226 RIVISTA POPOLARE DI POLITICA, LETTERE E SCIENZE SOCIALl so ci appl'ende f Queslo solo: che lt'a Pelitli, Lamarmora e Cialdini, alla vigilia della guc-rra del '1866, vi fu una nobile gara pet' far sì che il comando supremo fosse affidalo al più meritevole, e che s'impedisse sopratutto, in un modo o nell'altro, lo assumesse ViLtorio Emanuele li. l tre non riuscirono, poiché il 1·e fu nominalo duce supremo della gue1·ra, e il genel'ale Lamarmora non ne fu che il gerente responsabile. Ciò viene riassunto in una lellera del 1868 del generale PcLiLLi al generale Lamarmora, dove è detto: << La nostra fu una campagna disgraziata, « e doveva essere così, perché la s'impegnò in condi- « zione di Comando clte non potevano andal'e. Per abne- « gazione tu accettasti siffatte condizioni, e il risultato « .fu quello che doveoa essel'e ». L'ostinazione del re, nel volere essere il duce supremo nella campagna contro l'Austria, risulta da questi pochi periodi del generale Chiala, che riproduciamo: « Vittorio Emanuele! e Vittol'io Emanuele Il ebbero un « punto di contatto (e fu il solo!), che entrambi, cioè, « credettero di essere grandi gene1·ali. « Del re Vittorio Emanuele I, ha raccontato recente- « mente il generale Genova di Revel, che si reputava ca- « pace di fare quanto Napnleone, e lo diceva aperta- « mente. Nel 1820 ribadiva sulle gesta da lui operate « netta guerra delle Alpi, e 1·ipeteva che se lo aoessr:1•0 « lasciato agire come intendeva, avrebbe battuto-Napoleone. « Vittorio Emanuele li era più modesto, ma già du- « rante la campagna del 1848, nella quale come Duca cli « Savoia comandò la divisione di 1·iserva, mostrò di « avere di sè. un buon conceLLo come stratega, Lanlo da « renderne geloso il padre suo, Carlo Albel'lo, che in « un consiglio di guerra tenutosi a Sommacampagna, « ebbe a indirizzargli queste pungenti parole: Dites, donc, « Vieto,·, est-ce que vous croye:::,par !tasard, d'étre de- « oenu un gèneral? >J Il riavvicinamento tra i due ,·e e sarà trovalo irriverente e forse calunnioso dai monarchie!; ma la cor1·ispondenza dei tre generali riesce a provare che re Vittorio Emanuele li, su cui pesa parte della respor,sabiliLà della disfatta di Novara nel 1849, volle essere lui il direttore supremo della guerra del 1866. Il giudizio dei tre generali pesava meno di un fuscellino, poiché il re voleva essere il direttore supremo, e nessuno aveva il diriLLodi oppo1•si. 'l'e1n1lesta in un bicchier d'acc1ua. Pe1• il Catasto. - La mozione presentala pall'on. Giusso e sotLoscritl'lt da oltre 70 deputati meridionali, minacciò per un momento di assumere grandi proporzioni nella discussione del bilancio delle finanze; ma la tempesta fin'1 in un modo allegro pel ministero e con una semi rilirata ed una sconfitta da part,3 dell'ex Ministro dei Lavori Pubblici. Tratta vasi della interpretazione da dare all'art. 14 della malaugurata legge sul nuovo catasto, di cui si è intrattenuta tante volle la nostra Rioista. Secondo la legge il valore dei prodotti del suolo deve assegnarsi in base ai prezzi del dodicennio che corse dal 187ft al 1886. Ora è risaputo che i prezzi di oggi per ak,uni prodotti agricoli sono mollo al disotto di quelli del 1874-85, e in conseguenza di questo ribasso, il rnddilo imponibile delle terre col nuovo catasto, verrebbe ad essere stabilito in modo ini.quo. Questo inconveniente fu segnalato dall'on. Colajanni e da allri, ma la maggior parte dei deputali meridionali, colla loro abiLuale noncuranza, non se n'erano allarmali. Ci vollero le proteste dei proprietari della