Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno VII - n. 11 - 15 giugno 1901

206 RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI fu0ri di lui: nella psicologia dell'ambiente. Ecco il punto. È vano e pericoloso illudersi: l'applauso nella Camera - dei deputati e delle tribune - venne spontaneo, sincero e caloroso perché c'era corrispondenza di amorosi e perversi sensi tra l'oratore e coloro che l'ascoltavano. Il deputato per Salerno in questa occasione fu l'interprete felicissimo del pensiero che agita le menti della nazione; di quel pensiero, che ebbe ad interprete per molto tempo Francesco Crispi, e che costituì la ragione precipua della simpatia e dell'ammirazione che per lui sentirono molti, che non erano suoi complici disonesti, ma che scorgevano in lui l'uomo dalle grandi cose. Allora e oggi, per Crispi e per De Marinis l'ammirazione fu maggiore n'el Mezzogiorno e nel Settentrione. Così doveva essere e così è: il Mezzogiorno trovasi ancora nella fase inferiore di sviluppo, che Spencer chiamò militare, caratterizzata dalla fede nella monarchia, dall'ignoranza, dalla miseria, dalla assenza di spirito industriale, dalla predilezione delle imprese guerresche, dalla maggiore e più barbarica delinquenza. Con ciò non pretendo di fare una scoperta; né avrebbero motivo di lamentarsene i meridionali. La distinzione tra i caratteri del Nord e del Sud è vecchia; venne fatta più di venti anni or sono dal generale Nicola Marsclli nel suo pamphlet sugli Italiani del Mezzogiorno. Ed allora nessuno se l'ebbe a male. Di mio non ci ho messo che le note reali dimenticate dal compianto storico militare, e che nessuno oserebbe contestare. Ma il guaio è questo: sembra a me che lo spirito del Mezzogiorno abbia guadagnato anche il Settentrione; dove il militarismo e l'amore delle conquiste potrebbe assumere le parvenze seduttrici di quell'imperialismo democratico, che imperversa tra gli anglosassoni, preparandone o affrettandone la decadenza, e la corruzione. Il successo. di De Marinis, anche nella stampa del Piemonte e della Lombardia, che sino a ieri furono alla testa del movimento antimilitarista ed antiespansionista, per me sarebbe l'indice doloroso della iniziata e forse avanzata trasformazione avvenuta nell'animo del Settentrione industriale. Ivi troverebbe fortuna, nella forma ingannatrice datale da. De Marinis, quella stessa infausta megalomania che suscitò ripugnanza ed avversione quando fu incarnata da. Francesco Crispi. Premesse queste osservazioni che muovono dal presente e lo collegano al passato non remoto, occorre esaminare il contenuto del discorso dell'on. De Marinis. A giudicarne dai resoco'nti incompleti, che ho potuto leggere nei giornali, esso è fatto di contraddizioni e di errori formali e sostanziali - come tutto l'imperialismo democratico che lo ha inspirato. I difetti non sarebbero, quindi, dell'uomo; ma della dottrina, della tendenza che lo dominç1.e che rispecchia. Al deputato di Salerno non è sfuggito il significato del grande movimento economico dell'Estremo Oriente, che prepara all'Europa ed all'America del Nord, crisi spaventevoli; ed egli ha ricordato che il Giappone fa già concorrenza vittoriosa ad alcune industrie degli anglo-sassoni.Possono più facilmente ricordarsene i lettori cli questa Rivista, che i primi in Italia ebbero a leggere i dati che un ex-ministro BibliotecaGino Bianco· dell'impero giapponese aveva esposto sobriamente e chiaramente nella North American Reoiew sui progressi economici del proprio paese (1). Che cosa indica lo sviluppo rapido, me'raviglioso del Giappone e la sua concorrenza vittoriosa ad alcune industrie europtle e nord-americane? Questo solo: l'Europa quando avrà visto ripetere in Cina ciò ch'è avvenuto nel Giappone, avrà visto del pari ingigantire un pericolo che la minaccia; poiché la concorrenza che oggi viene da un impero di quarantacinque milioni domani verrà da un impero di quattrocento milioni, dove i salari sono assai più irrisori - se può chiamarsi salario quel tamo che si dà ad un operaio intelligent,e e laborioso per comprare un pugno di riso ed un pizzico di oppio - che non siano nel vicino paese dei crisantemi. Che cosa si dovrebbe fare per allontanare il pericolo o almeno per attenuarlo? Ritardare lo sviluppo economico dell'Estremo Oriente e preparare in casa propria una condizione di cose, che renderà meno dannoso l'urto quando esso sarà divenuto inevitabile come la morte. •-t 't Che cosa ha fatto l'Europa; che cosa ha tentato di fare l'Italia; che cosa consiglia !'on. Dc Marinis? Tutto il contrario di ciò ch'era utile ed anche onesto di fare. L'on. De Marinis riconosce la grandezza del pericolo economico giapponese; e per eliminarlo lo vuole decuplicare provocando il pericolo economico cinese! No, egregio amico mio ! Non si tratta di ottenere il trionfo della politica della porta aperta - una frase ed un fatto scelleratamente ipocrita; si tratta invece di chiudere le porte di casa nostra. E noi dovremmo avere interesse speciale, noi, i cinesi di Europa,a vedere chiuse le porte di Europa e cli America, più che ai prodotti, agli uomini della· Cina, che lasciati liberi, verrebbero nel bacino del Mediterraneo, come sono andati a San Francisco e negli Stati Uniti, a fare asprissima concorrenza ai nostri poveri emigranti. Né mi permetto di ripefere all'on. De ìviarinis l'offesa che gli ha fatto qualche giornale imperialista i~aliano; il quale nell'entusiasmo pel suo discorso gli ha attribuito lo sproposito bestiale di vedere in Cina uno sbocco pei nostri uomini quasi non fosse noto anche agli imbecilli - purché non siano imperialisti - che laggi11,la densità della popolazione, almeno nelle zone vicine al mare, è maggiore di quella altissima d'Italia e si avvicina a quella massima del Belgio. Chiamai la politica della porta aperta scelleratamente ipocrita; e chiarisco il ·giudizio severo. L'Europa non potrebbe che imitare gli Stati Uniti e l'Australia volendo aperta la porta altrui, per mantenere chiusa la propria. Infatti gli Stati Uniti e l'Australia, - e la seconda fa parte integrale dell'Impero britannico -, mentre vogliono che la Cina lasci entrare gli uomini e i prodotti propri, hanno chiuso brutalmente la porta ai poveri cinesi, che anelavano a cercar lavoro ! L'Europa e l'America vogliono aperta la porta della Cina; e per apertura intendono quel disonesto brigantaggio c9llettivo, che ha disonorato testé l'umanità con atti· feroci e disumani, consumati dai soldati del Concerto europeo a danno delle donne, dei vecchi (1) Vc,li R1v1STA Po;·o1..11rn, ·\nno VI, N. 21: La ri-voluzione industria/e nel G iappon.; (U11articolo <lei conte Oknma, cx ministro <lei Giappone).

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