398 RIVISTA POPOLARE DI POLITICA, LETTERE E SCIENZE SOCIALI quale in Halia si debbono i primi saggi trionfali alla stecca nervosa di Paolo Troubetzkoi; solamente, il mio gusto si ribella alla bellezza « del » brullo, pur ammettendo talvolta elementi di bellezza anche «nel» brutto; né riconosce, il più delle volte, che proprio il molto, il troppo, brutto e defo1·me ostentato nelle opere rodiniane, fosse indispensabile fattore del bello energico e movimentato, del vivo realistico e intenso, che lo scultore intendeva di rappl'esentare. Vediamo, infatti: che cosa sarebbe mancato alla tragica efficacia di que;;ti Borghesi di Calais. vagolanti incerti e confusi nel gruppo nuovissimo, chi risoluto, chi attonito, chi accasciato, se nei loro panni il gesso avesse perduto un po' più della sua natura di massa minerale plastica rappresa, e avesse quindi alleggerito un poco i loro miseri co1·pi del suo peso bruto? E che male ci sarebbe stato, se il Balzac, il colossale, sprezzante, schiacciante Baliac. avesse avulo degli occhi, dei veri occhi, invece delle due fosse vuote. n_ere; enormi, maca~ bre, sollo le sopracciglia massicce? E indimenticabile, é vero: 11111 come gl'incubi, come i mostri, come le atrocità: e non mi pare davvero che questo sia il fine dell'opera d'arte. Per me, in quesla sala, io prediligo quel piccolo bronzo gentile degli nmanti ignudi, che s'abbracciano e s'aggro• vigliano così dolcemente, che si accarezzano, che si baciano, che si posseggono, che si confondono con tutt.e le membra e con tutta l'anima. Ma perché, ad un tale capolavoro di verità umana, ad un tale poema di tenerezza s~nsoriale e sentimentale, infliggere il trito, banale, accademico titolo P.,iche e l'amore ? E perchè dar nome Giuseppe, anziché Gaetano, Bartolomeo o Pantaleone, all'intorme fantJ?CCiodi gesso che vedo qui disteso bocconi sotto il lucernario, accanto alla magnifica Testa di San Giooanni, tragicamente cadaverica, nel ricco bacile di Salomé? E perché, infine, sprecar tanto ingegno, tanta bravura, tanto coraggio, per plasmare in bronzo dorato, a ludibrio dell'ultima età, a spauracchio della giovinezza, a nausea di tulli, quest'orrida Vecchia oscenamente denudata, scheletrita e tendinosa, mummia vivente e 1·ipugnante, dalle spalle curve, dalle braccia secche, dalle clavicole prom;- nenti, dalle mammelle vuote, dalla lurida pelle tutta pieghe sulla ca1·cassa immonda? Ma qui forse ho torto io: io stesso, nel descrivere, ho fallo dell'arte; vuol dire che nel grottesoo ho sentilo il bello; il bello, dunque, c'era, ed era comunicativo, anche in quest'altro capolavoro, per quanto aberrante, dell'ospite nostro: ed egli aveva raggiunto il suo fine, il fine unico dell'arte. * Terzo : LEO)IARDOBISTOLFI. Non c'è qui di suo che un gran gesso, Il Sogno. E al primo vederlo, mi son rammentato d'un "iuslo ravvicinamento che dell'arte sua faceva nella «Nuova Antologia » l'amico Giovanni Cena, con l'arte irrequieta del Rodin: anche in lui, infatti, si alternano e si susseguono opere di singolare perfezione plastica, di sentimento e d'idea raggiungenti la loro forma assoluta e definitiva, ed abbozzi, anzi aborti, informi anzi deformi, dove il coucepimento geniale si arresta, si irrigidisce, si congela, si pietrifica a mezzo, od anche appena all'inizio del suo sviluppo; ii: lui pure, come in Augusto Rodin, il poeta e l'artefice vannG talvolta congiunti in una. collaborazione stupenda, e creano insieme capolavori della forza di quella titanica « Sfinge », che io non mi stancherò mai di celebrare come una delle più solenni sculture di tutti i tempi e di tutti i paesi; ma troppo spesso, invece, il poeta impaziente e presuntuoso si butta a fare da sé. a trattare la c1·eta ed il marmo ed il bronzo con l'arroganza ingenua del dilettante ignaro : ed allora ..... guai a lasciarlo fare: tutlo è perduto, per l'artefice, ... . compreso l'onore! Poiché, infine, é a lui, che tocca di « fare», nel vero, nel pl!!stico senso della parola; il poeta, da sé, non può e non deve che « dire h' anzi, se collabora ad opera di forma e di linee, « suggeri1·e ». Ebbene, il Sogno, agli occhi miei, almeno, che non pretendo che valgano p ù di quelli d'un altro, ma che neppure ammetto che valgano meno, é un brutto sogno; é poco meno che un incubo. M'incombe l'obbligo di coscienza, tuttavia, di notare, per una ragione che si vedrà subito appresso, come il buono e benemerito amico Fradeletto, parlando meco di questo gesso ch'io trovo BibliotecaG,no Bianco massiccio e pesante nella forma, ed oscuro e indefinito nel significato, mi assicurasse invece che tradotto in marmo e collocato nel suo ambiente naturale, nel mesto luogo cui era destinalo, figura magnificamente, e dice lutto ciò che deve dire. Può da:·si: aggiungo, infatti, ed è ,1uesto che turba la mia coscienza di critico, che io ne avevo già veduta p1·ima di q11esto gesso una felicissima fotografia, dove tutto ciò che qui é scialbi) e piatto e freddo e monotono, assume invece, per un gioco f!