lll'ticolo che noi ci r.rediamo in dovl!re di riprodu1-re integralmente. « Lo sludio di Lorc11zoG,rnlino: L'nomo Giusf'ppe Mai- ::ini, da noi pubblicato nel fascicolo del 1° giugno, ha fallo scnndalo. E ha fallo scandalo anche l'ospilalità cl1e noi gli abbiamo accordato. Napoleone Colajanni !o ha vivamente atlaccato nella sua Rioista Po11olw·e, ed ha in ;ieme espressa la sua meraviglia per quella ospilalilà, con p11role lusinghiere pe1· noi, ma non meno dolenli per la cosa in sè stessa. E dielro lui sono venuti altri. « Ma per ciò che ne riguarda, non abbiamo Lisogno di giust.ifìcarci; noi non solo abbiamo fallo le più ampie riserve sui giudiz'i del Gualino, ma li abbiamo eonlradelli nell'alto stesso che consenlivamo loro di vedere la luce in omaggio all'indole di questa Rivista, la quale « è un campo aperto allo so •lgimento di tutte le idee interessanti, espresse con decoro di forma ». « Tutta la noslra vita polilica e letteraria è, del resto, per quanlo modesla, lroppo nola, perché ci occorra qui ricordare, a noslra difesa, ed il cullo da noi volalo ai grandi pat1-iotl:, e la stima con cui hanno volulo corrisponderci, a cominciare da Nicola Fabrizi e da Agostino Berlani. Che, d'altronde, sia facile, quando si esce dall'obbiettività, lasciarsi vincere dalle proprie simpatie sino all'ingiustizia, lo stesso onorevole Colajanni dimostra coll'atlacco fuor di ragione che, p<:'r glorifìcare Mazzini, proprio là doYe Mazzini non é stato Profeta, ci muove a quello slesso Crispi, del quale pure ad un cerlo istanle, senll oneslamente di dover p1·P,ndere le difese, contro l'eccesso dell'ingiustizia e della malignità di a vversari meno in buona fede. « Mazzini esce grande quale fu, dalle odierne criti,~he più o meno scienlifìche, come uac\ già dalle diatribe politiche; ma appunto chi ne é p'ù convinto non deve temere di vederlo discusso: quello di noi uomini moderni verso i noslri Grandi deve essere un ossequio ragionevole ed illuminalo e liberale, altrimenti cadremmo nelle stesse colpe de'.la Santa Inquisizione e dei Giaco - bini francesi. Ora, noi siamo appunto liberali, e, condannando gli errori nuovi non meno dei vecchi, non ci senliamo per questo di dover divenire sellari. « È cos·1 che, in altro rampo e meno importante, ammira lori sinceri e caldi di quella Francesca, del D'Annunzio, di cui abbiamo primi preso altrove le difese, quando appena apparve e ancora non aveva avulo plauso nè di pubblici, né di crilici, pubblichiamo qui tulLavia uno sludio in cui la si co11sidera con molta sevcrilit, senza credere per questo di venir meno alla 110st,·aam · mirazione pel poeta, come meno non siamo venuti, che èhc se ne dka, al noslro cullo per l'Aposl-ilo. » * A. Halfour, primo minisll'o d'fn.ghiltl'l'l'a. - A succedere a lord Salysbury é stalo chiamato il suo nipolc Balfour, leadf'r della parle ministei-iale alla Camera dei Comuni. *
368 llIVIS1'A POPOLARE J)J POU1'1CA, .LETTERE E SCIENZE SOCIA.LI È nato il 25 luglio 1848, ed apparliene alla Camera dei Comuni dal 1874. Entrò al ministero degli esteri come segretario particolare di lord Salisbury nel periodo difficilissimo dal 1878 al 1880, mentre si negoziava il trattalo di Berlino. Fece parte per la prima volta del Gabinetto nel 1886 come segretario della Scozia, posto che tenne fino al 1887, quando fu nominato cioè segretario l'lrlnnda. Nel 1898, durante la prima malattia del primo ministro ebbe nelle mani la direzione •:!ellapolitica estera, e mostrò del tallo e dell'abilità, form!tndosi così una reputazione politica che lo misfl sempre più in vista.' Sinora non si è mostralo un uomo di ec~ezionale lcv11tura, ma soltanto equilibrato, padrone del pensiero e della parola. Seguiterà il medesimo indirizzo della volitica dello zio. NoT. ~~f.C~Y!l!JI_J_: mç.J.~ -.M; l!l_!lsl! fU ~'~:..