RIVISTA POPOLARI!,,' DI POLITJCA LETTER/i E SCtJ<:NzJ,:SOCIALI vanno relegate tra i miracoli, se non tra le favole: potè convertirsi improvvisamente un individuo che si chiamò Saulo, ma non si può convertire in tempi normali, senza la pressione de'grandi, immediati avvenimenti, una collet.tività. 20 Alla possibilità che la massa delle classi dirigenti possa sopportare ulteriori aggravi d'imposta senza sottoporsi a sacrifizi: gravissimi Ora questa è una illusione vera. I poveri stanno malissimo; ma in quanto ad imposte - salvo poclie scandalose e fraudolenti eccezioni - il fisco non ischerza coi maggiori possidenti. Dei quali si possono avere notizie anchti consultando i libri dei crediti fondiari e i registri delle ipoteche, che ammontano a molti miliardi. Epperò· si può essere sicuri che: o la riforma tributaria non passerà in Parlamento quale la vagheggia l'on. Giolitti; o provocherà ben più gravi tumulti nel paese se sarà tradotta in legge dello Stato. 1 JJhsci dei proprietari riuscirebbero ben più seri e pericolosi per le istituzioni che non siano stati i Fasci dei proletari ! Dunque: non c'è niente da fare? Deve semprll avere ragione Budda ... Fortunato 1 Ci sarebbe molto da fare, e da fare utilmente; ma pare che nemmeno l'ou. Giolitti, ch'è uno dei politici più coraggiosi e più spregiudicati, voglia toccare certi ta- . sti, i cui suoni possono riuscire sgraditissimi in certei,fere. No, on. Giolitti! Non basta, evitare le nuove spese per procedere allo sgravio delle imposte vagheggiato, se non si vuol cadere nella pania dellaflnan:ci allegrn; ma è necessario lUDURRE LE SPESE A'r°TUAU. Senza questa riduzione la promessa o l'aspir- zione ad una riforma tributaria, che, comunque intesa e praticata, deve rin· scire acl alle,iamento d'imposte ecl a minori entrate pel pubblico erario, o è una illusione infantile o è una menzogna colpevole. · Ma su quali capitoli del bilancio si potrebbe fare cadere la riduzione delle spese 1 Certamente i cosidetti servizi ci vili hanno bisogno urgente, se li vogliamo davvero civili, di essere impinguati ecl ,1,nchemeglio ordinati. Non ce ne sono che due soli suscettibili cli minorazione: il debito pubblico e i bilanci militari, che sono mastodontici relativamente agli altri. r-Ma questa riduzioneinon è possibile sema la rinunzia alla' politica inframmettente e disonesta cli grande potenza. Lo sanno~gli on. Sonnino e Giolitti, e tacciono scrupolosamente su questi due argomenti, che dovrebbero essere attualmente i più discussi, e che dovre,bbero servire meglio tli ogni altro a distinguere le parti }lolitiche. Però il silenzio nei due uomini ha un valore diverso. Può non sentire il dovere cli parlare l'on. Sonnino, le ctù idee in fatto di politica coloniale e di politica estera sono note, e sono da megalomane. Riesce penoso, in questo quarto d'ora, il silenzio llell'on. Giolitti, che altra volta ha combattuto energicamente l'impresa cinese - l'ultimo atto cli follia della politica estera italiana. Il silenzio attuale può sospettarsi suggerito dall'opportunismo e dal desiderio di non rendersi in dso nelle alte sfere. Avverto, infine, che Sonnino, che saprebbe ritrovare a momento opportuno il coraggio cli ridurre gl'interessi del debito pubblico, è piìt logico non promettendo alcuna riforma tributaria, perchò egli sa cli non potere mantenere la promessa, non volellllo ridurre le spese militari nè rinunziare alla politica, megaloruane. Epperò da parte mi,1,non esito a dichiarare che mi piace di più la sincerità di Sonnino, pur ritenendo che la sua durezza fiscale riuscirebbe disastrosa all'economi,L nazionale. Oggi, come un anno fa, insisto infine, nel ritenere che una diminuzione d'imposte per centocinquanta milioni, resa possibile falcidiando largamente gl 'interessi del debito pubblico e le spese militari, renderebbe possibile per la nazione una siffatta rigogliosa espansione economica, che, dopo pochi anni di raccoglimento vero, non riuscirebbero neppure pericolose le