RIVISTA POPOLAllÉ IJI POLITTCA, LETTERE É SCIENZÉ SOCIALI 325 ma dall'oppressione di cui la razza troppo spesso non è che l'occasione ed il pretesto. Poco importa che gli uomini di una razza, che i neri, per esempio, si mostrino meno inventivi, meno atti a certi lavori intellettuali che i loro associati di razza bianca o gialla. 'l'ra gli uomini della medesima razza ed appartt'nenti alla medesima Società Civile, non notiamo noi, tutti i giorni delle enormi differenze di istruzione e di capacità intellettuali i Queste differenze, rendono forse l'ordine sociale impossibile~ Niente affatto. Nella Società, che la libertà e la giustizia governano, i lumi della classe più intelligente servono, per così dil'e, di fiaccola alle classi meno intelligenti. Poco a poco queste differenze di condizioni mo. rali cessano di essere enormi e ten<lono a cancellarsi. - Si è allora che le classi superiori pos. son6 dire d'aver compiuto la loro missione su questa terra : esse allora hanno eh ;amato alla vita intellettuale e morale quelli dei loro simili, dei loro associati, che erano come oppressi sotto il peso della vita materiale. • • • Che se, poi, dovesse risultare che le popolazioni della Tripolitania fossero assolutamente decise a vivere del tutto autonome, noi, invece di aspirare ad averle come associate, potremmo aspirare ad averle come nostre protette. Ma Protettorato non dovrebbe significare quello che intendono le grandi Potenze che lo esercitano in altri paesi, cioè : mascherata conquista. Esso dovrebbe significare: impegno solenne e leale da parte nostra, di rispettare e fare rispettare la loro autonom,ia. In cambio della nostra protezione i Tripolitini, dovrebbero, alla lor voi ta, impegnarsi a garantire il libero esercizio della nostra espansione commerciale e coloniale. È questa la politica che io, all'indomani di quel tragico preannunzio di Amba Alagi e Abba Garima, che fu Dogali, quando tutto il nostro paese s'infervorava alla idea della rivincita contro re Giovanni e ras Alula, propugnavo nel mio libro Popoli barbari e Popoli ·civili. • Or, dunque • scrivevo allora, • quale dovrebbe essere la nostra condotta di fronte all' Abissinia, dopo il doloroso ma provocato e voluto incidente di Dogali, per poterne uscire col minor danno possibile dei nostri interessi e con dignità i • Certamente, noi non diremo mai d'indietreggiare o di andarci a gittare ai piedi di re Giovanni e di ras Alula. • Ma se re Giovanni e ras Alula, spaventati da1 nostri grandi preparativi guerreschi, ci stendessero la mano, in segno di pace, non la respingiamo. Approfittiamo, invece, di un tale possibile atto di sottomissione, per ottenere un buon Protettorato. • Ma Protettorato, perchè fosse efficace e duraturo, non dovrebbe significare ciò che fa significare ad esso la Francia nella Tunisia: Protettorato dovrebbe significare ciò che impone ed ordina il vero Diritto delle genti: rispetto massimo e scrupoloso della indipendenza dell' Abissinia e prote- :::ione da qualsiasi aggressione straniera. Tutto ciò, naturalmente, in correspettivo di certi dati e determinati vantaggi che l' Abissini 1i si dovrebbrobbligare di assicurare verso di noi: protezione, per esempio, dei nostri conna::ionali, libertà di coinmercio, e così via via. • Ottenendo un Protettorato, nei giusti termini cui accenniamo, noi, a fronte alta, potremmo dire d'aver ottenuto una grande e vera vittoria. • Senza niuno sperpero di dr,naro e senta inutili e barba,•i sacri{ìcii di ancora nuove e preziose vite d' Italiani, noi potremmo dire d' aver fatto un ottimo affare ed una buona azione netto stesso tempo. • Invece una brutale vittoria che noi potremmo ottenere, intraprendendo una guerra contro l'Abissinia, sarebbe la nostra rovina finanziaria e morale. Sì, la nostra rovina morale ancora, imperocchè la sola ed unica forza dell'Italia sarà nel rispetto che essa porterà all' indipendenza di tutti i popoli del mondo, ma mai negli arbitrii e violenze che essa potrà compiere . • In tre diverse condizioni politiche si è trovata l'Italia nella Storia. Noi abbiamo avuto l'Italia dispotica ed arbitraria padrona <lel mondo ; abbiamo avuto l'Italia serva del mondo; abbiamo finalmente, l'Italia naturale e legittima padrona di sè stessa. • Ora, coll'amara esperienza della propria Storia la quale le dice che, per aver voluto essere dispotica ed arbitraria padrona del mondo, fu condannata ad esserne per lunghi e lunghi secoli la serva, noi non arriveremo giammai a comprendere come si possa volere il suo bene e la sua vera grandezza, col consigliarla a mettersi in quella fallace e pericolosa via che la condusse al punto di essere considerata per sì lungo tempo come sepolcro tmbiancato, terra di morti ed espressione geografica. • La terza Italia ad una sola condizione sarà sempre libera padrona di sè stessa, con Roma capitale : lasciando liberi padroni di sè stessi tutti gli altri popoli del mondo, ed aiutando ad esser, tali quelli che, a grande loro sventura e dell' Umanità, ancora non lo sono, o, se lo sono, corrono il pericolo di non esserlo più. • Cosi solo l'Italia potrà gareggiare colla grande ed universale forza morale del Vaticano. In caso contrario sarà sempre l'ultima delle nazioni, perennemente incerta e mal sicura dentro, ed eternamente minacciata fuori. • Roma, capitale d'Italia, non dovrà essere mai più centro di violenze e di arbitrii internazionali, come fu quando era capitale ·dell'Impero Romano; mai più centro di superstizioni e di pregiudizii, come fu quando era esclusivamente capitale del mondo cattolico. • Roma, capitale d' Italia, dovrà essere rocca inespugnabile del diritto e della ragione. Il di-
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