~ ILTRIONDFEOSI OCIALISTI ITALIANI Le elezioni comunali e provinciali, avvenute prima e dopo la pubblicazione dell'ultimo numero della Rivista, confermano sempre più la estensione colossale della propaganda socialista in Italia e i suoi successi prodigiosi. Anche le sconfitte sc•no servite a dimostrare la grande vitalità del partito socialista; perchè esso dove non è riuscito a guadagnare la maggiora1ùa assicurò a sè stesso la minoranza, con votazioni che hdnno .spaventato i suoi avversari. Procedendo di questo passo, se fosse possibile negli avvenimenti sociali di adoperare le formule matematiche, e se non fosse ancora cosa più temeraria avanzare delle previsioni, si potrebbe dire che il suo wiluppo proceda in ragione diretta del quadrato del tempo; e che fra pochi anni, perciò, l'Italia sarà tutta socialista; e che, inoltre,se il capo dello Stato non vorrà fare fagotto dovrà adattarsi al programma collettivista, realizzando l'antico sogno di Gandolin di una monarchia socialista. Le previsioni trovano un limite negli esempi degli altri paesi. La progressione del socialismo in Germania adesso è meno rapida che pel passato; nel Belgio, se non in Francia, dalle ultime elezioni parrebbe che sia iniziata la fase regressiva. Ogni propaganda politico-sociale sembra, quindi, che abbia un periodo di saturazione che non consente ulteriori progressi. Il limite a questi ulteriori progressi in parte viene apposto dalla reazione degli altri partiti, che, costrettivi dalla necessità, si epurano ed acquistano una combattività non posseduta per lo passato; in parte viene rappresentato da un indebolimento interiore che alla sua volta viene generato da varie cause. Alcuni, soddisfatti nelle loro ambizioni, divengono inerti; altri, di fronte alla prosaica realtà dell'esercizio del potere, o si ritraggono disgustati, o si corrompono; in molti, infine, la sicurezza della preponderanza. sugli altri partiti fa allentare la disciplina ferrea di una volta e lascia sviluppare i germi delle dissidenze e degli scismi o dottrinali o personali: per lo µiù dottrinali e persona! i a<l un tempo. In quanto alla disciplina, le vittorie e le sconfitte dei socialisti nelle elezioni amministrative ultime sono buone <lei pari a dimostrare che es~a è in decadenza. I responsi dei ('ongressi sono oramai arrngginiti, e l'unità intransigente delJa tattica in pari modo è fallita completamente. Di ciò si è scandalizzata - e con molla ragio• ne dal suo punto di vista - La Propaganda di Napoli, che ali' Avanti ha ram rnentato che l'autonomia della tattica consentita dall'ultimo congresso socialista si doveva intendere cwn grano salis; che il consentimento del congresso si estendeva solo all'alleanza coi repubblicani e coi ra,licali; ma non mai coi monarchici tout-court, e coi socialisti che non vogliono saperne del la iscrizione nel pa,·tito. Perciò considera i socialisti che a Brescia, Veruna, Messina, Finale Emilia ecc. si sono intrufolati con gente d'ogni sorta come superio1•,; al partito. Queste infrazioni alla tattica ufficiale ed alle decisioni dei cong1·essi non sono una novità: i socialisti, specialme:1te i capi, hanno fatto sempre il loro comodo più o meno elettorale in casa pro- . pria, mantenendo l'atteggiamento di puritani in casa altrui e nel giudicare gli altri partiti. Di questa doppiezza di coscienza ne abbiamo dato un esempio nel numero precedentf' a proposito dei giu1lizi radicalmente contradittori sulla tattica da adottare venuti, da Genova e da Ancona . Tutto questo, ad ogni modo, riguarda gli affari interni del partito so('.ialista. Ma che dire della sfacciatag·gine colla quale alcuni socialisti rimpro verano agli altri ciò che essi fanno per vantaggiopropri0? A loro poteva essere lecito allearsi q uà e là ai monarchici puri e semplici; tuoni e lampi contro i repubblicani che hanno osato imi tarli. Un corrispondente dell'Avanti! da Valenza, il loro atto lo ha denunziato come una suprem,rt vigliaccheria. F. dire che a Messina vi furono dei socialisti che votarono per Alessandro 'I'asca e per Bernardino Verro solo per assicura,·e il trionfo dei monarchici, e per far cadere a terra un repubblicanaccio che risponde al nome di Antonino !Je Leo .. Tanta sveltezza sulla mutabilità dei criteri, induce a pensare che molti socialisti in Italia si credano addirittura dei superuomini, cui sia tutto lecito -- e sia lecito specialmente ciò che viene negato ai repubblicani! · E veniamo ai dissidi ed alle secessioni.. I maggiore1iti del socialismo li negarono per molto tempo, non ostante l'eloquenza del caso 1ìtrati. Non crediamo che avranno il coraggio di negarli adesso che siamo arrivati alle legnate da Marangoni assestate a Treves; ora che vediamo dall'Avanti! considerata come roba da tribunale supremo della Sacra Rota l'intransigenza e l'intolleranza dell'Avanguardia, sorta in Roma per lo appunto per combattere, in nome del socialismo ve1·0 il s:icialismo spurio, che sarebbe quello del l'Avanti! In queste baruffe l'elemento personale - e Jo,