=)liced'ombro e di luce, di rilie•·i e di rientranze, un movimento e una Yarietà, una lPggerezza e una vita, che veramente mi farebbero giudicare in lutt'allro modo questo lavoro. Gran critico d'arte, davvero, grande inte1·prete e gran creatore, questo bromuro d'ar~ento ! Basla dare un' occhiata alle riprodu~ioni bellissime delle opere della Mostra, che il Naya espone ed offre nell'antisala d'ingresso: non c'è quadro né statua che non vi sia commentata mirabilmente, cioè trasformata in una nuova e di versa opera d'arte: la Preghiera della sera, di Luigi Nono, per esempio, già bella nell'originale, vi é resa enormemente più bella del vero; sicché, chi avesse visto prima la fotografia, ri"marrebbe poi senza fallo deluso, trovandosi più tardi in cospetto del quadro ! E passo al <Juarto dei grandi eresiarchi, a GAi,;TANO PREYIATI,che occupa con la sua mostra individuale di oltre cinquanta fra olì, pastelli e disegni, tutta una sala; e per dir subito, e senza ambagi, che la prima impressione, sintetica e generale, é disastrosa addirittura, su quasi tutti i visitatori; e non favorevole certo, ciuantunL[Ueabituale, nemmeno su me, che già da anni conosco la maggior parte di questi lavori. Non ci si riesce a persuadere, che proprio, per rìon rimanere accademici, per non seguitare ad accarezzare <<i gusti plateali della folla », per isfuggire, e per sempre, alla cerchia asfissiante della banal.tà, sia necessario, sia fatale, dipin"ere a bave e a filacce, disegnare a pu-• pazzi ed a sgorbi, farsi una lecnica eccezionale non per eccesso ma per difetto, non per evoluzione progressiva ma per involuzione decadente; non s'arriva a capfre, perché mai l'Italia non potrebbe « vantarsi di possedere un poeta di più», come dice del Nostro il Melani, senza dover deplorare d'avere oramai, con questa sua seconda maniera, un pittore di menu; anzi, peggio: un poeta di più, un pittore di meno, e un caricatui·ista in suo luogo, che non trova impiego migliore 11! suo tempo, se non di contraffare il poeta illustrandone i sogni a rovescio, e ingegnandosi a render grottesco nella forma ciò che era sublime nell'idea, ridicolo nell'espressione ciò che era squisito nell'ispirazil)ne. Non- sempre, tuttavia, ci riesce: come in una delle esposizioni precedenti avevamo cordialmente applaudita quella gentile fantasia che era « Lei danza delle ore », così oggi troviamo bellissima qui l'Assunzione, aereo gruppo di figurine davvero ideali, davvero incorporee, rapite tutte da un moto comune di elevazione dal torbido fondo terreno alla azzurre infinità dei cieli; e cosi, ma con minore entusiasmo, ammiriamo, men pura per-:hè resa repellente dall'amore patologico per il deforme che ha presieduto alla sua est1·insecazione, l'idea poetica inspiratrice della Maternità fra l'adorazione degli angeli; della Madonna dei Gigli, verso la quale gli steli stessi s'inchinano 1·everenti ed alt.ratti; dei due diversi Re Solr?, dove tutto un momento storic0 e psicologico sarebbP. mirabilmente rievocalo, e dei disegni, infi11e, specialmenlo di quelli per le novelle fantastiche di Edgardo Poe, molto suggestivi per quanto poco rappresentativi. E chiudo, pe1· questa volta, col MALIAVIN: al quale non avrei certo serbalo un posto a parte, se l'acquisto del suo t1uadro maggiore per la galleria veneziana d'arte moderna, e le discussioni che ne son nate, non !l'avessero messo in prima linea nell'aLle11zione e nell'interessamento del pubblico. Acquisto infelicissimo per molte diYerse ragioni, riassumibili in tre, capitali: una intrinseca al quadro, l'altra all'autore, e la terza estrinseca a entrambi, e di maggiore portata delle due prime. E comincìamo dal quadro: innegabilmente, esso rappresenta un lavoro notevole: c'è una grande vigoria di tecnica ed una irresistibile verità d'espressione, confer-
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