Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno VIII - n. 11 - 15 giugno 1902

302 RIVISTA POPOLARE DI POLITICA. LETTERE E SCIENZE SOCIALI Un'altra prova, sebbene indiretta, è data dall'accrescimento del capitale impegnato nelle industrie in rapporto al vàlore del prodotto. Invero, il Censimento degli Stati Uniti valutava il capitale posto nelle industrie nel 1860 a dollari t.00~.855.715 ed il valore dei prodotti ottenuti in dollari 1.885.861.676; ora nel Censimento del I 890 il capitale impegnato nelle industrie saliva a dollari 6.525 156.486 ed il valore dei prodotti a doli. 9.372.437.283. Un aumento, quindi, in capitale del 546 010, mentre. il valore del prodotto cresceva soltanto del 397 010 (I). La sproporzione si palesa maggiore ove si prendano in esame le industrie più sviluppate in cui sono dominauti le macchine. Cosi, ad esempio, dal 1860° al 18\-10 nelle industrie tessili il capitale impegnato cresceva del 393 011) e il valore del prodotto soltanto del 236 O[0; nelle industrie del cotone il capitale saliva del 259 010 e il valore del prodotto solo del 132 010; e nelle industrie della lana n capitale aumentava del 533 010 e il valore del prodotto del 268 010. (Vedi tabella pag. 303). Si comprende, senz'altro, tanto l'evidenza s'impone, che l'aumento proporzionale maggiore del capitale di fronte all'aumento del valore del prodotto, produrrebbe inevitabilmente una caduta troppo repentina del tasso del profitto, ove non si verificasse nello stesso tempo la diminuzione del salario proporzionale, ossia della quota_parte della giornata di lavoro ~he rappresenta il valore della forza di lavoro pagata dal eapitalista (2). E tanto più 1ale conclusione si palesa fatale nella economia capitalistica quando si consideri che il valore del prodotto è formato progressivamente da una parte sempre maggiore di materie prime e di mezzi di produzione in genere, consumati nel proce~so del lavoro a misura che domina la macchina, cioè un'alta composizione organica del capitale. Ma vi ha di più. La caduta ciel salario relativo è ancora più forte di quello che appaia dal confronto delle statistiche che ci danno il complessivo alore dei prodotti a diverse epoche. Invero, il valord complessivo dei pr,)dotti delle industrie in una determinata nazione comprende naturalmente la produzione delle industrie più evolute e a macchinario perfezionato, come la produzione delle industrie in cui ancora è predominante la mano d'opera; e, del pari, la produzione delle industrie arretrate e i agonizzanti per la guerra della concorrenza, come la produzione delle industrie novelle, specialmente in oggetti di lusso. Ora, è intuitivo che le industrie, o gli stabilimenti industriali. ad esempio_. che non seguirono il movimento ascensionale della produzione, realizzino una quantità di plusvalore per ogni operaio molto minore, e che tendano a neutralizzare in parte la maggiore qua,rtità di plusvalore relativo ed assoluto pro- (1) 1. c. pag. I64 e seguenti. /2) E nella diminuzione della quotci parte della giornata di laooro che rappresenta il salario che i\Iarx ravvisa lo stimolo costante dell'economia capitalista. Ed è in queslo senso, e non nel senso dell'altezza del salario in moneta o in valori di uso, che deve intendersi la teoria marxista del valore e del salario. Quindi, qnando Marx parla della diminuzione del valore della forza di lavoro (salario), a misura che si sviluppa il capitalismo, si riferisce al suo valore ideale, io rapporto alla quota parte dellci giornata di laooro che se,·oe alla sua riprodu~ione, e non in rapporto al suo valore monetario e in valore cli uso: questi ultimi, anzi nella concezione marxista, come si è visto, sono concepiti in aumento continno. dotto dall'operaio nelle industrie più sviluppate e perfezionate. Infatti, prendiamo la fabbrica delle calzaLure in cui le macchine ed il capitale tecnico sono dominanti, e che può dirsi, as~ieme alle industrie tessili e metallurgiche, una delle industrie americane moderne più perfezionate. Ecco quello che ne scrive il Carroll Wright: « L'applicJ.zione progressiva delle macchine nella « fabbrica delle calzature data dal periodo 1850-1860. « Durante questi dieci anui, la parte proporzionale « del prodotto netto attribuito al lavoro è diminuita « dal 7-2. 010 al 63 010; la media annuale dei salari si « è elevata eia dollari 205,43 a .!51,48; il prodotto netto « si è accresciuto del 63 oro, e il capitale necessario « per ciascun dollaro di prodotto netto aumentò da « 43 a 48 centesimi. Nei trenta anni susseguenti - « dal !860 al 1890 -, la parte proporzionalé del pro- « dotto netto pertoccata al lavoro diminuì del 53 010; « la media annuale dei salari si elevò a dollari « 447,44; il prodotto netto si accrebbe del 171 010, e il « capitale necessario per ciascun dollaro di prodotto « netto raggiunse la cifra di 88 centesimi» l'i). Perciò la percentuale del lavoratore dal 72 010 che era nel 1850 è caduta nel 1890 al 30 0[0, mentre la percentuale del capitale dal 28 010 che era nel 1850 è salita nel 18?0 al 70 0[0. Le parti sono invertite, il capitale ch'era alla coda ha raggiunto la testa trionfalmente. Nè si creda che l'esempio fornito dalle industrie delle calzature costituisca una eccezione. Dalle statistiche dell'Ufficio. del lavoro americano nel giugno del 1899 e dall'Ufficio statistico del lavoro di NuovaYork nel mese di settembre del medesimo anno si ricava, infatti, che la percentuale del salario nelle fabbriche di calzature equivale al 29, 3 010 del prezzo di vendita (compreso, quindi, il prezzo della materia prima e l'ammortizzazione del capitale tecnico); mentre nell'industria dei cuoiami la percentuale del salario nel prezzo cli vendita cade al 1!1,!) 010, nell'industria dei prodotti chimici al 15 0[0, nell'industria dei colori all'l 1,lt 0[0, e finalmente nell'industria dei saponi sino al 7,"i. 010 del prezzo di vendita. Si noti ancora che in quest'ultima industria il solo profitto dell'imprenditore - non compreso l'intere!:- se del capitale impegnato, il fitto e le imposte che souo plusvalore al pari del profì tto deìl'imprenditore - equivale da solo al 9,8 010 del prezzo di vendita; e che nella industria d8i colori esso ne rappresenta perfino il 17,1 010. Cifre più eloquenti e suggestive io credo non si possano pretendere nemmeno dal prof. Antonio Graziadei, il quale dovrà convenire ora del suo errore quando polemizzava meco sostenendo la tesi conti-aria (2). La teoria marxista sulla dinamica del salario e del profitto (plusvalore) non potrebbe quindi essere dimostrata più splendidamente conforme alla realtà dei fatti, tanto più che essa vime cresimata dalle statisticheuff:ciali degli Stati Uniti, cioè del paese che offre al lavoratore un salario in moneta triplo del salario continentale europeo e doppio del salario della Gran Brettagna. (1) I. ·c. pag. 19!). (2) Critica Sociate - 1901, N. 16.

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