.... I I I ~ I RIVISTA POPOLARE DI POLITiçA., LETTERE B SCIENZE SOCIALI 369 abbiamo rilevato altre volte - c'entra abbastan- considerevoli. Altrove sono stati socialisti che za; ma non si può negare che una parte maggiore ve la. rappresenta la differenza dottrinale. Oramai è chiaro come il sole che in Italia il socialismo è diviso tra due tendenze che ogni giorno di più divengono irreconciliabili. hanno preso il sopravvento. Perchè non furono le conquiste da parte dei repubblicani altrettanto notevoli, quantunq ne non piccoli siano stati i loro guadagni 1 Ai filosofi dei partiti, che si sono. occupati dei Noi pel metodo riformista stiamo con Turati e Il sogno di un forcaiolo rapidi mutamenti avvenuti nelle masse italiane è sfuggita l'importanza di questo fatto: il partito repubblicano è il più vece h i o dei partiti che hanno rappresentato una parte eminente nella vita politica del nostro paese. La sua azione si svolse energicamente nel periodo delle cospirazioni, delle sommosse, delle battaglie che riuscirono alla costituzione dello Stato. In tale opera si sciuparono, quindi, gran parte delle sue forze. Si sa che una generazione, che un partito, che hanno compiuto un'opera d'importanza, vanno soggetti ad un esaurimento, che trova il suo riscontro nei fenomeni biologici. con Bissolati; ma da loro ci di vide la guerra sistematica dichiarata, dal primo specialment~, ai repubblicani. Ma vedi irnnia delle co• se! Quando tanta parte dei socialisti italiani si avvicina sino quasi a confondersi col radicalismo di Saccl1i, questi a Cremona viene combattuto aspramente dai... socialisti, verso i quali egli si era sempre mostrato ossequente e benevolo oltre misura. L'on. Sacclti, cui arrise la vittoria per l'appoggio dei monarchici - e non sappiamo come e perchè socialisti e repubblicani gliene movano rimprovero - imitando Cesare, ai suoi enfanls gatée di ieri potrebbe dire: Vos quoque? La:scian,.Ioda parte questi ed altri episodi, e rinunziando a farla da profeti in quanto al futuro prossimo, giova maggiormente indagare quali sono state sinora le cause che l1anno favorito la , straordinaria diffusione del partito. socialista. E:sse furono varie e di varia ind, le. Non pfocola è stata la parte rappresentata dalle condizioni del!' ambiente. Questo è saturo di malcontento economico e morale; perciò dovunque è sort•> un partito vigoroso ed atti- , --------l:':fJ, :::--... '*·V.; ----1-;,;;,, ·--- lt",,-:"l/:.- - ·- - Che bravi popolar ! Se dann di bott! {si bastonane). Insci (così) ritornarernm al 08! - Ahi, ahi, chi l'è mò adess sto poch de bon. Ch'el se mett lu al post di ciciaroo1 (tli cicercrw) Al ·partito repubblicano, poi, venne discredito per ragioni di varia indole. Mentre i danni reali od immaginari della unità ad esso vennero attribuiti in non piccola misura - e sempre ingiustamente - perchè i profeti dell'idea repubblicana non si stancarono mai di avvertire che l'unità colla monarchia non poteva dare che scarsi frutti; d'altra parte il ritardo nella realizzazione del suo ideale stancò e sfiduciò molti, che finirono coll'acconciarsi alla monarchia, generando la sfiducia e la diffidenza nelle masse, che non amano le di- - Perchè m'avi i faa dessedà, (11i'aoctcfatto socgliai•e) o Sigoor se doveva prova stoo g1·an dolori serzioni, e che vogliono (Uomo tti Pietra di Milano). essere mantenute nella speranza di una prossima vo che ha fatto sperare una prossima trasformazione, un rinnovamento, esso è :stato accolto a braccia a1.>erte. Così è avvenuto che in alcuni punti della Lombardia e del Piemonte, in molta parte del Venetol i clericfl,li nanno fatto prt1gressi realizzazione dell'ideale. Ai repubblicani nocquéro sotto questo aspetto i confronti ripetuti da loro posti tra la monarchia degli Orléans e quella dei Sabaudi; la disillusione n9n fu piccola tra le masse, che non comprendono
