Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno VII - n. 15 - 15 agosto 1901

\ . RIVISPTOAPOLA DI POLI1~ICALETTERE E SCIENZESOCIALI . AnnoVII. .,- N. 15 Abbonamento poi-tale Roma,15 Agosto1901-• Francesco Cri spi. Dopo lunga e penosa agonia si è spento Francesco Crispi. La sua agonia fu lunga forse perchò la natura volle mettere in evidenza la suprema viltà di certe sfere _politiche italiane. Crispi, l'uomo amato, temuto, adulato, venerato di una volta, è morto in una specie di abbanclono1 che non pnò non rattristare anche coloro che in vita gli furono avversari irreconciliahili. cnno sulla sincerità dell'ammirazione e dell'entusiasmo sconfinato di una YOlta. i\Ia la turba dei famelici e dei servili non ha voluto provvedere al proprio decoro.,• Meglio così : la loro laida figura apparirà qual'è realmente senza orpelli e s,mza mistificazioni. Il momento cl i giudicare &erenam e n te Francesco Crispi non è venuto: sulla sua tomba ancora socchiusa ballano una ri~da vertiginosa le passioni ardenti ohe egli ebbe la s,7 entura di scatenare. l\folti avvenimenti ci sono ancora poco noti, e molti retroscena ci sono del tu t t o sconosciuti per poter portare un giudizio giusto su di lui. La verità piena eclinterasulla sua vita iutera e sulla sua azione politica potrà rendere piÌI severi i posteri; potrà anche indurli acl iudulgenza mag, giore. , Al suo capezzale SlUO all' ultimo istante vegliarono i suoi congiunti e, con affetto deguissimo di speciale ;,egnalazione, i I senatore Damiani, l'on. Luigi Di L1u1renzana, P,d II mbo Cardella e Gi11sep pe Paratore; degno cli speciale menzione il Paratoro cl10 lo amava sincera men te, <lisinter essa tam ente, quantunque riconoscesse i difetti dell'uomo e gli errori cle l politico. Dov'era la tnrbn.ùei giornalisti fa.melici e dei deputati senili, clte,q11ando Crispi era 0111dpossente miuistro, accorreva alla sua villa qnasi all in Yocare ijresponsi di 1111 Knme'I Eppure anebbc loro costato tanto poco il mo strarsi meno abbietamente ingrati! Abbiettissima (Dall't<ltimo ritratto) Su que&,to,intanto, si dovrà convenire : .Francesco Crispi non era un uomo comune. Ci potrà essere stato in lui la stoffa di.un gran de brigante come si tentò dimostrare in un libro _ch'ebbe il suo quarto d'ora di opportunità, o quella l' Agenzili Stef ani, che cla principio, temendo forse di scontentare i potenti del giorno, rifil1tossi cli pubblicare il bollettino della malattia. Sarebbe bastato ai servitori di una volta il solo atto cli presenza nelle sale del moribondo per pochi istanti; e il farlo li avrebbe salvati clall' ignominia. Ricordarsene adesso ch'egli era caduto e ohe stava per iscomparire per sempre dalla scena politica, sarebbe stat.o atto accorto e decente; avrebbe potuto illudere qualBiblioteca Gino Bianco di un maniaco; certamente, però, dovevano esservi delle qualità eccezionali, se tutto un popolo, dall'uno all'altro estremo d'Italia, lo temette, lo esaltò, e se una parte cli esso lo ritenne il più grande statista contemporaneo della penisola. Si badi: l'ammirazione per Crispi non fu l'effetto del clima o del campanilismo regionale. Lo dimostrai altra volta in Settentrionali e Meridioncili, a propoaito, cli male accorte e ingiuste generalizzazioni di democratici

282 RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI del Nord. I sentimenti benevoli verso di lui non vennero espressi soltanto da volgari, che ricercavano un suo sorriso compiacente per abiettezza d'anima o per miseria intellettuale. Lo ammirarono gli uomini più ominenti nelle lettere, nella scienza, nei commerci, nella politica. Ne nomino un solo: Giosuè Carducci. Se Crispi fosse stato un semplice ambizioso volgare, un politico esclusivamente disoo11sto, di fronte al fenomeno sopraccennato si sarebbe costretti ad una conclusione assai grave: l'Italia tutta sarebbe stata sua complice, sua ispiratrice; il pervertimento e l"aberrazioue sarebbero stati cronici in tutto il paese; le responsabilità del, l'uomo sarebbero diminuite enormomente, perchò l'uomo stesso sarebbe stato il prodotto genuino o schietto cli tutto l'ambiente. Ancora. Le colpe, gra.i o lievi, di Francesco Crispi, e,·ano già note da tempo - l'apostasia politica, la trigamia, la corruzione ecc. - e coloro che furono tra gli elementi democratici i suoi più inesorabili accusatori, serbarono con lui sino al 189-1 rapporti in timi, cordiali; lo chiamarono amico, e da amico lo trattarono. 'rra tutti basta ricordare Felice Cavallotti; il quale avrebbe voluto sino all' nltimo risparmiargli nella vecchiaia • sono sue testuali parole - il disonore e l'amarezza, che gli dovevano venire dalla lettera <igli onesti, pubblicata soltanto quando una stampa sozza ed impudente cominciò a trattare il poeta ed il politico della democrazia da volgare calunniatore. .. • • A spiegare la vita, gli errori, le benemerenze, i pregi, i difetti di Francesco Crispi bisognerebbe delinearne il temperamento e il carattere; e per far ciò occorrerebbe finissima attitudine all'osservazione psicologica e lunga intimità. Non posso lusingarmi di possedere la prima; non ebbi la seconda: lo relazioni dirette avute con lui furono brevi e in condizioni tali che potevano lasciare adito al sospetto che egli si sia rivelato diverso da quello ch'era realmente. Comunque, dirò, con sincerità, quale l'impressione ohe in me si formò da tali brevi relazioni. Dirò anzitutto dei modi este1'iori nel trattare con coloro che l'avvicinavano. Furono artisticamente descritti in una. intervista celebre da Saint Cère del Figaro, e per parte mia sembrommi che la conversazione tra il reporter francese, certamente non benevolo e non ben predisposto in suo favore, e Francesco Crispi possa 0011siderarsj come una specie di cinematografia morale perfettissima; e quanti lo conobbero più da vicino riconoscono che tale egli era quale lo descrive il Saint Cère. In questi modi esteriori si trova perciò la ragione della forte simpatia ch'egli ispirava. Quella espansività tutti scatti, e tutt,i fatta di scariche nervose, condita da una certa franchezza, per così dire esplosiva, finiva coll'esercitare una irresistibile attrazione. La simpatia cresceva in coloro che ne conoscevano la grande sobrietà e la grande laboriosità; pochi uomini, iofatt,i, ebbero così scarso numero di bisogni da soclùisfare, e pochissimi tra i politici ebbero delle abitudini cli lavoro così intenso e così continuato sino agli ultimi