follie coloniali e gli sperperi militari. Questo il mio avviso, che non ho speranza alcuna di veder prevalere. Anzi, dichiaro che sarei soddisfatto se i nostri ministri delle finanze, seuza procedere acl una vera riforma tributaria, si limitassero a raccomandare agli agenti ed ai ricevitori clel registro di mostrarsi meno crudeli nella interpretazione delle attm1,li leggi d'imposta. Dott. NAPOLEO:<CiEoLAJANNI Deputato al Parlamento. LAFILOSOFIA POLITICA ESOCIALE D'UN RIFORMATORE CINESE La Cina - sebbene chiusa gelosamente nel suo isolamento secolare e rimasta al di fuori della corrente de!Ja civiltà mondiale, sebbene diffidente ed ostile verso l'Europa - fra tutti i paesi dell'Oriente é quello che si avvicina di più alle idee e ai principi dell'Occidente europeo. I suoi filosofi, i suoi moralisti, i suoi riformatori professarono sempre delle idee, che hanno molta simiglianza colle idee e le dottrine morali, politiche e sociali dei filosofi, dei moralisti e dei riformatori occidentali. Meng-tseu o Mencio, fra tutti i moralisti cinesi, é colui che per la sua filosofia politica e sociale si avvicina di più ai pubblicisti riformatori dell'Occidente, ed é per ciò che io credo valga la pena cli esaminare brevemente i principi etici e le teorie politicosociali di questo filosofo cinese vissuto nell'estremo Oriente circa tre secoli av. G. C., e quasi contemporaneo dei grandi filosofi greci : Socrate, Platone ed Aristotele. Ai' tempi di Meng-tseu, che d'ora innanzi chiameremo alla latina col nome di Mencio ,111encius), due scuole o per meglio dire due sette diametralmente opposte, si disputavano l' indirizzo intellettuale e morale della filosofia cinese, e tenevano il campo del sapere ugualmente lontane da quel giusto mezzo che Confucio, il più grande filosofo della Cina ed uno dei più bei geni dell'umanita, aveva considerato come la base fondamentale della sua morale razionale ed utilitaria : la setta cl' Yang e la setta di ]Ife. La prima professava una specie di epicureismo volgare e grossolano ; considerava l'uomo come un essere animato esclusivamente dall'amor di sé stesso e predicava l'egoismo più assoluto come il principio fondamentale della sua morale. Nel campo della politica applicando i suoi principi ultra-individualistici ed egoistici la setta predicava l'anarchia o per dirla con parola recente: l'egoarchia più anti-morale ed anti-sociale. La setta di Ì\Je contraddiceva in tutto alla prima. Professava l'altruismo più assoluto, un amore senza limiti per tutli gli esseri umani al di sopra d'ogni parentela e misconosceva i sentimenti più naturali. Nelle sue tendenze umanitarie e cosmopolitiche negava la personalità umana, la famiglia, la patria. Ylencio · cosi definisce il principio anti-morale della setta Yang e 'il principio ultra-morale della setta Me : « Yang-tseu pone l'interesse personale e l'amor di sé stesso come l'oggetto dei suoi studi. Se dovesse strappare un sol capello dalla sua testa per procurare qualche vantaggio puhblico all'impero non lo farebbe. Me-tseu ama tutti; se abbassando la testa sino ai suoi talloni, potesse procurare qualche vantaggio all'impero, lo farebbe. » Mencio reagisce energicamente contro l'ultra-egoismo d' Yang e ! 'ultra-altruismo di Me, ritornando ai grandi principi: etici del confuceismo, che raccomanda il rispeUo di sè medesimo e l'amor dei prossimo, che fa della pietà figliale la base di tutti i doveri e riattacca il destino ,dell'uomo a.Ila natura dell'universo. Ma é della filosofia politica e sociale di :.\1encio che dobbiamo occuparci, ·perchè, sebbene il grande filosofo cinese abbia difeso eloquentemente la dottrina morale del suo Maestro Confucio contro le negazioni radicali dei sofisti delle due sette ch'egli chiama barbari, sebbene ne abbia sviluppato i principi con molta profondità, pure é nel campo della filosofia politica che si manifesta tutta l'originalità e tutta l'arditezza del suo pensiero.
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