Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno VII - n. 24 - 30 dicembre 1901

476 RfflSTA POPOLARE DI POLITICA. LETTERE E SCIENZE SOCIALJ della penisola, compreso il Pontefice. Ma qualunque il giudizio che si dia di essi non bisogna negare che i loro ordinamenti amministrativi erano spesso ottimi; che la loro finanza era buona e, in generak, onesta . • Per giudicare ora la finanza del Re 6 no di Napoli abbiamo due elementi di grande Yalore, a parte le numerose monografie storiche e poi itiche. Nel Luglio del 1800 fu pubblicata la situazione delle finame napolitane per cura dello stesso Ministero delle l!-,inanze: la pubblicazione con tiene tutti i bilanci dal 1848 al 1859. « Il secondo elemento di grande i mpo1tanza è za relazione pubblicata nel 1861 dal !Signor Vittorio Sacchi amico di Cavour, ex direttore del Catasto e delle contrib.uzioni dirette nel Regno di Sardegna, e da Cavour mandato a governare e regolare le finanze napolitane; e venuto a Napoli con cattive pfovenzioni. Si premetta, per giudicare meglio ciò che tlice ~ il Sacchi nella sua relazione, che l'esame della finanza piemontese riesce ancora oggi molto diffificile: nel 1862 i consuntivi non giungevano che al 1853; il disordine nel\'esazione delle imposte e nelle spese era notevole. Invece la finanza napolitana, org~nizzata da un uomo di genio, il cavaliere Medici> era forse la più adatta alla situazione economica del paese. Le entrate erano poche e grandi e di facile riscossione. Base di tutto l'ordinamento fiscale era una grande imposta fondiaria. Ed era cosi bene organizzata che rappresentava un vero contrasto con il Piemonte, dov'era assai più gravosa e di diflìcile riscossione. Lasciamo la parola al Sacchi, all'uomo di fiducia del Cavour: • Il sistema di percezione della • fondiaria, la prima e la più importante delle • risorse dello Stato, era incontrastabilmente il più • spedito, semplice e sicuro che si avesse forse in • Italia ed anche in Francia ... Non vi era quasi • alcuna imposta sulla ricchezza mobiliare. Poiché « questa si andava formando, il cavaliere Medici, « e i suoi continuatori avevano ritenuto che vi • fosse pericolo grande a col pirla con imposte. Il • commercio interno aveva ogni agevolezza: la • ricchezza mobiliarn ed il commercio in ispecie • - dice Scialoja - è esente in Napoli da ogni • maniera d'imposizione diretta, mentre la ricchez- • za immobiliare è gravata di un tributo, compa- • rativamente all'entrata generale dello Stato, as • sai più grave.• Le tasse del registro e del bollo, gravissime in Piemonte, erano assai tenui nel Reame di Napoli. L'ordinamento delle fedi di credito del Banco di Napoli, mirabilmente semplice sotto questo aspetto, rendeva inutili le registrazioni. « Il mirabile • organismo finanziario delle Provincie 1apolita- • ne si vedeva sopratutto in quanto riguardava il • funzionamento del Banco. Il Banco riceve il da- • naro da chiunque voglia deporvelo, lo custodi- • sce a sue spese e lo restituisce ad ogni richie1 1?ta del deponente in Jl10n'?çii,equivalente ... ( SacBibliotecaGino Bianco I •chi).• Quest'ordinamento clel Banco rendeva fà ciii le contrattazioni. Il registro era fisso ed unico, e tutte quelle imposte gravosissime degli altri Stati erano quasi ignote nelle due Sicilie. « Insieme alla imposta fondiaria il maggior provento derivava dai dazi di dogana e dalle imposte indirette: sopratutto dai monopoli fiscali. Erano generi di privativa del governo: il tabacco, il sale, la polvere da sparo, le carte da giuoco, il lotto. « Il bilancia napolitano potea dunque considerarsi come basato su i seguenti principi: Lina grande impo~ta sulla proprietà fondiaria riscossa nel modo più economico l alct1ne importanti privative; eseii' zione quasi assoluta della ricchezza ni.obiliare; imposte tenuissime sui trasferimenti di proprietà e sugli scambi. Tn Piemonte, viceversa, l'ordinamento finanziario, che poi fu esteso al resto d'Italia 11uasi integralmente, era gravosissimo. Anche quando il genio di Cavour cercò semplificarlo; rimase con tutti i difetti di origine, PiLl gravose che in Napoli le sovrimposte dei corpi locali. « Dal 1848 al i859 il regno delle Due Sicilie, nonostante le difficoltà interne, non mise alcuna imposta nuova, nè aumentò le antiche. Nello stesso . periodo in Piemonte tutte le imposte antiche furono aumentate, molte nuove furono introdotte, e il prezzo delle polveri, dei tabacchi e della carta bollata fu accresciuto, aumen~te le successioni, le manomorte, le tasse sui trasferimenti di proprietà, create nuove imposte sulle industrie, ritenute sulle pensioni; tutto fu aumentato. « Vedendo così enormi le differenz · fra le imposte del Piemonte e di Napoli lo stesso Saccl1i nel 1861 reputava diflfoile assoggettat•è il popolo meridionale al tributi pien1ontesi, tf troppo gravi i saari(ìci necessa1•i, che gli si dovevano im porrE:l, • Le entrate di ogni.natura; comprese le patri 0 moniali, nel Regno di Napoli per l'anno 1860 in tutto - compresa la Sicilia - non raggiunp:evano 175 milioni di lire. Viceversa le entrate del regno di Sardegna, che aveva meno della metà detta popolazione, erano di 144,332,371 nel 1859. « È assai facile immaginare quanto diversa fosse la pressione dei tributi nei cl ue Stati. In Toscana, nel ducato di Modena, nel ducato di Parma, nello Stato della Chiesa, dovunque le imposte erano più gravi che nel Regno delle Due Sicilie. « Nè la spesa, nel le sue proporzioni era nel Reame di Napoli differente da quella degli altri Stciti. La lista civile, tenuto conto della popolazione, era identica a quella del Piemonte; le spese di sicurezza pubblica minori che negli altri Stati; le svese ver it culto molto inferiori a quelle del Regno di Sardegna; infine le spese per l'esercito e per' la marina presso a poco identiche a quelle degli altri Stati della penisola, tenuto conto del numero degli abitanti. Fra il 184~ e il 1850 i disavanzi del bilancio nel regno di Sardegna furono di circa 370 milioni: quelli del regno di Napoli di meno di 139. li regno di Napoli --non fece alien11-ziom di patrimonio; U regno di Sar- .•

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