anni di vita sua. Non fu un vero oratore; ma fu sempre ascoltato con attenzione della Camera, perchè i suoi discorsi si rassomiglilwano perfettamente ai modi descritti dal Saint Cère. Parlava disadorno ed a scatti; 111ale sue parole erano incisive, e talora lasciavano il segno indelebile nell'animo di coloro contro i quali erano dirette, e daYano una impressione di lucidità rarissima, che conduceva e trascinava. Biblioteca Gino Bianco La conversazione intima confermava l'impressione che poteva riceversi dalle manifestazioni pubbliche - scritti e discorsi - sulle qualità intellettuali e sulla coltura. La rapidità della percezione e dell'azione consecutiva, altrettanto rapida, erano tra le migliori sue doti di uomo di stato, che talora gli nocquero e lo indussero ad atti ed a giudiz'ì per lo meno precipitosi. Intellettualmente era tra gli uomini superiori; ma la sua. coltura, come è stato tanto osservato, anche dagli apologisti erasi arrestata alla rivoluzione francese, alla storia politica delr!nghilterra, che egli sposso citava a sproposito, alla storia parlamentare ed alle rivoluzioni d'Italia. Eccelleva nella conoscenza del diritto pubblico siciliano. La mancanza assoluta di coltura moderna - delle scienze naturali e sopratutto della economia e delle scienze sociali, gli nocque oltremodo e ne faceva di lui un politico sbagliato ed un contraddittore infelice. Quali sono i tempi moderni e quali i problemi che vi si agitano, egli perciò non potè con1prendere mai chiaramente; e quando ne parlava o ne scriveva, senza la correzione aruorevole di qualcuno che gli §!Java ,~cino, ascoltandolo o leggendolo, si rimaneva o mortificati della sua ignoranza, o indignati per quella che sembrava malafede, rua che realmente quasi sempre era il prodotto della prima. Questa ignoranza apparve manifesta anche ai suoi ammiratori del tempo, ogni volta che s'intrattenne di socialismo, di anarchia, di movimento economico e sociale contemporaneo - e specialmente durante le discussioni sul moto dei Fasci in Sicilia e sulla legge antianarchica del 189-1. E chi non ricorda la fatuità colla quale annunziava la concessione da fa:re ai contadini di Sicilia - di quelle tene che egli diceva prornesse dagli irnarcbici, La impressionabilità sua e certe fissazioni, di cni si dirà, talora lo resero di una credulitù, infantile, che non faceva onore all'accortezza e alla penetrazione di un uomo cli Stato. Egli, ad esempio, prestò fede completa a quella grottesca denunzia, che rimase celebre sotto il nome di documento fir·matissimo, e che fo da me smaschemto in piena Camera per quello che era: per uno scellerato tentiiti vo di sod.disfare una passione erotica, servendosi di un volgare per qua.ntò iniquo tranello; e credet.to sinceramento in quel ridicolo trattato cli Bisacq,1ino, cbe si diceva anche sottoscritto da me, da. De Felice e da un granduca di Russia, e secondo il quale l'isola si sarebbe staccata dal Regno mercè l'aiuto francese, e colhi concessione di qualche porto al colosso moscovita. Jl tessuto di sciocche invenzioni denunziato corno un trattato formale dal povero delegato di Bisacquino venne creduto sul serio da un Sottoprefetto, che fece sorridere l'on. Giolitti, ma che allarmò, come la rivelazione di un reale pericolo per l'uuità d'Italia, l'on. Crispi. Egli prestò fede intera a questo trattato, di una piramidale inverosimiglianza, perchè appariva che ci fosse lo zampino della Fran.Clia._Un. leguo di guerra della Repubblica - l'Hironclelte, se non erro - non era stato visto frequentemente vicino alle coste di Sicilia e far\'j di notte dello misteriose proiezioni di luce elettrica 'I Ciò bastò alla sua eccitabile im1uaginazione per far dare corpo alle ombre. La Repubblica francestJ era divenuta il suo caiwhemar; egli era sinceramente convinto che la vicina nazione premeditava una aggressione contro l'Italia, perciò ritenne verissimo il progetto del governo francese d'impadronirsi con un colpo di ruano ùell'Arsenale della Spezia. D'onde l'invio improvviso della squadra inglese agli ordini dell'ammiraglio }fowet nel

RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SO CIALJ 283 porto di Genova, con grande allarmo e sorpresa dell'Europa. Il colpo cli mano della Spe1,ia faceva il paio col 'l'mttr1to di Bisacqitino ! Ma all'uno e all'altro prestò fede precisamente per la profonda cou vinzione che egli aveva della ostilità della Francia contro l'Italia. - Certamente egli non era del tutto in errore credendo in tale ostilità; ma l:i. ingigantiva - in ciò socondato diabolicamente da Bismal'k - e le dava proporzioni inverosimili, ohe gli facevano scorgere l'influenza dei ministri della Repubblica in ogni avvenimento non lieto pel nostro paese. Eppure, Francesco Crispi, con accento di profonda sincerità, affermava sempre ùi amare la Francia, e di ritenerne indispensabile l' c~i- [ Gli animali nocivi all'agricoltura. I ' .. ·-:. altre nazioni, cl.te della nostra erano assai piit ricche per risorse naturali e per evoluzione industriale avanzata. D'onde la sua megalomania vera; altrimenti non potrebbe qualificarsi la sua passione per la grandezza d'Italia, che doveva riuscire disastrosa pel paese, perchè conduce ad una politica, nella quale - in parte anche per la grettezza dei suoi collaboratori - era esiziale la immensa sproporzione tra i mezzi e il fine, che doveva produrre saorifizi grandi e sfor,;i economici superiori alle forze reali, non seguiti da risultati adeguati e producent1 in ultimo un senso penoso di sconforto contrario alle intenzioni di chi voleva produrre una tonizzazione della energia nazionale. f rancia ed Inghilterra. ... -·. .. ~[.t1~~ .· ---~·~ _;.,· -;;:·-::: ..... -~ - ~-. Il Paese nostro stia bene in guardia contro l'invasione degli uccellacci cacciali dalla Francia. Il vecchio fucile tSoppressione delle Co11g1·egazioni,·eligiose) può servire ancora. (Asino di Roma) stenza come grande nazione nell'interesse dell'Europa e della civiltà! Dove la sua sincerità ora completa era nell'amore intensissimo per una Italia gra.nùo e gloriosa; di che si ebbero anche commoventi testimonianze negli ultimi istanti di vita sua, nei pochi intervalli di lucidità, che gli lasciavano i deliqui o le ovaueseeoze della lunga e tormeo tosa agonia: l'Italia si affacciava alla sua mou te, e all'Italia era consacrata ogni parola che gli veni vi~ strozzata nella gola dal rantolo della, morte. Ma la sua ignoranza, della economia e dello scienze sociali rese vano in gran parte questo suo grande amo1·e alla patria, di cui non seppe e non potè mai valutare al giusto le condizioni reali, e metterlo in esatto rapporto con quelle degli altri paesi. Egli credeva in una Italia prodigiosamente ricca, e la cui ricchezza poteva aumentarsi smisuratamente con una politica ardita e inframmettente. Credeva ùov_er0so ell utile pel nostro paese, ciò che non era sicuro che lo fosse per Biblioteca Gino Bianco Il Gallo (la l!'t·ancia) : Io sono spennato, è vero, ma anche tu (il leone inglese) non stai meglio di me. tAllmle :alla debolezza· semp.