Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno VIII - n. 6 - 31 marzo 1902

148 RIVISTA POPOLARE DI POLITICA, LETT&RE E SCIENZE SOCIALI le furono inutilmente sperperati ben dodici milioni di lire. I socialisti italiani fidano nella ignoranza, nella mancanza di solidarietà e nella impossibilità di resistere della maggior parte dei nostri proprietari. Ma essi non dovrebbero dimenticare che il bisogno è un grande propulsore; e i primi accenni, benchè indeterminati, benchè incerti e non organici della resistenza si hanno in diversi punti. È argomento fortissimo quello che si desume dalla poca forza di resistenza economica della proprietà che in gran parte è insita nell'industria agraria; ma anche sotto questo aspetto si deve considerare che se la rovina derivante dalla mancanza di un raccolto non può essere affrontata dai piccoli proprietari e da buona parte dei medi, la si può, invece, provocare anche dai grandi, e da un'altra parte dei medi proprietari. Le possibilità della mancanza di un raccolto agrario rappresenterebbe un grave danno per la economia nazionale, ma questo danno non si limiterebbe alle conseguenze immediate, e condurrebbe ad ulteriori e profonde trasformazioni delle quali pagherebbero le spese gli stessi lavoratori della terra. Infatti, come si rileva sia da un articolo del Prof. Masè Dari, sia dalle primizie ohe sono state pubblicate sulla inchiesta promossa dalla Società italiana degli agricoltori di Roma, pare che a grandi passi si vada verso queste solÙzioni: sostituzione delle macchine agli uomini dove ciò e possibile; ritorno a cultura estensiva,sovra tutto al prato quando non si può sostituire la macchina all'uomo; e infine scomparsa della proprietà piccola e media coll'arrotondamento della grande o colla formazione del latifondo. Queste conseguenze possibili e in parte in via di realizzazione, pare che non impensieriscano i socialisti settentrionali, qualcuno dei quali si è anche compiaciuto delle previsioni del Masè Dari. Noi comprenderemmo la loro esultanza se essi si facessero apertamente sostenitori della lllassima: tanto peggio tanto meglio; ma l'insieme della loro attitudine fa ritenere invece che essi la respingono o la intendano in un senso assai diverso da quello in cui primitivamente la intesero Marx ed Engels. . Noi non vogliamo credere che i contadini se si vedessero condotti a mal partito dagli stessi metodi da essi adoperati contro i proprietari uscirebbero dalla legalità abbandonandosi alla jacquerie: ma non esitiamo a dichiarare che se abbiamo qualche speranza di scongiurare tale esito disastroso nel Settentrione, lo speriamo meno nel Mezzogiorno, qualora vi si acuisse il conflitto fra contadini e proprietari. Di fronte a questa grave situazione ai socialisti che non si sono ubbriacati coi successi ottenuti, incombe il dovere di riparare, « di moderare le • pretese dei contadini, di farli astenere per qual- • che tempo da qualunque sciopero e da qualun- " que agitazione ». Chi detta queste linee non da oggi e nelle pre · senti contingenze, ma sin dal 1892 nell'Isola dette sinceri ed onesti ammoni.menti agli operai di non abusare dello sciopero. Questo ammonimento ha ripetuto qui stesso più volte senza speranza di raccogliere lodi nè di amici nè di avversari, e prima che i più focosi campioni del socialismo si convertissero al la ragione ed alla prudenza. A nessuno quindi potrà riuscire inatteso il nostro linguaggio. In quanto alle conseguenze politiche di questo movimento che può riuscire a tutto benefici0 della reazione, noi preferiamo lasciare la parola ad uno dei capi più autorevoli del socialismo settentrionale, che di recente ha detto: « Un ben grave dovere s'impone ai partiti popolari e al partito socia!ista: il dovere cl i sforzarsi ogni giorno - non soltanto nella fugace contingenza di un voto politico - a rassodare e migliorare la situazione che le forze reazionarie son congiurate ·ad abbattere. « Questo dovere il partito socialista non l'ha inteso ancora. Da un anno noi lavoriamo - come fossimo pagati per questo dai nemici più accaniti del proletariato italiano - a preparare il ritorno ùella reazione, ad allontanare e ad allarmare tutte quelle forze che avevano spianata la via al regime liberale. Già in una gran parte della pubblica opinione s'è - mercè nostra - radicata l'idea che l'esperimento democratico sia destinato a fallire che l'Italia non sia paese maturo per la li- ' bertà. Conquistato un regime liberale, abbiamo disciolto il fascio delle forze nostre e ci siamo rivoltati contro di esso, d'ogni fuscello facendo una trave, gonfiando ogni abuso od errore di un questore o di un prefetto, per gridare al tradimento, speculando su una sventura come Bena a profitto del demagogismo nostro, giurando che la libertà - nella quale gli operai e i contadini salivano alla storia - era poco più_ che un'illusione. I giannizzeri del dispotismo, rintuzzato ma non spento, non avevano che da aspettare per mietere le messi da noi coltivate. Come infatti può prosperare un regime ·democratico, dove le forze reazionarie lo insidiano da un lato gridandolo rivoluzionario, e le forze rivoluzionarie lo assalo-ono dal lato opposto 1 In cosiffatto conflitto o non v'è spazio dove possa assidersi e durare la libertà. • Se il voto dato ieri dai socialisti alla Camera vuol dire ch'essi hanno inteso tutto questo, non ci rimarrebbe che da formulare quest'augurio: che non sia troppo tardi! •> LA RIVISTA. )QQQQQQQ(Y'COCOCCPOCOOOCOOOCOOOOOCCCXOCO<:octY:OCCOXoaocooocoaooooo Ilnostrporemaigolai bbona Vecli avviso 'Ultima pag-ina l l

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