370 RIVISTA POPOLARE DI POLITICA. LETTERE B SCIENZE SOCIALI che le ripetizioni storiche - se pur ce ne sono - non sono equidistanti nel tempo, quando videro al timone dello Stato i Guizot, i Thiers italiani con tutti i fenomeni della spaventevole corruzione, dello scetticismo corrodente, che caratterizzò la loro epoca; ma in vece delle attese barricate di febbraio videro pervenire il governo nelle mani dei nòstri Odillon Barroi, che con scarso sforzo deviarono certi avvenimenti, che sembravano imminenti. Ciò nonostante il partito repubblicano non ha 1wrduto terreno; ne ha guadagnato non poco, come sarebbe facile dimostrare storicamente e statisticamente. I suoi progressi hanno singolare valore: furono conseguiti contro nemici di parte opposta; contro coloro che volevano conservare le istituzioni vigenti, e contro gli altri che volevano trasformarle ab imis m·utando l'assetto economico presente e che nella finalità ultima strombazzavano di voler sorpassare i repubblicani. Avvenne, inoltre, questo fenomeno apparentemente incomprensibile: i monarchici furono i migliori alleati dei socialisti; ai quali dettero un prestigio, un'autorità incalcolabile, proclamanilo ripetutamente la superiorità del loro programma. Non i modesti gregari, ma i capi più autorevoli, da Di Rudinì a Giolitti, affermarono, colla più grande sicumera, che i socialisti combattono per la sostanza e i repubblicani perseguono le ombre. Gli atti accompagnarono alle parole, riserbando, specialmente negli ultimi tempi, tutte le ire della polizia contro la propaganda repubblicana. Nè ciò facendo tradirono gl'interessi delle istituzioni. Come abbiamo osservato più, volte, i monarchici videro nella propaganda repubblicana il pericolo prossimo e ritennero remotissimo o addirittura impossibile l'avvento del collettivismo. Accortamente quindi si valsero dei socialisti per combattere i repubblicani. Ma nel successo del partito socialista, che per la sua rapidità ed estensione non trova riscontro altrove, sarebbe disonestà non riconoscere che le sue condizioni intrinseche vi contribuirono per molto. La forte organizzazione, la disciplina, l'abn'egazione, l'attività perseverante dei suoi propagandisti in Italia furono davvero impareggiabili. Fu merito dei socialisti italiani l'aver saputo adottare il meglio dei socialisti stranieri nei metodi di lotta: dagli opuscoli a due centesimi, alle conferenze, ai segretari pagati delle sezioni. Ma.- gnifica istituzione questa dei segretari e dei propagandisti pagati! E' riuscita a legare alle sorti del socialismo molti borghesi famelici e disoccupati ..... che nella propaganda trovano un mestiere che assicura molti applausi ed un poco di pane. Figurarsi se lo esercitano con entusiasmo! Il partito socialista, in un paese che vive sotto la pressione del bisogno economico, con scarsa educazione politica ed intellettuale, ha una base formidabile in una propaganda. i cui capisaldi stanno nel miglioramento materiale. E non facciamo un rimprovero se parlano allo stomaco: questo ha i suoi diritti, che sono anche anteriori a tutti gli altri e devono essere riconosciuti. La sua migliore condizione, infine, per fare larga breccia l'ha nella duplicità del suo program• ma e della sua tattica. Il partito socialista italiano è bifronte: ha un programma massimo ed un programma minimo; una tattica evoluzionista ed una rivoluzionaria. Il programma massimo, come scriveva Otello Masini, serve per le grandi occasioni, e può benissimo ripiegarsi e mettersi in tasca tutte le volte che riesca incomodo o compromettente, per sostituirlo·con quello minimo che, cedibile come l'elastico, oggi serve per le elezioni amministrative, domani per quelle poli· tkhe, un altro giorno per mettere d'accordo la monarchia col socialismo. Ma che cosa è poi questo programma minimo che i socialisti italiani fanno valere con suprema abilità, confinante con la massima impudenza? Niente altro che il programma mazziniano, che fu poi rinfrescato nel Patto di Roma. Sicchè essi compiono una vera truffa politica, quando con parole mirabolanti danno per roba nuova e colla loro marca di fabbrica, ciò ch'è degli altri ed ha tanto di barba. I benefizi della duplicità del programma vengono completati dalla duplicità della tattica. S'incontrano essi in borghesi pacifici? Parlano di evoluzione e condannano la violenza. Si trovano di fronte ad uno spiri io bollente? Innalzano f\vviva al socialismo rivoluzionarioooo ... Allo stringere dei conti, però, la rivoluzione poi bisogna intenderla sempre in senso scientifico... astronomico. Così può avvenire che i rivoluzionari più ardenti del · socialismo italiano sieno coloro che han messo cura suprema nel conservare sempre la pancia per i fichi... Con questi mezzi e con queste idee, e