-e maggiore dell'It,ghilte,·,·a,. (L'.Assiette ~aubettrre di Parigi) E su di un altro punto era innegabile;o:potente la sua sincerità: nel sentimento rigidamente unitario, a cui tutto avrebbe sacrificato, anche la libertà, nei tempi migliori della sua vita, quando:appariva nell'agone po• litico campione valoroso della 8tessa Dea. Questo ardente amore per l'unità, mentre lo indusse a non mostrare alcuna predilezione per la sua natla ~icilia; men• tre lo spinse a.Ila repressione violenta e continuat,i del moto dei Fnsci, che egli stoltamente giuclic;wa antiunita.rio, lo mantenne sempre legato al concetto mazziniano. E ciò coutribul di sicuro a mantenerlo sempre insolitamente rispettoso verso il grande di Staglieno, anche quando questi lo fulminava nei suoi scritti, e non lo onorava che del suo disprezzo. • .. ;j; C'è una leggenda sulla forza della volontà, e sulla energia cliFrancesco Cri spi. La si ammise giudicando da certe apparenze; ma ad intenderla rettamente bisogna tener conto della grnnde influenza che es,~rcitava.no sull'animo

284 RIVISTA POPOLARE DI POl.ÌTICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI suo coloro che lo circondavano, e che riuscirono non poche volte a fargli mutare improvvisaruente i propositi, che sembravano più saldi e più irrevocabili. Queste influenze dell'entourage riuscirono perniciose :al paese ed al suo buon nome; man on attenuano la sua respons:.bilità politicn, e morale, poichè su di lui doveva rivers:.rsi la colpa o il merito di essersi circondato di persone, malvagie o buone, che avevano presa sull'animo suo. Quanto scarsa appalesavasi talora la forza della sua volontà egli stesso contribuiva a mettere in evidenza colle dicl1iarazioni spavalde, che facevano credere irremovibile una determinazione, che a breve scadenza Yeniva smentita e contraddetta dai fatti. Ciò si vide, per esempio, in occasione della legge di riforma sulle Opere PLe quando pron'ìinciò minacciose parole di guerra ad oltranza contro il Senato, che ,,oJle sformare le idee sue primitive, che erano giuste ed in formate a sano criterio moderno e liberale. Le apparenze e qualche episodio dettero ~nche alla sua condotta parlamentare un'aria di fierezza e di rigidità, che venne più volte smentita. Certamente, con fierezza e con intenzione determinata, egli provocò la crisi del 31 gennaio 1891, quando stancossi dJJJe crescenti esigenze della Destra e ne]]a posa gladiatoria con la quale affrontò la tempesta, molto artificiosa e teatrale, suscitata dal risveglio delle sante memorie, inspirò simpatie anche in alcuni che dell,!t sua caduta gioirono come di un faustissimo avvenimento. Ciò era in armonia colla fierezza dimostrata nell'esilio anche quando inoltrò domanda al sindaco di Verolego per esservi nominato segretario comnnale, e nei quarant'anni trascorsi dopo il 1860 da deputato e da ministro affrontando impavido avversari numerosi e valorosi, e imponendosi a loro colla esplosioue energica della sua volontà, che traducevasi in parole violenti, in armonia con sentimenti e con passioni altrettanto violento. Iu tali occasioni rivelavasi in lui il Giacobiuo genuino, quale sostanzialmente egli era per tempernmento, per le idee e pei metodi, che adottava quan1lo voleva tradurle in atto. La cedevolezza ed una certa so1iplesse parlamentare in antitesi colla nota del carattere che egli si attribuiva volentieri e molti gli accordavano, mostrò spesso al governo; e ne diè prova sopratutto nel dibattito parlamentare del 1894 sulle proposte finanziarie del Sonnino, quando sconcertò gli avversari prevenendoli con una mossa abile proponente la famosa Co;n1uissione, che doveva proporre le economie. Egli allora salvò Sonnino, e non esitò a confessare a me stesso, che 1,011 credeva affatto alle economie ed alle utilità dell'opera della Commissione, la cui nomina propose per divergere le ire accumulatesi sulla testa del ministro del tesoro. E Sonnino gliene serbò gratitudine, e ne lo ricambiò quando sorse gigantesca la qnistione momle. L'orgoglio era la nota dominante del suo carattere; e non lo nascolie mai. A Petrucelli della Gattina che domandavagli se fosse garibaldino o mazziniano egli rispose : I o sono :Crispi ! Prima di venire al giudizio complessivo ,mll'opera sua politica mi permetto brevi accenni, quali più ampiamente svolsi in due libri - Banche e Parlmnento e Gli .Avvenimenti cli Sicilia e loro emise - ài rnpporti brevi ch'ebbi con lui, e che servono a farlo conoscere. Credo di essere il pubblicista. che per più lungo tempo lo combattè senza tregua e senza posa. Nel Dovere di Q:e11ova,nel Secolo di Milano, nella Biblioteca Gino Bianco Lega e nel Fascio clella Deniocriizia, nella Capitale di Roma, in molte rivisto italiane e straniere - La Nouvelle Remie, Lii Reviie sociiiliste, La Bevne politiqtie et pcirlamentaire di Parigi, Die Zeit di Vienna ecc. lo combattei fieramente dal lato politico e morale (1). Questa mfa costante ostilità che durava da circa ,,enti anni non gl'impedì cli appoggiare calorosament,3 la mia candidatura nel collegio di Caltanissetta e in quello di Sciacca nelle elezioni generali del 1886. Più tardi, anche quando la quistione mornle e la mia fntterna amicizia per Cavallotti tra me e lui avevano scavato un abisso, egli non esitò ad imporre silenzio ad alcuni maldicenti che di me sparlavano in sua presenza. E sì che avevo pubblicato contro cli lui un fierissimo·pa1nphlet: Consnle Orispi! Gli era nota la mia antica avversione; cla ministro, perciò, nel 1890 mi fece combattere aspramente, come non meno aspramente mi fece combattere nel 1895 dopo che mi aveva dato prove cli grande stima, e che si erano mutate in grande ira e in propositi di vendetta per la mia lettera del 23 Dicembre 1894 agli elettori di Castrogiovanni sul Decreto cli proroga del Parlamento. Nei primi due