Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno VII - n. 7 - 15 aprile 1901

134 HlVlSTA. POPODARE DI PUDZTlGA. LETTERE E SCIENZE SOCÌALi ficio industriale del mondo? I liberisti affermarono ch'essa sarebbe sempre rimasta tale. Anche oggi l'Inghilterra rimane la sola nazione liberista - e tale rimane a causa dell'urgente bisogno cli prodotti alimentari e cli materie prime a buon mercato, - e la rivalità economica delle altre nazioni è divenuta cosi pericolosa che se la venisse commerciale per ottenere lo stesso scopo sempre generalmente adottata, produrrebbe la sua estrema rovina. Il fatto è, come List chiaramente vide, ed anche qualche economista ortodosso ora ammette (Sid,qwich), che può riuscire utile ad una· nazione, per mezzo delle tariffe: 1 ° di resistere alla naturale trasformazione industriale; 2° di affrettarla perchè le persone che vi sono impegnate non potrebbero trovare una occupazione ugualmente proficua, e la somma totale di produzione _nazionale vi si rende maggiore che sotto il libero scambio. Le altre nazioni, specialmente la Germania e gli Stati Uniti, seguendo questo principio, hanno già delle industrie cosi grandiose, che adesso possono strappare all'Inghilterra il predominio dei mercati neutrali. Questa è la significazione del favoloso aumento della esportazione tedesca e americana, e della relativa o assoluta decadenza del commercio inglese nell'ultima decade. Il dogma della naturale e necessaria armonia degli interessi di tutte le nazioni è falso, quanto è falso quello del loro naturale e necessario antagonismo. Questo dogma è vero sino a tanto•· che una nazione ha un naturale monopolio in qualche industria - come i liberisti erroneamente credettero che l'Inghiltei;ra l'avesse nelle manifatture. Sino a tanto che manca la concorrenza, infatti, il commercio è un pegno di pace e di benessere tra chi compra e chi vende; ma dal momento in cui due na?:ioni si danno intensamente alla medesima industria, il commercio diviene una spada che divide e rende nemici i rivali su di un medesimo mercato. Allora diviene vero ciò che disse Montaigne: il profitto dell'uno non può ottenersi che a danno di un altro; l'incremento dèll'uno è la decadenza dell'altro; la pr'osperità dell'unò è la distruzione dell'altro. Tali na?.ioni si trovano di fronte come due tribù indiane quando non c'è abbastanza spazio per una. Epperò, di fronte a questa situazione, quale sarà l'avvenire della guerra? Il fatto fondamantale nella storia è la legge dei redditi decrescenti. Questa è la sorgente dell'origine e sviluppo dtllla civiltà; senza la pressione della popolazione sui mezzi di sussistenza l'uomo non si sarebbe $iammai elevato al disopra dello Stato selvaggio. Tale legge è ugualmente la sorgente della guerra e della miseria. - · Per proporzionare la popolazione alle sussistenze quattro mezzi sono possibili : due mirano a limitare la popolazione; due ad aumentare i mezzi di sussistenza. Questi mezzi sono: 1° la limitazione naturale della popolazictne, come nell'India, colle malattie e colla fame: a la limitazione artificiale come in Francia; 2° l'emigra7-ione; 3 I le conquiste; 4° il commercio. Coll~ conquiste le nazioni hanno ottenuto dagli altri paesi le ricchezze non prodotte in casa, sen?:a rendere loro alcun equivalente : la sorte di Roma e della Spagna dice dove esse conducono. Col com· mercio le nazioni volgono la leggo dell'aumento costante dei redditi contro quella dei redditi decrescenti, scambiando prodotti cli manifatture con sostanze alimentari per la popolazione eccedente. E' con questo mezzo che l'Inghilterra mantiene nel comjort più elevato che ci sia in Europa ll!la popolazione, di cui appena una metà potrebbe essere alimentata coi prodotti del· proprio paese. La superiorità del commercio sulla conquista deriva dal fatto Bi61ioteè~me ~ct~,zgncoentre la