con le notate condizioni di ambiente, suffragati da una disinvoltura piramidale nel negare agli altri tutto, nell'attribuire~ a loro stessi ogni merito, i socialisti ita.liani sono riusciti ad ottenere risultati insperati, che li farebbero credere vicini ad avere nel loro pugno l'Italia. Ma hanno essi conquistato le coscienze, specialmente nel Mezzogiorno dove i loro trionfi sono più sorprendenti? Lo vedremo un'altra volta ed avremo occasione di ribadire le osservazioni che furono qui esposte sulla fabbrica elette coscienze. LA RIVISTA .8~ Lo sviluppo delle grandi città Uno dei fenomeni demografici e sociali, che contraddistinse maggiormente il secolo XIX fu lo sviluppo rapido delle grandi città tra i popoli civili. Il fenomeno non è del tutto nuovo; ma nulla di simile nelle proporzioni e nella sua universalità si era visto per lo passato. Esso da un pezzo richiama l'attenzione dei mo-
,, RIVISTA POPOLAllE bi POLI't!CA, LEffÉRÈ E SCIENZE SOCIALI 371 ralisti, degli economisti e dei politici, e formò oggetto di ricerche accurate e di studi diligenti; ma questi furono tutti superati da un libro di un nordamericano, Adua Ferrin ,veber, che venne pubhlicato nella collezione pregevolissima di. Studies in ltistory, economics and public law del la Facoltà di ;:cienze politiche del la Columbia Uni1;ersily (New-York) diretta dal Seligman. Non è possibile dire tutto il bene che si vorreb be e potrebbe dire di quest'opera davvero magistrale ed esauriente, che si occupa dell'Ing1·anclim.ento delle città nel secolo XIX (1). Tutto ciò che si potrebbe fare di meglio sarebbe il riassumerla largamente. Ciò che non è possibile nella Ri'visla popolare per la solita tirannia dello spazio. Il meglio che si può fare è di dare una pallida idea del libro facendo conoscere al lettore clte l' Adua Ferrin Weber tratta largamente, con grande copia di cifre e con vigore di argomenti, tutto ciò che si riferisce allo sviluppo delle grandi città, e di tutti i fenomeni demografici e sociali, che nelle medesime si svolgono paragonati opportunamente Da questo confronto risulta che l'incremento fu massimo in alcune città degli Stati Uniti e relativamente piccolo in Italia, dove sono notevoli due fatti: la differenza nello sviluppo tra Napoli e Milano e il regresso di Venezia. Il lato più interessante di questo magnifico stu- <lio, che non h:1 riscontro in al~ri analoghi in Italia, è quello sulle conseg·uenze clell'Urbanismo. E esso un bene o un male? Si deve sperare nella sua climinuizione o dobbiamo augurarci, nell'interesse del progresso dell'umanità. che esso continui? L' Adua Ferrin vVeber, dopo un esame diligentissimo cli tutti i fenomeni, che generano l'urbanismo o ne sono l'effetto, dimosfra le esagerazioni di Hansen, rii Ammon, ed un poco anche di Booth sull'azione distrutti,ra delle energie umane ch'essi attribuiscono alla città, e infonde nel lettore la convinzione che l'urbetnismo è un fatto complessissimo che ha i suoi aspetti buoni coi relativi rovesci della medaglia. Il suo pensiero intimo si può riassumere nelle seguenti parole cl i Giorgio a quelli analoghi delle campagne (matrimoni; nascite; morti; migrazioni; suicidi; delitti; istruzione ; composizione della popolazione secondo la età, sesso, professioni, luogo di nascita; concorrenza del lavoro; distribuzione della ricchezza ecc.) La Triplice e la Francia Tucker, che egli mette come epigrafe del libr0: « La proporzione tra la popolazione rurale e la popolazione urbana di un paese è un fatto importante nella sua economia 'interna e i:ella sua condizione. Essa determina, in maggior parte, la sua capacità ·pet· le manifatture, l'estensione dei suoi commerci e l'ammontare della sua ricchezza. L'accresciUn parallelo tra la popolazione degli Stati Uniti nel 1790 e dell'Australia nel 1891 dà la misura del fenomeno del1' incremento delle grandi città, che costituisce il cosidetto urmento delle città ordinaria- ~,,-- - ment.e indica i.I progresso dell'intelligenza e delle arti, mibanismo, nell'ultimo secolo. La Triplice non va avanti ... (Il francese allira verNel 1790 nec,Ji Stati Uniti so lui J"llalia e lascia l' nuslriaco a sbrogliarsela col sura la somma di godimento sociale, ed implica sempre ecce:c;siva attività mentale che con una popolazione di 3, 9 2 9 , 214 soldataccio tedesco). ab. le città sopra 10,000 ab. ne comprendevano 123,551 cioè il 3,14 010 del totale. Nel 1891 in Australia con una popolazione di 3,809,895 le città con più di 10,000 ab., con tenevano 1,264,283 ab. cioè il 33,20 010 del totale. Il confronto tra la popolazione di alcune cittù nel 1800 e nel 1890 l'iesce molto istrnttivo. 