252 HIVlSTA. POPOLARE DI PULLTlCA. LETTERE E SCIENZE SOCIALI DA Cl_=lI,$1 r.DEDE,SCA Chi abbia una esatta nozione della stretta dipendenza che intercede tra i fenomeni bancari e le condizioni della produzione di un paese, rra il fabbisogno finanziario della medesima ed il mercato dei capitali, comprenderà come quel disastro continuo degli istituti bancari tedeschi non costituisca un fenomeno particolare, ma sia il sintomo di una crisi più ara ve o ' più profonda. È da un anno circa che ad un fallimento segue un fallimento: dalle Hypotekenbanken, da Spielhagen, da \Vagener a Dannenbaum, a Kummer, alla Leipziger Ban!~, al Dresdener Creditanstatt il temporale imperversa furioso, nè fa sperare calma. La irrequietezza, la instabilità, la tendenza al panico, le terribili oscillazioni che subiscono i valori industriali offrono, e non da ora, nella Borsa di Berlino, allo spettatore, che dalle gallerie superiori getti uno sguardo curioso sulla massa di gente, come marea ondeggiante, uno spettacolo pauroso. Alla Deutsche Banlc si offre oro da Londra, da Pietroburgo, da ~ew-York, dalla stessa Cina; ma nel giugno dell'anno sc~rso la Banca, avendo bisogno di 91 milioni in oro, fu costretta, per raccoglier la somma, a far dei telegrammi circolari in tutto il mondo. I cambi sono stati così sfavorevoli che in 5 mesi la Germania ha perduto ben 40 milioni di marchi per l'uscita dell'oro! Or bene, esaminando tutti codesti sintomi, e conoscendo un po' la cbndizione economica tedesca, non può cadere dubbio alcuno circa la natura industriale della odierna crisi. Son starò qui a ripetere come rapido, gigantesco, sia stato la sviluppo della economia teutonica, non esporrò la grandiosa evoluzione industriale di quel popolo di contadini e poeti, non ricorderò il grido di allarme inglese, e la lotta ingaggiata fra la vecchia e gloriosa Albione e la giovane Germania. Per la Germania però non c'era e ooo c'è altra via: o continuare io una produzione maggiore, o fallire - o trovare sbocchi e mercati, o saltare io aria, scoppiare. La legge per il riooovameoto della flotta. tutta la attenzione del governo nel migliorare le comuni - cazioni marittime e terrestri, la politica coloniale se - guita provano come il popolo ed il governo sappiano sapientemente lottare. Ma, pur che si abbraccino fatti e cifre, come ho fatto io nell'Ufficio Imperiale di Statistica, è chiaro che la Germania comincia a soffrire di una superproduzione. Quando si considerino infatti le principali industrie, le minerarie, le metallurgiche e le elettriche, le chimiche e le tessili, quelle del cemento e quelle della carta, nello impiego del capitale, nella produzione, nella esportazione, quando si consideri le crisi che alcune di esse altra versano, si ha presto la constatazione di ciò che ho detto. La crisi delle industrie eletkiche ad esempio è più grave delle altre: alcune case lavorano per immagazzinare, altre hanno ridotto enormemente il personale tecnico. Forse qui, per spiegar meglio il fenomeno, alla superproduzione, alla iodipeodeoza di molti merBi bi iOÌeCaGino Bianco cali sui i quali si contava, bisogna aggiungere allri, fattori, i quali si debbono alla stessa natura delle società. che non si limitavano a fare impianti, ma costruivano macchine, ma vendevano energia, ma f"unzionavano da veri e propri istituti di credito. Se da una parte la politica accorta e coraggiosa del governo e l'azione concorde, e non meno sottile, dei commercianti preparavano la via per raggiungere i nuovi mercati, lo svolgimento industriale non poteva esser fermalo, ma doveva piuttosto esser sforzato: i magaz1.ioi pot~vaoo esser pieni, le mercanzie potevanoammucchiarsi le une sulle altre inerti, aspettando una doma:nda che non veniva, ma le officine crescevano, le macchine aumentavano, i prodotti si moltiplicavano. Considerate nello Annuario di Statistica (Statistisches Iahrbuch) il numero dei motori, la forza mo-- trice ecc , considerale anno per anno la composizione della popolazione. Un simile processo richiedeva capitali, e capitali furono dati, senza tregua, all'industria. Ma venne il momento in cui il mercato dei capitali cominciò ad esser debole, e presentò sintomi di un esaurimento,_ che mao mano si faceva più sensibile. Il 7 febbraio del 189) nel Reichstag, il Direttore· della Reichsbank diceva : , « Nella creazione dei capitali noi non siamo pro- « grediti: noi non possiamo crear capitali senza un « rincarìmeoto del denaro ». Si incominciò col ricorrere al credito, ed in tal modo che la stessa Reichsbaok fu costretta ad elevare losconto fino al 7 010. L'attacM commerciale inglese a Berlino manifestava io un rapporto al suo governo (Parlamentary Papers London 1900) la opinione che la futura espansione commerciale tedesca potesse esser impedita ed arrestata dalla mancanza di capitali. E finalmente un doloroso dilemma io questi ultimi anni si è presentato innanzi all'anima tedesca: o rinvigorire il mercato dei capitali, crear capitali, trovar capitali, soddisfare il fabbisogno dell'industria, ovvero restringere, limitare l'attività industriale. Sorse silenzioso il doloroso dilemma, e silenziosamente, ma senza un momento di perplessità, fu risoluto. La capitalizzazione di ciò che può costituire t:na. sorgente per la creazione di capitali, della· proprietà mobiliare ed immobiliare, io altri termini, si impose come primo passo. Ma ciò nemmeno era sufficiente, ed il fabbisogno del mercato dei capitali fu coperto mercè la emissione di valori, mercè la capitalizzazione fondiaria, e mercè - questo giova osservare - la speculazione sui valori, sui terreni, sui debHi di stato, del comune, ecc. Nel 18)9 le emis,ioni di valori, in Borsa, raggiunsero la cifra di 1832 milioni, di cui l'industria, ebbe 668,4 milioni, le Banche 299,9, il Commercio629,6. La statistica delle emissioni e la inchiesta sulle borse (Schmoller) potrebbero svolgere meglio queste cifre. Le banche, in questo momento, sorsero dalle stesse e per le stesse condizioni del mercato dei capitali.
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