anni di vita parlamentare non ebbi occasione di rivolgergli la parola; nè di attaccarlo. ì\fa quando denunziai le turpituclini della Banca Romana il 20 Dicembre 1892, egli sorse violentissilllo contro di me e in difesa cli Bernardo Tanlongo. Non volli rimpicciolire la grave quistioue in una diatriba personale, ed ,t me che molte cose ignote agli altri conoscevo sui segreti della Banca Romana e eui snoi rapporti con molti uomini politici, bastò il dirgli: Potrei risponden-i inalmnente, ma mc ne cistengoper un rignardo alla vostra età! per imporgli silenzio, producendo una vi va impressione sulla Camera. A poco a poco Crispi si avvicino a me, e finì coll'appoggiarmi contro Giolitti. Ciò servl, nel momento in cui molti mi avevano abbandonato, anche nella Estrema, a mutare i nostri rapporti personali, ch'erano quasi di venuti cordiali sul finire clel 1893, quando la lettura della Relazione clel Comitato dei Sette tra,,olse nella memorabile seduta clel 23 Novembre il ministero Giolitti. Ricevuto l'incarico di formare il nuovo ministero, mi fece conoscere che voleva fare di me un ministro della Monarchia, offerta che 1·espinsi sorridendo: come sa l'amico e collega Guerci. Ma volle con mo un colloquio sulla situazione, e non crerlettj doverlo negare - come non lo negò Cavallotti. - Ebbe luogo nella sua abitazione di via Gregoriana, alla presenza dell'on. Damiani, e rimasi profondamente addolorato della credenza cieca ch'egli aveva in una imminente aggressione da parte della Francia, e della necessità inesorabile per l'Italia di spingere innanzi i propri armamenti. Ciò che mi convinse della sua sincerità nella inguaribile mauìa di persecnzione collettiva e nella megalomanìa. Mi dette in quella occasione alcune spiegazioni sulle cambiali a sua firma presso il Direttore della Banca Nazioni..le, e che egli asserì essere state fatte per sostenere il suo giornale La Rifonna. (1) I miei giudizi furono tanto severi cbe una volta La Revue politique et parlamentaire di cui ero il corrispondente parlamentare ordinario dell'Italia, non volle pubblicarli, ed io rinunziai alla collaborazione dell'autorevole rivista francese. Piu tardi il Direttore Fournier mi dette piena ragione. La mia attiturlin~ verso di lui mi fece anche perdere la Iucrosa corrispondenza dell'Italia al Plata Ji Buenos Ayrea ·

RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI 285 Composto il ministero e chiusa la Camera per le vacanze natalizie, mi chiamò in Roma con tre telegrammi i11calzautissimi a firma del suo segretario Cav. Vaccaro e mi credetti in dovere di andare alla capitale. La sera del 30 Decembre, appena arrivato, fui per la seconda ed ultima Yolta in casa sua, e mi pRrve d'incontrarmi con un uomo di \'erso di quello col quale mi ero intrattenuto pochi giorni innanzi. Gli :wvenimenti dolorosi di Sicilia lo ave\~auo allarRiflessionidi Kriiger. - Ora che la guerra si fa soprattutto contro le nostre donne, mi meraviglio piuttosto come re Edoardo, il cavalien, non ne assuma il comando in capo. (Simplir.issimus di Monaco) mato e addolorato straordinariamente. Della Sicilia mi parlò per oltre due ore, mostrando una conoscenza esatta e profonda delle cause che avevano generato i moti clei Fasci e i relativi tumulti sanguinosamente repressi, ecl esponendomi una serie di provvedimenti economici, amministrativi e politici che intendeva prendere per eliminarle. Ascoltai silenziosamente e ammirai la lucidità delle idee e la rettitudine degli intendimenti, e quando ebbe terminato gli chiesi : perchè avete chiamato me voi che siete il ministro che potete realiz::are, purchè l~ vogli,ite, le buone proposte comuniccitemi f E lui di rimando: Le mie idee per essere fra.dotte in leggi hanno bisogno cli un certo tempo ; intanto in Sicilia clivmnpa l'incendio, e t11 che eserciti ù~jluenza s11Ue masse devi percorrerla per ricond11rregli animi alla calma, Biblioteca Gino Bianco facendo conoscere quali sono le mie intenzioni. Per'quanto il compito assegnatomi avesse potuto prestarsi alle calunnie e alle insinuazioni - e vennero copiose dai socialisti settentrionali prima, e da certa canaglia crispina dopo - non esitai un istante a promettere ohe an·ei praticato quanto egli da me desiderava. E l'indomani, 31 Dicembre. ripartii per la Sicilia col propo• nimento di percorrerla e predicarvi il verbo del ministro siciliano, che prometteva giustizia e riparazione alla sua isola natìa. Il 3 Gennaio avvenne la proclamai-.ionedello Stato di assedio, l'arresto di De Felice, e tutto il resto. Un mio asprissimo telegramma annunziogli che nulla pitL volevo avere di comune con chi gittavasi stoltamente nelle braccia della reazione, e ritornai verso di lui a quell'antichissima ostilità, ch'era stata interrotta da poco pitL di quindici giorni di reciproca fiducia e di cordiali rapporti. Come e perchè Crispi mutò tanto rapidamente di proposito in tre giorni? Certo sull'animo suo fecero ;f. ·, di:> J: "<I-\_ . ·•~, ....... \~ --~--~------'--~ Bernslein attrae, come osserva con rammarico il compagno Singer, ogni specie di piccoli corpi, così nella fisica {1) come nella politica. (Lustige Bliitter di Berlino) impressione le notizie sul ripetersi dei tumulti in Sicilia, ma certamente contribuiroU\'Ì di pit1le sinistre influenze di coloro che gli erano intimi. Si assicura che alla reazione lo volse maggiormente il telegramma di un suo amico che consiglia vagli di rifare contro i secessionisti(?) dei l 1'asci, e in pro dell'unità cl'Italici, la spedizione dei Mille! ., ... La parte da me presa contro Crispi, vivente e potente, mi permette di sorpassare sulla q11istione morale e sulla vita privata di Crispi, caduto e disceso nella tomba. Dirò di lui, colla maggiore imparzialità che si può attendere da un contemporaneo, che è stato ed è uomo <li parte, ma che ha almeno l'intenzione sincera di dire di lui colla massima serena obbiettività. Con troppa leggerezza e con troppa insistenza si scrisse cli Crispi borbonico e di Crispi cattolico. Df'llle idee della primissima giovinezza non si può essere responsabili : esse rispecchiano più che la mente dell'individuo, l'ambiente in cui è nato e cresciuto. Certo è che i Borboni non gli perdonarono, e rimase profugo dal 1849 al 1860. Certo è che egli, pur proclamandosi credente nel Dio di Mazzini, negli ultimi istanti di vita sua tenne lontano da sè il prete cattolico. Coe• (I) Be,·11stein in tedesco vuol dire anche .Ambra. N. d. R.