1800 1890 Londra ab. 958.800 4,211,700 New-York 62,900 2,740,600 Parigi 546,900 2,448,000 Berlino 173,400 1,577,800 Vienna 232,000 1,341,900 Chicago (1850) 30,000 1,099,900 Filadel fia 81,000 1,047,000 Pietroburgo 270,0C0 1,003,300 Napoli 400,000 463,200 Milano 134,500 321,800 Roma 153,000 300,500 Venezia 150,000 132,800 (1ci The growth ~ citi'.es in the ninetcenth by the MacmilJan ompany. New- ork. L. 17,50. ( Ulh di Berlino) qualche volta è sana ed utile, talaltra morbos,1 e perniciosa. Se queste agglomerazioni di uomini talora diminuiscono alcuni elementi del comfort della vita, qualche altra volta ne aumentano degli altri; se esse sono meno favorevoli delle campagne alla salute, esse stesse, però, provvedono méglio alla migliore cl ifesa dalle malattie ed alle cure più opportune. Per cause politiche e morali esse sono poco favorevoli al la moltiplicazione della specie. Agli occhi del moralista le città offrono un vasto campo e alla virtù e al •:izio; e sono inclini alle innovazioni sia nel bene che nel male. » « L'amore alla libertà civile è forse più forte e più costante nelle campagne che nelle città; e se alla libertà si guarda nelle città con una oculata vigilam:a, egli è vero altresì che nelle medesime la legge, l'ordine, la sicurezza vi sono più esposti a pericoli per la maggiore facilità colla 4uale l'intrigo e l'ambizione possono agire sull'ignoranza e sul bisogno. Ma quali elle possano essere i beni e i mali delle città popolose, esse sono il risul-
372 RIVlSTA POPOLARE DI POLITICA, LETTERE E SCIENZE SOCIALl tato cui inevitabilmente tendono tutti i paesi; che sono ad una volta fertili, liberi e intelligenti». Questa sintesi anticipata dalla documentata dimostrazione Jel bene e del male, che derivano ad una volta dall'urbanismo, viene integrata colle parole di Kingslef che l' Adua W~ber riporta a conclusione dell'importantissima opera e che esprimono il suo desideratum: • una completa inter- « penetrazione della città e della campagna, una « fusione completa dei loro differenti modi di vita « ed una combinazione dei vantaggi dell'una e del- • l'altra, come in veruna contrada del mondo si- « nora si sono viste: ecco l'ideale, che si dovreb- << be realizzare ». Dottor NAPOLEONECOLAJANNI. Deputato al Parlamento MAZZINI,BOVIOE I SOCIALISTI Leggo nella Rivista Popolare un giudizio di Napoleone Colajanni sopra una monografia biografica del dottor Giovanni LombarJi. Il giudizio è laudativo, ma con una riserva che ricorda anche una volta quella franchezza che nel Colajanni è carattere. Nota il valentuomo che il problema sociale inerente alla dottrina politica del partito republicano fu veduto non da uno, ma da tutta quanta la scuola e,. prima, da Mazzini, che in tanta parte de' suoi scritti discorre, con sapienza, delle più vive quistioni sociali. Lasciando a quel grande - se valgono - le riparazioni postume, io ricordo che non pochi de' nostri intesero le quistioni sociali non come un sottinteso ma trattandole di proposito con ampiezza e metodo. Fra questi il Colajanni occupa il posto che gli deriva da lunghi, dotti e particolareggiati studi: prova irrefragabile che nessuno di noi, e prima ed oggi, ha inteso le quistioni politiche come puramente formali. Una inesattezza noto nelle osservazioni del Colajanni, dove parla della mia canditatura al Consiglio p.rovinciale di Bari. Non fui mai candidato a nessun consesso amministrativo, meno forse per mie attitudini che per miei convincimenti dottrinali. Io credo che la democrazia dovrà, un giorno o l'altro, esaminare a fondo la dottrina dell'unità o pluraliti del mandato. G1ovANNIBov1O ~ Gli abbonati che invieranno all' Amministrazione della Rivista Popolare l' importo dell'abbonamento scaduto e lire una e cinquanta, riceveranno.franco di porto, il volume Per l'economia nazionale e pel dazio sul grano, dell'on. Dott. Napoleone Colajanni. LE NOSTRE COLONIE IL BRASILE, (Postilla). Era già stampato l'articolo che nel passato numero com;acrammo al Brasile, quando ci pervennero. le tre seguenti pubblicazioni d'indole diversa: 1' La Tribuna_ italiana di S. Paolo (9-10 Giugno) con un articolo intitolato: Becchini; 2° La relazione ufficiale della missione affidata all'on. Vito de Bellis dal governo italiano (Tr·a l' Italia e il Brasile. Roma, Tipografia Bertero ); 3' Una lettera aperta del sig. Epaminonda Lugatti all'on. Pantano quale membro del Commissariato per l'emigrazione. Giova riassumere le tre accennate pubblicazioni per chiarire o ribadire quanto fu sopra esposto. 