conquista a scopo di sfruttamento la limita da entrambi le parti : da quella della nazione conquistata e dall'altra della conquistatrice. Il commercio cosi è capace, come Aristotile aveva osservato, cli indefinita espansione. Ma ciò non ostante esso non può sfuggire interamente alla legge dei redditi decrescenti. Un popolo deve comprare ed un altro deve vendere qualche cosa; entrambi, perciò, devono produrre un dato articolo in proporzioni maggiori del consumo proprio. Non solo questo; ma · anche il costo marginale nella produzione della quantità da vendere dev'essere minore della utilità marginale dell'articolo importato. La pena del lavoro nella produzione dev'essere minore del piacere del consumo, altrimenti non si continua nella produzione. Naturalmente questo é un lavoro che varia da posto a posto. Da per tutto; nelle regioni tropicali e subtropicali, dove la disposizione al lavoro è poca e la pena nel lavoro é grande, è questo limite subbiettivo che lascia rimanere improduttive grandi risorse, limita la pr0cluzione, abbassa il commercio e induce o ad adottare il lavoro forzato nei propri campi, o ad abbandonarli senza tentare di sfruttare le naturali risorse del paese. Misurando il commercio probabile di tali regioni dalle semplici loro naturali risorse, senza tener conto cli questo fattore subbiettivo, del carattere del popolo, si va incontro ad amari disinganni. In altri paesi, nelle regioni nelle quali la pena del lavoro non è cosi grande, si ha una produzione più intensa. Così si spiega come i paesi che hanno la più grande produzione sieno spesso quelli che hanno le minori ricchezze naturali. Ma ogni incremento della produzione agricola esige un proporzionale aumento cli lavoro; quindi c'è un punto in cui il lavoro non -trova il suo compenso. Questo è il limite fisso o obbiettivo alla produzione e conseguentemente al commercio. Come aumenta la popolazione diviene proo-ressivamente più difficile e in ultimo impossibile il creare un di più cli prodotti agricoli a scopo cli scambio. Quando questo punto é raggiunto il paese cessa di olfrire un mercato per i prodotti industriali perché non c'è come .pao-ar!i; il popolo allora si trova inn<tnzi al vecchio ~ilemma: morte per fame, emigrazione, guerra o manifatture. Perciò cresce sempre il numero delle na?:ioni manifatturiere e diminuisce quello delle nazioni agricole. Ne risulta una rivalità pei mercati, che cresce sempre più fieramente cli giorno in giorno. Mezzo secolo fa questa contingenza sembrava abbaslanza remota; l'Inghilterra, sicura nella sua supremazia industriale e commerciale, fu innamorata appassionatamente della pace. Oggi il suo moiiopolio è rotto, la sua supremazia tramonta. Ne deriverà la guerra? Egli è vero che le tariffe oggi hanno più efficacia delle armi dei primi tempi. La guerra del carattere più mortale, la guerra che rovina gli Stati e schiaccia le nazioni, è o~gi combattuta senza sparare un colpo di moscnetto. Si aggiunga il costo dell'esercito e delle flotte che solamente i più forti possono sostenere. Se ne deve concludere con .Jean de Bloch che la guerra è divenuta cosi costosa e cosi mortale da rendersi impossibile? Questa teoria è possibile, ma non convince. Egli è vero, però, che il carattere .:, l'obbiettivo della guerra oggi sono cambiati. Le conquiste non sono più fatte dalle nazioni civili per ottenere tributi; nè per le più avanzate di esse allo scopo cli sfruttare i vinti per mezzo di leggi commerciali ine&uali: nessuna conquista oggi può essere profittevole ad una parte a lungo, se tale non è pure per l'altra. Inoltre la guerra è oggi un conflitto non di armi, ma cli civilizzazioni. Epperò o·ggi all'antico motto·: si vis pacem para bellum deve sostituirsi quest'altro: si vis bellum para pacem. La nazione meglio prepa __

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