286 RIVISTÀ FOPòLARÉ DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI ronza e fermezza che raramente si riscontra negli atei che muoiono da bigotti. La passione, il giusto risentimento, l'amore della libertà e dell'Italia accecarono Cavallotti - e glielo dissi e glielo scrissi più volte - trascinandolo a negare a Crispi ogni merito nella spedizione dei Mille. In questo capitalissimo avvenimento, che decise dell!1, sorte d'Italia, invece la parte sua fu eminentissima. Senza di lui, da Quarto non sarebbe partita la falange sacra capitA,nata da Garibaldi. Senza cli Crispi, che assicurava · la Sicilia trovarsi in istato di aperta ribellione, sarebbe prevalsa la opinione di Bixio, che sconsigliava la partenza, e prevedeva - non conoscendo la Sicilia e l'in• dole e i sentimenti dei suoi abitanti - un nuovo Sapri ed una nuova inutile ecatombe di valorosi. Crispi seppe infondere in Garibaldi una opinione contraria; e i l\Iille sbarcarono a :Marsala, e vinsero, aiutati poderosamente dalla inettitudine e dal tradimento dei borbonici e dal coraggio dei siciliani, e specialmente di Palermo che seppe combattere strenuamente. (1) Le sue lotte cogli annessionisti incondizionati di La l<'arina ; le energiche misure contro le Jacquerie di Bronte - misure eseguite ferocemente da Bixio - di cui vantossi nel telegramma a ,me diretto del 4 gennaio 1894, mostrarono l'energia e la tempra dell'uomo, che rivelava-si già fortemente autoritario. Quando i partigiani di Cavour ebbero il sopravvento, ad ogni modo, 11l,ui con Mazzini, con Cattaneo, con Bert.aui rimase il merito di:essere stato tra i pochi che sconsigliarono l'annessione della Sicilia e del Napoletano al Regno di Piemonte. Ciò potè contribuire a renderlo inviso ai bigotti della monarchia sabaudn, ed a mantenérgli l'affetto e l'amicizia della parte democratica. Ma colla più grossa frazione della democrazia non tardò a, venire in aperta rottura in seguito alla sua famosa lettera del 1865, indirizzata a Gii1seppe Mazzini, nella quale enunziò il suo celebre apotegma : la Repubblica ci di·viclerebbe,la Monar-· chia ci unisce. Non posso essere sospetto di dar ragione 11,lui io che nel 1882, in aJ)posito scritto (La Repubbliw e le ffttcrre civili) dimostriLi la falsità storica dell'a potegma stesso. Non si deve negare, però, che tra quanti abù,.nclonarono Mazzini e i principii repubblicani dopo il 1860, nessuno seppe tentare una giustificazione più ap• parenternenfo ragioneYole, ed un movente più nobile e più elevato di quello accampato da Francesco Crispi. Perciò la sua defezione dalle file repubblica.ne addolorò maggiormente Giuseppe ì\lazzini, che tante altre n'e avevn, ,iste e che lo avevano lasciato i udifferente. Crispi altresì rose decente la defozione, rimanendo tra i più avnnzati in Parlamento, e nulla facendo per acchiappare il potere, come ·premio dell'apostasia. Dalla lettera a J\fazzini alla entrata nel ministero Depretis corsero tredici anni. Tutti conosciamo oggi invece dei politici che scambinno il berretto frigio coll'uniforme del ministro alla distanza di quarantotto ore! E dopo la lettera a Mazzini venne il Programma della Riforma che tanti punti di contatto ha col Patto cli Boma; programma della Riforma cui dettero opera Bertani, Carcassi, De Boni e i migliori democratici del tempo. Rimase misteriosa, e certamente non lodevole, la parte da lui rappresentata nella denuncia dei Tri1Jotages (I) La parte capitalissima avuta da Crispi nella spedizione dei Mille, venne riconfermata testè da una memoria del Generale Turr, che non ha alcun interesse a mentire, e che non Bi bÌi~te~~c Gal nmctsia neo delle Regìa cointeressata, che condussero al tentati ,o di assassinio contro Lobbia, al vergognoso processo per simulazione cli reato contro lo stesso Lobbia, e alla si;,1, conclannn,. A Crispi fece molto male - molto <li più che non gliene abbia arrecato il patrociuio della Compagnia Charles, Vitale e Picard - l'abbandono <lel Lobbia, e il contegno tenuto dinanzi al tribunale di ?\filano nel processo del Gazzettino Rosei, le cui rivelazioni, che condussero alla nomina della Commissione d'inchiesta parlamentare sulla Regìa cointeressata dei tabacchi, erano state da lui provocnte e incoraggiate. Il colloquio avuto col bn.nchiere Weill Scbott, si dice che lo abbia indotto al silenzio in nome del suo segreto professionale. Ma Crispi, che crasi dimostrato sempre un valoroso clife11sore parlamentare della causa della libertà, si rialza tosto nelia opinione dei democratici col contegno enet·· gico e minaccioso tenuto nel momento in cui scoppiò la guerra tra la Francia e la Germania. Egli- fu tra i più attivi nell'impedire che Vittoi:io Emanuele II corresse in aiuto del suo alleato Napoleone III; fu tra i più risoluti della Sinistrci nello spingere il ministero Lanza alla breccia di Porta Pia. * .. * Passo sopra alle vicende p~rlamentari, nelle quali Crispi ebbe sempre una parte importante; passo sopra alla missione diplomatica presso le varie Corti d'Europa che la Sinistra al potere gli affidò, e che prova in qual11 conto lo teneva; passo sopra al suo primo arrivo a Palazzo Braschi, ed alla sua uscita dal ministero, in seguito allo scandalo sollevato da R. De Zerbi e da altl'i moderati sulla sua bigamia, e noto, soltanto, che sotto di lui all'Interno, avvenne la morte del primo Re d'Italia e ht morte di Pio IX. I democratici gli rimproYerarono di aver teunto chiuso il Parlamento mentre sie- . deva il Conclave che nominò Leone XIII; ma egli colla libertà garentita ai cardinali, è indubitabile che assestò un vigoroso colpo al clericalismo internazionale che si faceva forte, negando la indipendenza del Papato essendo Roma capitale d'Ita~ i,1.. Dopo la sna, prima caduta da mini.stl'O non furono belli i suoi accenni a reazione per vendicarsi di Cairoli e di Zan:ndelli in segt1ito 11,ll'atteutato di 'Passanaute. Colla Pentarchia provò l'ardente desiderio cli ritornare ministro, e 'l'unisi gli porse l'occ~sione propizia di farsi ginclicnre un gallofobo. Comunque, nel Parlamento pur non avendo al sno seguito nè un partito organico, nè un largo gruppo di amici personali, essendo anzi un vero solitario, qmtudo a\7 \ 7 enne Dogali, non· il solo Depretis ma il Parlamento tutto, lo designò come l'uomo che potevn, reggere le sorti d'Italia in un momento clei pilt gravi. E cosa più strana ancora; quando egli era più avariato moralmente per lerisnltanze delle ricerche consacrate nella relazione del Co1nifoto clei sette la stessa designazione si ebbe, con un largo consenso anche di democratici - se ne possono avere le prove nel discorso di Cavallotti e nel mio, che ricordo perchè fu il prodotto degli accordi collo stesso Cavallotti e con gran parte dell'Estre1na Sinistra - all'indomani della caduta del ministro Giolitti. Ciò dimostra che l'uomo non era comune, e che la sua posizione parlamentare, al di fuori dei partiti, quasi al cli sopra dei medesimi, mantenevasi eminentissima. * .... Ma quale fu l'opera sua di Presidente del Consiglio dei Ministri? Pur t~·oppo nel suo insieme riuscì disastrosa pel paese spedalmente dal punto cli vista econo• mico.

RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI 287 Per quello che concerne la politica interna si sa che egli nou UJostrossi feùele i.-lla Libertà che egli aveva difeso tante volte da deputato; e non si mostrò fedele alla Libertà non solo nella circostanza eccezionale del moto dei Ji'asoi, ma anche in tempi normali, quando non potevasi accampare il pretesto dell'interesse supremo della patria e dell'unità. Economicamente fu più disastroso il suo primo ministero anzichè il secondo, che terminò tra le male<lizioni degli italiani, affogato nel sangue di Adua. Il primo ministero, che va dalla morte cli Depretis nel 1887 al 31 gennaio 1891, riusci economicamente disastroso per lo sviluppo enorme che fece prendere alle spese militari. Per la marina e l'esercito le spese ordinarie e straordiuarie nell'esercizio 1883-87 - e l'anno segnava un aumento sui quattro precedenti - erano ammontate a L. 35:J,144, •72; nell'esercizio 1888-89, quello che rappresenta la pienezza del ministero Crispi - arrivarono a L. 553,7i6,986, e discesero soltanto a L. 422,058,200 nell'esercizio successivo, Con ciò si spiega il deficit del Tesoro, cl.te affacciatosi di nuovo nella storia delle finanze italiane, con oltre 57 milioni nell'anno fiscale 1887 88, arrivava alla cifra minacciosa di L. 230,461,086 in quello l 838-89 ! Questo aumento d_i spese militari, che doveva avere come conseguenza necessaria l'aumento di debiti e la ricomparsa paurosa del deficit, intaccavano la finanza ùello Stato; ma la sua politica generale ebbe altra peggiore influenza sulla economia nazionale. Il suo primo ministero - 1887-1891 - pare che abbia avuto un compito solo : quello di provocare Ja guerra colla Francia ; e se alla guena non si venne, certamente ciò si deve alla prudenza degli uomini che avevano in mano la cosa pubblica in Francia, e di Bismark, che spesso agl come una doccia fredda sul bollente ministro italiano. Con ciò non si giustifica il contegno specialmente di una parte della stampa di oltralpi ed anche qualche atto imprudente degli uomini della repubblica, che pareva avessero assunto la missione di bandilletos, che dovevano eccitare il toro colle 1mnture e collo sventolamento delle pezzuole rosse. l\fa tra due nazioni le cui relazioni sono già tese, la prudenza non sarà mai soverchia da entrambi le parti per evitar.e il conflitto armato; e di più deve mostrarne chi è maggiormente convinto che una guerra sarebbe riuscita disastrosa al pl'oprio paese, e che non si può intraprenùerla da soli. Era il caso dell'Italia; la cui politica, perciò, assunse un carattere di provocazione ed impotenza allo stesso tempo, assai penoso. L'impotenza sostanzialmente derivava dal fatto che l'Italia dove,·a contare sul beueplacito dei suoi alleati per venire al casus belli. A lei rimaneva perciò l'odiosità della provocazione; agli alleati, e specialmente a Bismark, la determinazione degli atti, che avrebbero dovuto essere il complemento necessario della prima. Bismark, ad esempio, quando volle provocare la Francia alla guerra col famoso e scellerato incidente di Ems, non dipendeva da nessun altro per arri varo agli estremi. Era noto, anche a Crispi, che l'Italia trovavasi in condizioni affatto diverse; egli era tanto convinto lldla inferiorità uostra che quando si convinse che la FrarJCia voleva impadronirsi hrigantescarnente dell'arsenale della Spezia, non contò nelle proprie forze per respingere l'aggressione, ma invocò l'aiuto immediato dell'Inghilterra. Tunisi, che era per Crispi ed è ancora pel paese, il più doloroso ricordo coutro la Prancia, doveva 11tostrare al primo l'inanità della sua politica. Egli infatti tentò ripetutamente di risollevare la quistione; ma nè BibliotecaGino Bianco la Germania, nè l'Austria vollero saperne di rendersi solidali con noi; nè trovarono migliore accoglienza le proposte che egli fece all'Inghilterra, che si sentiva abbastanza sicura nel l\foditerranep - il famoso e per ironia chiamato nutre nostrum ! - per avere paura di Cartagine, che risorg~va a Biserta, e che sapeva trovare compensi ai brigantaggi altrui, in ogni terra che si poteva impunemente rubare. Questo si ricorda non solo per dimostrare la base falsa dell'azione diplomatica del ministero Crispi, ma sopratutto per veuire alle accennate conseguenze sinistre sulla economia nazionale. La quale non si risentì soltanto per la ripercussione grave delle spese, dei debiti e del defirit dello Stato ; ma anche e più perchè i numerosi incidenti diplomatici, che si sollevarono tra la vicina Repubblica e l'Italia, non potevano permettere e non permisero che si stabilissero le buone relazioni commerciali colla Francia, che ci erano assolutamente indispensabili nel momento in cui a compensare in parte i danni incalcolabili della denunzia del trattato del 1881, mancavano ancora i trattati colla Germania e coll'Austria-Ungheria, che furono l'opera del ministero di Ruclinì. La politica estera del primo ministero Crispi, specialmente la famosa gita a Friedricksruhe, quindi, riuscì disastrosa alla nazione, e fu la causa principale della gravissima crisi economica attraversata da molte regioni del Mezzogiorno - specialmente dalla Sicilia, dalle Puglie, e dalla Sardegna Non occorre lungo discorso sul secondo ministero sorto dalla catastrofe della Banca Romana. Fu accolto da ogni parte della Camera ecl anche nel paese con benevola diffidenza, come si direbbe ora. Si sperava sopratutto nell'autorità di Crispi siciliano per ristabilire l'ordine senza menomare le pubbliche libertà in Sicilia. Invece egli, dopo quindici giorni, abbandona.- vasi pazzamente nelle braccia della più sfrenata reazione, che divenne sistematica dopo l'assassinio di Carnot e l'attentato Lega, colla legge così detta an~ia- . narchica, applicata coi criteri pili decisamente liberticidi, e più tardi colla famosa epurazione · delle li~te elettorali. Gli episodi della quistione morale sopraggiunti dopo, forse esercitarono -una perniciosa influenza sulla guerra d'Africa, ch'ebbe il triste epilogo di Abba Carima. Ma su quella guerra l'ultima parola non è stata detta; forse non si potrà dirla mai: si crede da taluno che in casa Crispi esistano documenti preziosi, che potrebbero gett.nremolta luce sulla medesima. Masi teme che possano esservi dei vampiri che riusciranno a trafugarli nello interesse di altissimi personaggi, che potrebbero esserne compromessi. Abba Carima seppellì politicamente l<,rancesco Crispi, la cui decadenza fisica e intellettuale da quel giorno in poi fu rapida e visibilissima. Se n'ebbero i primi · segni nel primo discorso dopo Amba Alagi. Questi cenni rapidi si devono chiudere con una osservazione che in parte discolpa ed in parte aggrava la responsabilità di lui. A torto si ritiene, tra le classi popolari specialmente, cl1e Crispi sia stato l'autore della Tr-iplice alleanza, della politica coloniale e della politica· doganale iniziatasi colle tariffe generali del 1887. Questi tre grandi avvenimenti, che pesano come nna cappa di piombo snll'Italia, e le cui conseguenze peseranno ar.cora su di essa per lnuga &erie di anni - specialmente i due primi\ - non si devono a lui; egli anzi più volte <la deputato li biasimò severamente. Ma egli ebbe il torto gravissimo, da ministro, cli accentuare il carattere della