1° L'articolo dèlla Tribuna italiana é tutto consacrato all'on. Colajanni che sarebbe il... becchino, non dei morti - e in questo caso nessuno gli vorrebbe male! - ma degli itali ani.. .. vivi. N<Jn ·credevamo che il Direttore della Rivista fosse un siffatto ribaldo nemico della patria! Perché l'autore dell'articolo ... becchino, che si nasconde sotto lo pseudonimo di Ape - e certo non pretenderà. di avere qualche cosa di comune coli' apuz:.a nica dell'abate Meli - ce l'ha cosi forte coll'on. Colajanni da considerarlo come un becchino dei propri connazionali, come uno scellerato che vorrebbe distruggere il sentimento della patria dopo avere fatto qualche cosa - Ape lo confessa con parole molto benevoli per il becchino - per vederla costituita? Perché egli ha scritto: nuoce agli italiani all'estero la spercmza di ritornare in patria. L'on. Colajanni potrebbe rispondere che egli ha constatato un fatto e non lo ha creato lui. Che colpa ne ha lui se gli americani deplorano che gl'italiani siano troppo sobri, risparmino troppo e diano origine ad una forma particolare di assenteismo a danno del paese in cui immigrano, mandando ogni anno centinaia di milioni in patria'? Ma noi crediamo di essere in terpetri del pensiero dell'on. Colajanni aggiungendo che sintanto che c'è una emigrazione dall'Italia di centinaia di migliai~ di persone all'anno, bisogna far si che essa procuri ai disgraziati, che lasciano la patria, il massimo benefizio possibile. Essi potranno ricavarlo pren.:. dendo <limora stabile nel paese nuovo in cui vanno, e prendendone la cittadinanza che assicurerà loro i diritti politici e amministrativi, che potranno far valere in ogni occasione. Cosi fanno in generale i tedeschi, gl'irl:,.ndesi, gl'inglesi, gli scandinavi... Cosi non fanno i polacchi, i russi, che rappresentano in una agli italiani - questa è la verità dolorosa - gli elementi più scadenti dell'emigrazione europea. E nessuno si sognò mai di considerare i primi come nemici dei rispettivi paesi.. .. Anzi passano per buoni patriotti, e del loro attaccamento alla patria danno prove frequenti. L'avviso dell' on. Colajanni su questo argomento viene anche esposto da un Regio .... becchino. li Con• sole generale d'Italia in S. Paolo, Cav. Attilio Monaco, infatti, in una sua relazione sul!' Immigrazione italiana nello Stato cli S. Paolo del Brasile, scrive: ~ È da credere che la tendenza degli italiani a rimpatriare col tempo si attenuerà .... Ques~a. evolu-
RIVISTA. POPOLA.RE DI POLITlCA. LETTERE E SCIENZE SOC/ALJ 373 zione, non si fa che lentamente. Se essa farà perdere molti figli alla patria di odgine, servirà a rafforzare e a rendere più compatta la comunità italiana, a farla meglio conscia dei suoi veri interessi, ad avviarla verso un lavoro più ordinato e più sicuro, col quale si potranno far fruttare le risorse di questo ricco paese. » Ma l'emigrazirme è un bene o un male ? Ape non esita a considerarla come male, ed accettando i calcoli di Engel, di Guyot e di altri sulle spese di allevamento dell'uomo, ritiene che l'Italia perda circa 300 milioni all'anno coll'emigrazione. Non intendiamo di trattare incidentalmente questa grave quistione che ha fatto versare tanto inchiostro agli economisti; ci limitiamo a dare il nostro avviso senza pretendere che venga accettato dagli altri rer vangelo. Noi riteniamo che l'emigrazione sia indizio di grave malessere economico; ma, pur non nutrendo l'idea di vedere sorgere una più grande Italia al di là dell'Oceano. è evidente che l'emigrazione attenua quel malessere - è rimedio palliativo al male che l'ha generata. modo nemmeno da chi, come me, rifugge dal pessimismo del Rossi, e tanto ottimismo viene contradd0tto anche dalla citata relazione del Cav. Monaco. E meno male che lo stesso De Bellis sentendo di essere stato turlupinato dai .fazendeiros, che gli mostrarono coloni bene ammaestrati, aggiunse che da informazioni assunte intorno alla colonizzazione