penisola sorrentina e di Capri, per destarli; e il 1·isveglio generò la mozione Giusso. L'on. Carcano, ministro delle Finanze, non volle saperne della proposta che mirava ad ottenere più equi criteri nell'accertamento del reddito attuale, dicendo, e non aveva torlo, clte se lale proposta fosse stata aç__cel• tata, avrebbe sconvolta interamente l'economia della legge. Soggiungeva - od altri deputali setlenlrionali, come il Carmine, lo appoggiavano - che l'art. 14 potevasi interpretare in guisa che senza nuovi provvedimenti legislativi si avrebbe potuto ovvia,•e al deplorato inconveniente che suscilò le proteste dei sorrentini. Si disse ancora, nella Camera e fuori, che. se la mozione Giusso fosse stata acccllata, si sa1·cbbe commesso una ingiustizia a danno di quelle provincie che hanno già fatta la valutazione dei prodoLLi agr1coii in base ai prezzi del periodo 1874-85. Il fatto della valutazione esorbitante avvenuta in alcune zone della provincia di Napoli, prova già clie l'interpretazione dell'art. 14 non dà alcuna garenzia ai conLribuenli. La seconda difesa dello· statu quo ha solo le apparenze della giustizia. Si parla di sole apparenze per il seguente motivo: le provincie che hanno già ottenuto il nuovo catasto, sono quelle sellentrionali, i cui prodoLLi hanno oLLenulo - 11deccezione dei bozzoli - il minore deprezzamento dal 1874 al giorno d'oggi; le provincie del Mezzogiorno, che sono ancora sotto la spada di Damocle rlell'applicazione del nuovo Catasto, sono invece quelle il prez:-:o dei cui prodoLLi - vino, agrumi, mandorle, nocciole, olio, ecc. - ha subilo i maggiori ribassi. Perciò el'a opportuna la primitiva mozione Giusso che avrebbe almeno presentato un rimedio contro una delle maggiori iniquità della legge sulla perequazione fondia1·ia. L'ordine del giorno De Nava - del quale si dovevano insospeLLire i meridionali, pel fallo semplicissimo che lo accettava !'on. Carmine--, che fu sostenulo da ministeriali e ben visto dall'on. Cal'cano, rimettendosene all'equità del Ministro, a parer noslro si riduce ad una canzonatura, di cui non può e non deve dichiararsi soddisfallo il Mezzogiorno. La cr1s1 ,,inicola. - Se ne discusse lungamente alla Camera in questi giorni ma non si può dit'e che gli inLerpellanLi e coloro che sentono le conseguenze della crisi si possano dichiara1•e soddisfatti. Questa discussione parlamentare come i comizi del Piemonte e le commissioni venute dalla Sicilia, dicono se c'era esagerazione nell'articolo nostre Triste vendemmia pubblicato nello scorso anno. Sui rimedi che da varie parli si proponevano eravamo sceLLici allora e lo siamo ancora di più adesso. Speriamo pochissimo nell'aumento della nostra esportazione per motivi inesol'abili che esporremo altra volta, e dettagliatamente. I\ ribasso delle tariffe ferroviarie, invocalo dai piemontesi, rappresenta una perequazione di cui nessuno può negare la giustizia: ma sbagliano i forti viticultori del Piemonte se sperano trarne sensibile giovamento sino a tanto che la produzione meridionale si manterrà qual' è attualmente; forse si avrebbe giovamento da un fortissimo ribasso che ci consentirebbe la concorrenza ai vini spagnuoli sul mercato svizzero. Poco ci attendiamo palle cantine sociali; ma siamo d'accordo con !'on. Ferraris nel ritenere indispensabile il credito a buon mercato che rende1·ebbe efficienti molti dei rimedi che senza di esso rimarrebbero sollanlo potenziali. L'abolizione del dazio di consumo certamente sarebbe uno dei mezzi più po-
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==