RitTlSTÀ.. POPOLARÈ DI POLlTÌGÀ.. LET1'ERE E SCIENZE SOCtAtì . • .l f Triplice, della politica coloniale e della politica doganale, riVolÌitèfÌdola a maggior ndcument◊ dell'Italia. Questa l3 ~etità che nè le esagerazioni dégli> avversari 'suoi, hè le difese" degli amici valgono ad alterare. . • ,~ t,: Ho 1a cohvinzione che le mie parole riusciranno sgradité ·e agli avversari di Crispi e agli amici suoi ; ma scrivendole credo di adempiere al mio dovere, senza preocupazione alcuna del modo come saranno accolte. Df un uomo di cui si è detto e si può continuare a dire tanti mii.là' senza offendere la verità, orn eh 'è scomparso in modo miserevole, malamente attenuato dalle onoranze postumé, sembrami doveroso chiudere ricordando al - cuni atti. legislativi; che fanno prova di ciò che avrebbe potuto 'essere se alcune circostanze fatali non avessero altri'ménti disposto'. A Crispi si deve la riforma della Legge Comuuale e provinciale; la legge Sanitaria, ch'è una delle più sapienti che ci siano in Europa, e nella quale pose mano Agostino Bertani; l'abolizione ·della schiavitìì scellerata cui erano soggette le disgraziate cadute' n'ella rete della prostituzione ; la riforma della legge -sulle Opere pie; la ricostituzione c1ella Quarta Sezionè d!3lConsiglio di Stato; lo sviluppo delle scuole italian'e all'estero; la riforma carceraria per la quale aveva già accantonati alcuni milioni. Sinanco nella legge di Pubblica Sicurezza egli aveva innestato alcu11i principi radicalisRimi sul diritto all'esistenza, che tutti dobbiamo augurarci che nello avvenire possano avere ultériore svolgimento e più sincera e reale applic,1zione. 'Con Crispi è scomparso l'ultimo ca.mpione del periodo rivolùzion:irio; e del rivoluzionario ebbe tutte lo audacie, tutta la passione ardente, tutti i· difetti, tutta la impulsività. Egli era un uomo fatto di carne, di ossa, di _n'érvi ed appare un gigante paragonato ai pigmei sen~t fede, senza convinzione, senza energia, che sembrand t>_ssericomposti da carni flaccide, che rivestono una impalcatufa di' cartilagini poco consistente e poco resiiitente. A 'Crispi che ha molto peccato, aspettanflo che la storia lo giudichi colla dovuta imparzialità, deve molto essere perdonato perchè molto amò. Egli amò soprattitto la patria; e ii grido: Italia! Italia! che tra i rantoli dell'agonia ripetutamente uscì dalla sua bocca, possa in qu·esto momento supremo servir.e di memento agli italiani ! Dr. NAPOLEONE CoLAJANNI. Deputato al Parlamen·o. Per mancanza di spazio - alla quale non è possibile più rimediare nemmeno con la composizione più fitta - siam.o cost,•etti in questo numero a sopprimere la rubrica : Avvenimeneti Uomini, ed a rùwiare le nostre nsserva:;ioni sull'opuscolo Labriola, sulle polemiche Turati, Ghisleri, nonchè snlla successione Carcano. Gli abbonati che 'invieramw subito all' Amministrazi;~~ dell~ Rivista Popolare l'importo dell'abbonamento scaduto e lire una e cinquanta riceveranno, franco di porto, il volume Per l'econ!)~ia.nazionale è pel daziosul grano, pubblicato iZ-ft.iese"scor~ò dall'on. dott. -Nanoleone Cola- ' • -.ij anni. BibliotecaGinoBianco Pèrun'osservazione sulproteiionismo Onorevole Deputato ed egregio Amico, Con somma cortesia Ella si dichiarò pronto a pubblicare una risposta a quanto scrisse su di me· il prof. Achille Loria, nel numero del 15 Luglio 1901, nell'articolo : Ancora del dr;.zioSTf,lgrano. Eccole, coi miei più cordiali ringraziamenti, la risposta. Dopo avere accennate alcune verità, che egli chiama triviali e a tutti note, in materia doganale, il Loria combatte alcune asserzioni, che, secondo lui, mostrano essere quelle veri là tu ttogiorno disconosciute o ignorate. E aggiunge (pag. 249): « Una di « queste as~e'rzioni è dovuta a C. F. Ferraris, il qua- « le pensa che il giudizio intorno alla convenienza o (( giustizia del dazio Slll grano ESCLUSIVAMENTE di- « penda dall'impiego che i proprietarii faranno dei (< proventi che ne ritraggono. Se, egli dice, i pro- (( prietari dedicheranno tali proventi al miglioramen- (< lo dell'agricoltura, od al vantaggio delle classi la- (< voratrici, noi non avremo motivo di combattere il (< dazio, degnissimo, all'opposto, in tal caso di aver (< posto durevole nel nostro sistema finanzia,.io : ma «·se invece i proprietari spendessero il maggior pro- (< vento ritratto dal dazio in improvvidi e pazzi scia- << lacqui, allora il dazio meriterebbe irremissiva ceo- (( sura e dovrebbe essere abrogato ». Q11ando lessi la prima volta queste parole, io rimasi attonito, perchè proprio non mi ricordavo di averle mai scritte, e soltanto piµ tardi seppi che il Loria alluse ad un brano di un mio disco.rso sul 'socialismo e la riforma sociale, che fu pubhlicato anche nella rivista La Riformi Socia{e_ del 1;' agost9 i90'.). Il hano ivi si trova a pag. 73)-740, e suona letteralmente così : (< Il principio della responsabilità (< sociale reca un criterio per giudicare (non dico per (( risolvere) anche la dibattuta e sempre rinascente (( questione del protezionismo Se i padroni di im- « mobili rurali e gli imprenditori di industrie si ser- « viranno dei lu::ri derivanti dalla protezi'one non (< solt&.nto a proprio vantaggio, ma per migliorate (< quantitativamente e qualitativamente la produzione, << ridurre i prezzì, diminuire la durata' giÒrnaliera del (< lavoro, al_zare i salari, render più igienich~ le loro (< aziende e le abitazioni dei salariati, anche la mas- ((.sa dei consumatori, e i proletari pei primi, non si « lagneranno dei dazi protettori. li regime doganale (< protezioni:;ttt impone quindi ai padroni e impren- (( ditori obblighi, il cui adempimento può renderlo (< socialmente profittevole». Confrontando le due citazioni si scorge agevolment~ che il Loria ha svisato il senso delle mie parole. lo' ùo'n h9 fatta nessuna giustificazione del protezi~nismo': ho ricordato un criterio per giudicarlo in date condizioni, non per risolvere 11 problema fondamentale che esso involge; ho soltanto accennato che dove il protezionismo è attuato (e si può gridare quanto si vuole contro il fatto, ma, se il fatto esiste, bisogna riconoscerlo proprio perchè esiste), esso può trovii.rè