brasiliana non esita a dichiarare, che tutto non va per lo meglio nel migliore dei mondi possibili! Vediamo se c'è qualche cosa di nuovo e di buono nella parte con,;a'crata alla sua missione specifica: alle relazioni commerciali. li De Bellis opina che l'esportazione del vino nostro nel Brasile aumenterebbe se il vino che passa per italiano fosse meno caro di quello portoghese, e fo~se fabbricato ... coll'uva. In quanto al prezzo, siamo alle solite. Spagnuoli e portoghesi ci battono su molti mercati perchè essendo di noi più poveri sono costretti a vendere a qualunque prezzo. Per far loro concorrenza vittoriosa dovremmo produrre in perdita o riducendo straordinariamente gli utili della coltivazione della vite che sono già molto esigui. E che sugo e' è a Perchè cessi il bisogno dì scorgere nell'emigrazione una valvola di sicurezza è necessario che gli uomini crescano in una misura minore, o almeno uguale a quella del capitale che procura i mezzi per l' esistenza - per aumentarne il benessere o almeno per mantenere immutato l'attuale tenore di vita, In standard oj life - ch'è già molto basso. La statua di Federico il gra.nde e gli Stati Uniti. produrre, ad esportare per perde-re o per condurre innanzi una magra e tribolata esistenza? La sofisticazione -- e non del solo vino - è un malanno vero e se ne dolgono i commercianti italiani onesti e seri, che invocano provvedimeuti dal governo italiano e brasiliano. Si connette alla quistione del prezzo. E che colpa ci ha l'on. Colajanni se gl'italiani, contro i suoi consigli da maltusiano, si moltiplicano più rapidamente dei capitali; e se il governo italiano, pure contro i suoi voti e la sua modesta azione politica, sperpera improdu ttivamente i capitali ? ·n fratello Jonathan (gli Stati Uniti) acconsente ad accettare la statua di Federico il Grande, purché il bastone (che il Re tiene in mano) resti in Germania. Poco o nulla può fare il governo italiano ; molto potrebbe quello brasiliano con una legge severa contro le sofisticazioni. Si ricordi poi per valutare l'efficacia del rimedio,' che i viticultori italiani, francesi, ungheresi si lamentano in casa propria della (Amsterdammer di Amsterdam) E che sarebbe della condizione dei lavoratori italiani, se tra loro, per mezzo dell'emigrazione in un quarto di secolo, non se ne fossero allontanati almeno tre milioni dal mercato tragico delle braccia umane? 2° Veniamo all'on. De Bellis. Amici della verità sopratutto, dobbiamo confessare che la sua Relazione ci ha fatto giudicare inutile la missione a lui affidata di visitare il Brasile. La sua relazione è di un ottimismo veramente ~ sorprendente; tale da fargli dire che <e il popolo bra- , « sìliano di origine portoghese, quindi di razza la- « tina, ha saputo con forza e volontà, con studio e « costanza abbandonare in parte i difetti di origine « per serbare i lati buoni del gentil sangue latino ...; « che esso è oltremodo ospitale ed ama di vero « amore due sole sorelle in latinità: la Francia e « l'Italia; ... che gl'i tali ani lavoranti nelle fazendas « dell'interno dello Stato di S. Paolo gli hanno di- « chiarato in coro che si trovano bene ... » (p. 6 o 19). Tanto ottimismo non si può accettare in verun concorrenza sleale che loro fanno gl'ingegnosi concittadini che fabbricano vino ... senza uva ! L'obbietto della missione De Bellis pare che si sia ridotto a sentire il suo avviso sulla convenienza di ridurre o di abolire il dazio di entrata in Italia sul caffè. Su questo il rappresentante per Gioia del Colle si mostra del tutto brasiliano. Propone per ora la. riduzione da L. 130 a 105, ed accorda le sue preferenze ali' ,1bolizione totale. Alla perdita del fisco - di 4 o di 20 milioni, secondo che si riduce o sì abolisce il dazio - il De Bellis crede che si troverebbe compenso diretto nell'aumento del consumo dello zucchero, e indiretto nelle maggiori esportazioni nostre, che verrebbero favorite dalle riduzioni forti dei dazi brasiliani sui nostri prodotti, e perciò andrebbero a benefizio dell'economia nazionale. Il benefizio indiretto sarebbe davvero notevole, e varrebbe la perdita del Fisco; ma ad una condizione: alla condizione che il Brasile concedesse ad alcuni prodotti la clausola di favore simile a quella che ci dette l'Austria pel vino. Senza di essa. in grazia
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