RIVISTA POPOLARE DI POLITICA, LETTERE E SCIENZE SOCIA.LI 153 la regolare costituzione legale, e preferirono di rimanere nello stato pericoloso di società di fatto. Di fronte a questi inconvenienti - principalmente innanzi alle usurpazioni del nome di cooperativa - il magistrato si è sentito costretto ad intervenire, riconoscendo che il legislatore aveva voluto disciplinare non delle società qualunque a capitale variabile, ma alcune speciali società che si erano venute svolgendo, specialmente all'estero, col nome di cooperative, esercitando una funzione sociale stimata degna di speciale attenzione e di particolari agevolezze; e che solo in vista di quella funzione erano stati concessi determinate forme e determinati favori. Ed il magistrato negò il riconoscimento giuridico alle società aberranti da ogni sano principio cooperativo. Ma nella ricerca di questi principii egli si è sovrapposto alla legge, aggiungendo ad essa restrizioni e distinzioni che non vi sono. Distolti dalla loro funzione di applicare il diritto obbiettivo al caso concreto, seguendo le vie più diverse e i criteri più disparati, i nostri giudici son dovuti giungere ad una deplorevole e dannosa dissonanza di giudizi. E f!lentre qualche magistrato volle vedere la caratteristica della cooperati va nella esciusione delle classi agiate, o nella assenza di ogni profitto al capitale, o nella limitazione assoluta dell'attività sociale entro la cerchia dei soci; altri magistrati - specialmente in grado di appello e di cassazione - ammisero che delle cooperative potessero esser soci anche persone abbienti, che il capitale conferito avdsse un equo compenso, ed in fine - questione molto e spesso dibattuta, ma oramai pacifica - che l'azione sociale, senza cristallizzarsi nell'ambito ristretto dei soci, potesse estendersi anche ai terzi. A questi inconvenienti, non pochi nè lievi, occorre ovviare in una riforma delle disposizioni del nostro Codice. E tale bisogno non è di oggi ma già da tempo è vivamente sentito (1). A soddi~ (1) La riforma è stata chiesta sovente, e cosi dai cooperatori come da coloro che della cooperazione sono avvHsari più o meno dichiarati, più o meno decisi, perché più o meno sono, o meglio, si credono danneggiati dall'azione delle cooperative. Molti congressi di cooperatori si sono occupati della questione; non ne trattò il recente congresso di Reggio Emilia (Ottobre 1901), che limitò il suo studio a questioni più particolari, e non riusci nemmeno in questo di grande importanza ; fors'anche pel fallo che i congressisti erano dominati da preoccupazioni d'indole politica. Importantissima e rivolta direttamente alla riforma della legislazione cooperativa è l'attuale agitazione dei negozianti italiani e più specialmente romani, che s'intitola Contro gli abusi ecl i prfoilegi delle CooperativP- di consumo; e che ha avuto il suo culmine nella petizione presectata ai due rami del Parlamento (Cfr. Messaggero, anno 1902, n. 80). Non è il caso di parlare ex professo di questa petizione, ma non sarà inutile qualche osservazione. Ciò che si nota subito è una certa indeterminatezza nei desiderati, qualche contraddizione fra le premesse e le conclusioni, dovute, indeterminatezze e contraddizioni, allo sforzo evidente che restensore ha fatto per porre di accordo alcuni negozianti che sono nemici irreconciliabili ed accaniti delle cooperative. e gli altri che non sono avversari decisi della cooperazione, che anzi sarebbero disposti ad usare anch'essi di tali nuove forme di società, e che - tutt'al più - sono un poco irritati per alcuni ingiustificati ed illegali favoritismi con• cessi ad una delle nostre maggiori cooperative di consumo. La petizione pone a I legislatore italiano questo dilemma: « o si « aboliscano del tutto le differenze giuridiche c·he esistono fra le sfarlo furcmo nominate successivam~nte varie commissioni di persone competenti e benemerite della cooperazione, eh.e studiassero la questione e prepreparassero la riforma legislativa. Ma dura tuttavia colla dottrina grande incertezza e controversia circa le caratteristiche delle societ:i (cooperative, e potrebbe riuscire pericoloso inscrivere e fissare nelle nostre leggi un concetto troppo rigoroso o poco rispondente alla pratica cooperativa, sempre svolgentesi in nuove forme e sotto nuovi aspetti. Ed è perciò che presupposto di una riforma del Codice per quanto riguarda le società cooperative è l'elaborazione dottrinale delle loro caratteristiche: • il diritto mancherebbe al suo scopo se non riuscisse a fissare i c~ratterì di quell'istituto e a custodirne gli scopi ». (1) * * * Non è que.~to il luogo opportuno per una rivista critir;a delle varie teorie della cooperazione, sostenute dagli economisti e dai giuristi; teorie tutte qual meno qual più manchevoli, e - sopra tutto - non rispondenti allo speciale modo d'essere con cui le società cooperativa sono so1-te,si sono svolte e vanno tuttodì svolgendosi. Specialmente le teorie giur.idiche prestauo il fianco a facili critiche, perchè tutte viziate dal preconcetto di voler far discendere le caratteristiche giuridiche delle cooperative - ritenute categorie economiche, non giuridiche - da una presupposta caratteristica economi.ca. Eppure può esserci la possibilità di definire giuridicamente la cooperativa anche al di fuori, o in difetto di. una qualunque caratteristica economica. Non agisce forse lo stesso principio economico in. un' impresa sia assunta da una Società in nome colettivo o da una anonima? -Ciò ,non o<ltante nel campo del diritto c'è la possibilità di distinguere tali società, e in realtà si distinguono nettamente. Guardiamo quindi ai fatti, osserviamo la genesi storica delle cooperative; da essa sola può emergere la disciplina che non le forzi a battere una via diversa da quella per la quale la forza delle cose le ha incamminate, ma anzi. vieppiù le indirizzi alla mèta alla quale esse spontaneamente tendono. Le cooperative nascono storicamente sotto la forma di mutue. Sono operai che, per avere ge- « cooperative e. le società commerciali ordinarie, oppure si faccia « in modo che i favori accordati alle cooperative non possano in » vertm caso venire usurpati da imprese che sono cooperati ve sol- « tanto di nome ». Io quest.i. seconda parte sono d·accordo coi commercianti, non nella prima: credano pure che l'applicazione del principio cooperativo non reca e non ·può recare loro gravi danni, che anzi essi 1'essi possono ricavare grandi utili da speciali applicazioni di questa principio. Tolto di mezzo qualche abuso, deplorevole certo, ma danneggiante solo qualche grosso speculatore, i commercianti non debbono certo incolpare dei loro mali le società cooperative, ma sibbene le cattive condizioni di tuLla l'economia nazionale, che solo ora accenna a risorgere. Meglio far~bbero essi ad usare di quella concordia e di quella ~- telligente perseveranza di cui hanno dato prova testé, per la prima volta, ma in modo imponente, per ottenere altre riforme ben più importanti ed utili, ed influire validamente sulle varie forme d'impiego del denaro pubblico. (1) C. Vivante. Trattato di Diritto commerciale. Voi. DI- P. I.
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