JUVISTA POl'OL.-lH.I:.' Dl POLITICA LETTEllE 1:,· ~CIESZi;; SOCIALl 289 dei correttivi che lo rendano socialmente profittevole. E uuo di questi correttivi è proprio il buon uso che proprietari ed imprenditori facciano del lucro loro procurato dai dazi protettori, cioè del guadagno eccedente quel profitto normale, che ricaverebbero dalle loro aziende qualora i dazi non esistessero. E che cosa io intenda per tale buon uso l'ho detto nel mio brano citato, al quale buon uso io del resto non contrapporrei mai gli improvvidi e paz-.i scialacqui, che lascio alla pessimistica fantasia del Loria di imputare ai padroni ed imprenditori protetti, potendosi quel lucro destinare anche ad uso per sè non riprovevole, ma non connesso, come io vorrei invece che fosse, all'incremento della produzione e al miglioramento della condizione dei lavoratori. E, caso inaspettato ma vero, ecco che le classi operaie italiane, rurali ed urbane, nel loro rude buon sen;;o, hanno in certo modo confermata la mia previsione ed ac~olto il mio ragionamento. La propaganda per l'abolizione del dazio sul grano le ha lasciate indifferenti : dopo qualche adunanza più o meno spontanea, dopo qualche discorso applaudito da spettatori poco entusiasti, ma che avevano la consegua di applaudire, tutto finì. Invece l'agitazione per ottenere aumenti di salario, ossia una più larga partecipazione al profitto e quindi agli eventuali lucri procurati ai padroni ed imprnnditori dal protezionismo, si è diffus,l in gran parte del paese e si è svolta con una rapidità ed un'intensità tali da darle un carattere quasi rivoluzionario. E così in molle località i lavoratori ottennero ciò che spontaneamente i padroni non avevano conceduto : il che non muta i 1 risultato finale dell'evento. Tornando al punto controverso, noto come il Loria stranamente convertì il mio ragionamento generale in una giustificazione specifica del dazio sul grano. In un sistema di dazi così complesso, com'è il regime doganale protezionista, anche l'accettare (ed io non l'ho fatto) il principio del protezionismo, non implica approvazione del modo concreto, con cui il protezionismo può essere stato applicato presso un dato popolo e tanto meno la giustificazione di ogni singolo dazio. Ed a questo proposito io non vedrei proprio nessuna contraddizione, se un paese, pur accogliendo il protezionismo per date forme di produzione, non lo estendesse a certe altre, o perchè non ne hanno bisogno, o perchè non si crede opportuno favorirle, o perchè ne possono derivare troppo gravi sofferenze a qualche classe di cittadini, o perchè si suppone che il p:-otezionismo per esse cagionerebbe ad altre forme di produzione, più meritevoli di aiuto data la costituzione economica nazionale, un danno maggiore che non sia il vantaggio a quelle procurato. E per tali motivi io mi guarderei bene dall'accusare di mancanza di logica un protezionista, il quale fosse ostile al dazio sul grano. Con quale diritto dunque volle il Loria torcere una mia osservazione generale sul protezioi;iismo in una giustificazione particolare proprio del dazio sul grano ~ Yla ecco che il Loria, dopo aver travisata la mia BibliotecaGino Bianco dichiarazione, le fa seguire questo commento : « Ora, << con tutto il rispetto dovuto all'illustre professore, « a me pare che il suo ragionamento sia affatto e< simile a quello di chi, dovendo giudicare un tagliàc< borse, dices•e: ecco, se egli impiegò il ricavato ,e dal furto nella fondazione di utili industrie od in e< beneficenza, io lo assolvo e lo elogio : ma se in- << vece lo sperperò in gozzoviglie, lo condanno alla e< reclusione. A me sembra che un provvedimento « legislativo debba sempre giudicarsi in base al suo « valore intrinseco, e non già ad una determinata << condotta che potessero eventualmente seguire gli « interessati, successiYamente alla sua introduzione». Osservo di passaggio che è davvero curioso lo scorgere un materialista storico cosi convinto, come il Loria, giustificare la sua critica assomigliando un fatto strettamente economico ad un fatto morale. Ma, di grazia, perchè poi ci ha lasciati in asso, non facendoci la preziosa rirnlazione del criterio per giudtcare il valore intrinseco d'un dazio ? Io non mi curo di dimostrare il valore intrinseco di un dazio doganale, perchè so che ogni dazio, astrattamente considerato, è ingiusto, cagionando sempre a qualche parte della popolazione un danno, a cui neppur sempre si conti·appone un vantaggio per un'altra parte. Quindi mi contento di giudicare un dazio doganale dai suoi effetti, specialmente nel rapporto fra il bene e il male, che esso procura. Ed ecco che proprio il Loria stesso, dimentico delle sue preme~se citate, scrive poco dopo : « No : quand'anche sia « riconosciuto. che il dazio è un·appropriazwne inde- << bita dei proprietari di terre a danno dei consu- << malori, non perciò è detto che il dazio debba ad << ogni costo abrogarsi : poichè potrebbe ben darsi « che t_aleindebita appropriazione fosse la condiàone « sine qua non allo sviluppo normale o fiorente del- « l'industria agricola e più generalmente dell'eco- << nomia nazionale )>. Ora, con tutto il rispetto dovuto all'illustre professore, a me pare che il suo ragionamento, con cui si giustifica un'appropriazione indebita, purché risulti giovevole all'economia nazionale, sia affatto simile a quello di chi, dovendo giudicai-e un tagliaborse, gli dicesse: « ecco, voi meritereste, in linea di stretta giustizia penale, di essere condannato alla reclusione : ma siccome avete rubato per avere i mezzi ài dare sviluppo ad una vostra utile industi-ia, io vi assolvo e Yi elogio ». . Ma, ragionando sul serio, il Loria deve pure ammettere che anche lui, per giudicare del valore intrinseco di un dazio, non sa far altro che scrutarne gli effetti e conchiudere che se questi sono buoni, il dazio sarà legittimo, se cattivi, sarà illegittimo. Ma, allora resta saldissima anche la mia osservazione, che se il protezionismo è per opera dei padroni ed imprenditori accompagnato da benefici effetti sociali, può, dall'aspetto sociale, esser giudicato favorevolmente, osservazione la quale del resto, mi preme ripeterlo, non implica nessuna giustificazione generica del sistema o specifica di qualche _sua parte. ~è mi venga il Loria a dire, come fa nel suo

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==