156 RIVISTA POPOLARE DI POLITICA, LETTERE E SCIENZE SOCI'ALI tutte le cooperative, credettero che essa ne costituisse la caratteristica; e tale potrebbe essere infatti se nessun'altra società la presentasse. Or bene, se la contribuzione produttiva di un nuovo socio è maggiore della diminuzione di reddito individuale che ciascun socio risente per l'aggiunta di una nuova unità al divisore del reddito - o di nuove unità se il socio ammesso possiede più di un'azione - si possono ammettere altri soci; altrimenti no. E ciò pare che cozzi ineluttabilmente col principio della « porta aperta » ; pare che ci possa essere un momento in cui la cooperativa - a meno che non voglia .condursi in modo anti-economico e rovinoso - deve rifiutare l'ingresso a nuovi soci. Ma la soluzione del problema sta tutta nel riparto degli utili anche ai non soci. Assegnando ad essi una percentuale variabile, tale che li spinga o li ritenga - a seconda delle occorrenze - dall'entrare o no nel novero dei soci, si. avrà una val vola di sicurezza contro ogni dannos~ sovrabbondanza di capitale. Se la percentuale distribuita ai soci sarà maggiore di quella ai non soci, questi si sentiranno spinti ad accumular capitale, e ad entrare nella società; magari rilasciando ad essa i dividendi, loro spe~- tanti; se poi non è conveniente che ciò avvenga si stabilirà una perfetta uguaglianza fra soci e non soci. E allora questi non saranno certo allettati - per godere dei pochi vantaggi spettanti a coloro che fanno parte della società - a far sagrifici per accumulare capitale, e a correre un rischio. Nè si dica che i soci hanno interesse ad avere un divìdendo proporzionalmente maggiore di quello dei non sori, perchè quando l'aggiunta di un nuovo socio urta contro la legga economica delle proporzioni definite o a quella dei costi ere - scenti i soci si accorgerann,) ben presto che la loro convenienza sta tutta nel migliorare, per quanto è possibile, le condizioni dei cooperatori n0n soci. . Se poi anche il soverchio numero cli essi fosse dannoso alla società - e ciò non può avvenire che nelle cooperative di consumo, anzi credo sia quasi impossibile anche in queste - essa, che non può far miracoli, sarebbe costretta a diminuire i vantaggi di tutti, e allora i cooperatori ricorrerebbero ad essa solo in quanto e per quanto fosse ad essi più conveniente del rivolgersi altrove, e così sarebbe ristabilito l'equilibrio. Le vere cooperative in conclusione - pur non essendo mutue - riescono in ultima analisi molto simili ad esse: abbiamo da un lato una società a capitale variabile, composta di un numero illimitato di soci che pel capitale confèrito ricevono un modico interesse fisso e predeterminato; dall'altra una quantità di persone, soci e non sor,i, che pel · solo fatto di entrare in certe relazioni di affari colla società, acquistano il diritto cli partecipare cita e brevità di esposizione mi riferisco sempre alle sole cooperative anonime per azioni, che sono la grandissima maggioranza; il ragionamento non resta in nulla infirmato. agli utili in proporzione dell'ammontare degli affari stessi. Dott. A. NATALETTI. (Continua). kkòXJC<Xm>50000000000!JOWXSCO:mWWWJWWOOWWOZWZOOC<ZWWOC VITA 1":UNICIPALE Intorno agli insegnamenti Inglesi In questi ultimi anni s'è venuta accumulando ed ha, avuta singolare fortuna in Italia una special forma di letteratura municipale spicciola, la quale, illus°trando lenuove ed importanti forme che la funzione municipale hJI assunto in Inghilterra, spiegandone )e ragioni e celebrandone gli effetti, ne ha reso noti e quasi popolari tra di noi i risultali veramente ottimi, ed ha aiutato assai quel movimento in favore del così detto socialismo municipale, che, mHnifestatosi da prima timidamente, è ormai diventalo anche qui da noi largo e maestoso, come quello che trovava e trova nel sostrato profondo dei nostri rapporti economici e sociali e nella trasforma-. zione che in essi si è operata e va tuttavia operandosi, la sua ragion d'essere e di svilupparsi. lo ho altra volta deplorato ed ancor oggi deploro che questa lettera tura si sia fin qui limitata alla nuda esposizione dei fatti, e che non un solo dei giovani e valo-,. rosi pubblicisti che hanno contribuilo a crearla, si sia curato di mettere in conveniente rilievo le ragioni e le condizioni che nei municipi inglesi hanno agevolato o assicurato il successo di queste nuovissime funzioni; perché sembra a me che nessun' altra indagine sia più di questa utile e necessaria. Le nostre istituzioni, per le fortunose vicende attraverso alle quali si forir,arono, non sono il risultato di una lenta e graduale trasformazione, operatasi a mano . a mano che i nuovi e cresciuti bisogni, diventando imperiosi, lo richiedevano; ma bensì il frntto dell' opera arbitraria e frettolosa, di un legislatore, il quale ignorava o dimenticò - preoccupato solamente di dar :subilo assetto unitario al paese - che l'efficacia delle istituzioni dipende sopratutto dalla loro perfetta corrispondenza con i bisogni e lo sviluppo della nazione. Così avvenne che leggi e ordinamenti fossero ora trapiantati dall' ~stero, senza che nulla vi si mutasse peraccomodarli al nostro genio nazionale, ora e,;tesi, senza riguardo alcuno alla varietà grande delle condilioni civili e sociali delle diverse regioni, da una di esse a tutte le altre, e, poi che ogni continuità di sviluppo era rotta, avvenne ancora che quegli istituti, i quali erano stati uniformemente imposti a regio:1i fra di loro e per molti rispelLi diversissime, riuscissero disadatti, dove per eccesso e dove per difetto, al diverso grado di sviluppo raggiunto dal paese nei suoi vitali raggruppamenti lo-- cali. Da tutto questo colossale artificio, adunque, nacque un ordine apparente, di sotto al quale, però, si celava e tumultuava un disordine reale, che si manifestò ben presto, .e per mille vie, nel modo onde, sotto l' impero di quegli istituti, la vita pubblica funzionò nelle varie regioni e nei vari luoghi. Se il ricordo del continuo mutare di signorie e del succedersi di esterne dominazioni, onde 1' Italia fu per tanto terripo teatro, e quello del continuo mutare e rimutare di leggi e di ordinamenti che ne fu la conseguenza, e poi ancora l'indifferenza dell'universale, faci-. litavano e quasi direi preparavano l'opera disordinata e rivoluzionaria (nel senso men buono della parola}
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