Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno VIII - n. 13 - 15 luglio 1902

► I IUVIS1'A POPOLA.RE Dl POLJTiCA., LÈ1'TERE È SCiENZE SOCiAU 35"7 simo popolo, e vi sentivo dentro, io uomo assai più dell'avvenire che del passato, tutta l'eterna modernità d'ogni cosa veramente grande, d'ogni cosa veramente profonda, in qualsivoglia. tempo sia stata pensata ed elaborata. Quale meravigliosa fantasmagoria, dall'« Adi-Parva », il Libro delle Origini, al « Sabà-Parva », il Libro della Reggia, al·« Vana-Parv:i. », il Libro delle Selve, al Libro di Viràta, al Libro degli Armamenti, al Libro di Bhisma, al Libro della Strage Notturna, a quello dei L:;,menti, a quello dei Conforti, a quello dell'Eremitaggio, a quello del Viaggio Supremo! ... Quale enciclopedia filosofica, quale monumento di pensiero inestinguibile, in queste pagine profonde come la,Bibbia nostra, da un capo all'altro del volume sacro, pur cosi condensato e ridotto dalla spaventevole mole dell'originale! Ce n'è per tutti, infatti: Volete la ricetta della felicità? « Una buona rendita, sanità costante, un amico, una moglie amabile, un figlio docile, una scienza profìcua:· ecco le sei felicità di questo mondo ». Per Sua Maestà il Re: « Chiamasi ufficio del Re quello per il quale si tergono le lacrime dei poveri, dei derelitti, dei vecchi, suscitandosi letizia nei sudditi ». Per sua eccellenza il Ministro delle Finanze: e Come l'ape raccoglie il miele senza guastare i fiori, così il Re prenda i denari dai suoi sudditi, senza far loro male ,>. Per i signori forcajoli: « Colui dinanzi al quale tremano le creature come gazzelle dinanzi al cacciatore, andrà in rovina, quand'anche egli avesse conquistata la terra fino agli estremi confini ». · La filosofia della ricchezza: « Chi non ha quattrini e vorrebbe metterne insieme, non ci riesce: i denari si prendono coi denari, come i grandi elefanti con altri elefanti ». La filosofia della miseria: « Si, infinita é la mia ricchezza, giacché io non posseggo nulla: se tutta Mithilà s'incendia, non brucia niente di mio». La madre: (< Un buon precettore vale più di dieci dotti brammani; un maestro vale più di dieci precettori (oh, com'è vero I); un padre, più di dieci maestri; più di dieci padri vale una sola madre, anzi essa supera i11dignilà tutta quanta la terra: non v'è alcuno superiore alla madre». Per la libertà dell'amore: ~ La vecchiaia è dolore, la perdita delle sostanze é dolore, lo stare insieme con chi non si ama é dolore, la separazione da chi si ama é dolore ». A che serve h lingua? Ad esprimere il proprio pensiero, evidentemente: cioè, a comunicarlo ai nostri simili. E chi sono i nostri simili? Una volta, erano solamente gli individui appa1·tenen ti alla nostra stessa parrocchia o contea, come ancor oggi, presso i selvaggi, i soli membri della stessa tribù o clan; ma per noi, gente moderna e civile, son tutti gli uomini moderni e ci. vili, sparsi su tutti i continenti e su tutte le isole, viaggianti su tutte le grandi reti internazionali, naviganti sui colossali piroscafi del trust oceanico corrie sui piccoli velieri ciel patrio cabottaggio. Ciò posto, il criterio della « buona lingua», che un tempo era nella sua purezza, va trasportato oggi nella sua ricchezza; l'esclusivismo del passato deve cedere al cosmopolitismo dell'avvenire; e l'ostilità chiusa e diffidente, all'ospitalità aperta e cordiale. Quando chi parlava il puro toscano non pretendeva di farsi capire se non dai puri toscani, egli aveva ragione di esser purista; ma volendo comunicare le proprie idee anche agli altri italiani, bisogna che si adatti a parlare italiano: cioè quella lingua più ampia, più estesa, più ricca, che s'è andata e si va ancora formando con la fusione. armonica di tutti gl'idiomi della penisola, con la legittimazione di tutti· quei termini di ciascuno, che, nella concorrenza e nella lotta per sopravvivere, s'impongono a poco a poco a.tutta la nazione e sono dovunque compresi, e con l'eliminazione graduale ma fatale di tutti quegli altri, anche toscani, anche classici, che in quella concorrenza, in quella lo.tta, soccombono e non sono più compresi se non dagl'indigeni di Pistoja o di Siena o dagli esumatori di fossili e mummie linguistiche: ottima e rispettabilissima gente, ma di cui nessuna ragione plausi bi! e può nè deve far tollerare agli altri italiani la fatua e dogmatica sentenziosità filologica. Ma io vado anche più in là, come accennavo in principio: e dico, che oggi non solo nessuna persona colta e moderna può più essere puramente toscana, né veneta, né calabrese; ma neppure può dirsi puramente italiana, né inglese, né russa: troppo, a parte grinestricabili innesti etnici, troppo noi ci siamo spiritualmente cibati di libri d'ogni altro paese, troppa . gente d'ogni razza abbiamo conosciuta ed amata nella vita e nell'arte, perché negli occhi .e nelle orecchie nostre, nel cuore e nel cervello, non ci sia anche, molto o poco, del francese, dello spagnuolo e dell'inglese, rlel tedesco, del russo e dello scandinavo, dell'americano, dell'arabo e del giapponese. E allora, perché non esprimere coi vocaboli di ciascuna di queste nazioni ciò che di peculiare ad essa c'è in noi, ciò che c'è venuto di là, ·1a réverie, il pronunciamiento, lo sport, il walzer, lo knut, il fijord, il trust, l'harem, il netzké f Perché non usare queste parole, e mille altre simili, ehe anche da noi tutti capiscono, a preferenza d'altrettante nate e battèzzate a Figline o a Samminiato o a Chiusi o a Montepulciano od a Scarperia, e che a cinquanta chilometri di distanza non hanno più corso? L'evoluzione naturale ed irresistibile del linguaggio, effetto ed indice dell'evoluzione della civiltà, mira e conduce alla fusione lenta ma sicura di tutte le favelle,perchè lentamente ma sicuramente si vanno fondendo tutte le genti (1); meglio dunque che Passatempi filologici, poteva bene intitolar Perditèmpi il signor Costantino Arlia il volume· testé da lui pubblicato pei tipi d'Albrighi e Segati a Milano: in cui egli si diverte a giostrar gaiamente su Disturna e disturnare, Dottora e dottoressa (o perché non dottrice, ch'è tanto più bello e più adatto al nuovo significato~), Trillurino, Piccheggiare, Ceccofuria, Abbagliocchi, Biurro, e su non so quante altre simili scipitaggini del piccolo gergo della sua pieve, per poi conchiudere che é proprio questo povero gergo di qualche chiusa e morta vallata apennina, quello che solo e sempre noi tutti dovemmo parlare ! Ohibò, ohibò I Il mondo, per fortuna, é un po' più (1) L'ho diffusamente <limostrato altra, volta: confr. « La torre cli Babele » nella Vite, Mod,er1ut di Milano, del 28 gennaio 1894; e « La lin<>uadell'avvenire» e « Contro la Crusca • nella Scene, ilfostrati del 1 ° novembre 1893 e del 15 fobbraio 1894,

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