Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno VIII - n. 9 - 15 maggio 1902

RIVISTA POPOLARE DI POLITICA, LÈTTERÈ E SCIENZE SOCIAlJ UNAFOLLAFIOREITINA AL Xlii SECOLO ~ KPgli anni di Cristo MCCLVII[ essendo podestà di Firenz; messer Jacopo Berna rd i . . . . . . . . . . . . . il popolo colrarme a furc,re rorsono a rasa gli Ub~rli. e uccisono Sch ial Iuzzo . . . . . . to1·iaFiorentina C. L. X. Sotto l'a.Cosa caldum <l'una notte di Luglio di quell'anno drl srcolo :Xlii Firenze rlormiYa. Sul ci<'IO,cupo ("()me una volta di bronzo patinata dagli anni, le stelle appariv,tno scialbe, quasi velate dai Yapori c-lte salivano grrvi su da la terra. IH tanto in tanto il bagliore vi,·is'imo di un lampo ~olcava, lontano, l'orizzonte ed allora si disegnavano llC•tte,come tagliate dallo scalpello in una massa di porfirlo Pit>sole e Monte Ceceri. Mute erano le st.,•ade della città e deserte, come se 0J.!'11ivita si fosse spenta dentro il breve cer- <"11iodelle murn. ~Iute, deserte e buie. Le rade lucernine accese dinanzi ai tabernacoli murati su i c1·oceda oscillavano al soffio ardente come l'alito d'una bocca di forno, e mandavano rnpidi guizzi, bagli ori inC'erti che facevano S'embra,·e più denso, tutt'intorno, il buio. ell'ombra giganteggiavano, masse più nere del buio della notte, le torri e Lia le lunghe aste fitte in ci.ma ai più alti ballatoi, pendevano inerti le bandiere, come oppresse dall'afa che da tanti e tanti giorni inaridiva i cervelli e spossava i muscoli dei fo1-ti scarda~sieri Fiorentini. All'uscita da Santa Reparata una frase era. corsa, di bocca in bocca, fra il popolo: - Si dice che i Bosticlli fanno carne in Mercato. - - Noi la faremo in piazza - avenrno risposto alcun i scardassieri. Non una goccia d'acqua era caduta quel giorno; Santa Maria era rimasta sorda alle preghiere dei penitenti e si diceva che era perché c'erano troppi peccati, e si facevano, a mezza voce, i nomi de' peccatori. Da le lastre roYenti salivano fiamme d'inferno, le murn delle case bruciavano come pareti di forni, e per le strade, strette e tortuose, alitavano zatfH.te torride che ari·ossa vano gli ori i delle palbere agi i uomini e cocernno le cuoia alle bestie; bo!Iivano, sotto le vesti, le carni; asciugavano, sotto la lingua, il palato e acuivano, ne' cervelli riarsi, il pensiero che c'erano <le' colpevoli cui dovevasi rar portare la pena della siccità, della caldur:i, della sete. - Noi faremo carne in piazza - avevano detto gli scardassieri avvoltanclo intorno alla cintola i grossi grembiali di cuoio. I nobili Gi.bellini erano passati sghignazzando di sotto alle buffe: - Non ora, non ora - aveva detto lo Infangati a Gaio Soldanieri ; e Uberto Caini degli Uberti aveva aggiunto, mozzando la frase fra due Ave Mariri: - Domani COl'reremo a Palagio; domani. - La notte era nera e dal cielo opaco come una greve volta di piombo, pareva piovessero fiamme. Lentamente un gruppo d'uomini, col cappuccio tirnto su la testa scendeva la via di , . Piero dirigendosi verso un palazzo situato di fianco alla In Or' San ~Iichele le balle di grano ammuc- -.chiesa di s. Romolo. ciliate in un angolo contro le case de' Galigai, mandavano un forte sentore di ribollitura che si spandeva lentamente per le strade strette e roventi e si mescolava all'acre odore che veniva dalle concerie, ed al puzzo di marcio che dalla poca acqua stagnante del Mugnone saliva ad ammorbare la rittà. Da tanto tempo non era caduta una goccia d'acqua, i pozzi cominciavano ad essere asciutti e il giorno arnnti una processione di penitenti era andata, salmodiando, a chiedere in Santa Reparata la grazia dell'acqua. E quel giorno, durante la processione, erano corse fra i penitenti gravi parole. - Vedi mo' - avea detto Mangia degli Infangati a Gaio Solclanieri, borbottando le parole di sotto la buffa che gli cuopriva la faccia. - Vedi mo' questi dannati de' Magalotti, - ed accennò, lievemente piegando il cero, uno degli incappati, - ci faranno tirare le cuoia se non ci mettiamo rimedi.o. - - Mettiamocelo, - aveva risposto Gaio mostrando attrave1·so lo sparato della cappa nera l'elsa del pugnale, - mettiamocelo. - - Non ora, non ora, - borbottò :.\Jangia; - Miserere nostri Domine. - Miserere nostri : - aveva risposto in coro la folla dei penitenti. La porta ne era semi-aperta, vi entrarono ed uno di loro rimase appoggiato allo stipite, immobile come una cariatide, confondendosi nel buio col largo pilastro del portone. Dopo un breve lasso di tempo un'altro gruppo d'incappati giunse, scambiò poche parole con l'uomo posto come di sentinella e passò; dopo quel gruppo alcuni altri armati vennero, insieme e alla spicciolata, e tutti s'ingolfarono nel buio androne del palazzo situato accanto alla chiesa di S. Romolo. Poco lontano di là, dalla finestra d'un altro palazzo, una fanciulla t.lei Gherardini ascoltava un giovine che, seduto sopra i gradini d'una porta in faccia le mormorava una canzone d'amore. Una rara canzone del • dotce stil novo: . . . . . . . . e oanne batlatetla onestamente a dire, eh' io son qui per morire in pena e gran doglia11..:a. Quel passare d'uomini, fra' quali di tanto in tanto luccicavano le armi, attirò l'attenzione della fanciulla. Parlò e parve che le sue parole fossero dolorose come una ferita per il giovine, che mandò un gemito sommesso e balzò in piedi sguainando il pugnale.

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