'R.IVISTA POPOLARE Dl POLl'flCA. LETTERE E SCIENZE SOCIA.LI 129 sigHa con delle condanne in base a dichiarazioni dei minorenni impiegati in questi stabilimenti. Ma spesso per l'ispettore non esiste alcun controllo da parte degli operai, ed è per questo che Millerand creò a fianco degli ispettori dipartimentali, nominati dal governo, degli ispettori aggiunti aventi soprattutto delle conoscenze pratiche, e ehe aves~ero fatta pratica nell'industria, e di cui la candidatura dovesse essere sottomessa ad una commissione scelta tra i membri elettivi operai del Consiglio superiore del lavoro. Di più, siccome la legge sulle condizioni del lavoro operaio, e in particolare la sorveglianza dell'ispezione, era concessa dal 1892 a dei Commissari dipartimentali, eletti dai Consigli generali, Millerand inca - ricò con una circolare questi Consigli generali di scegliere la metà· dei componenti queste commissioni tra gli operai. In tal modo i lavoratori possono sottomettere i loro reclami alle Commissioni, a mezzo dei loro delegati, senza avere da temere il ria.vio dall'opificio o la sottrazione dei loro reclami. E, decisione caratteristica, che rompe completamente coi concetti di Boucher e di Lebon, Millerand obbliga, in seguito ad una circolare, gl'ispettori del lavoro a mettersi in rapporto diretto coi sindacati operai, ch'egli fa riconoscere cosi, come l'emanazione diretta della classe operaia, e come il suo organo proprio partecipante alla vita economica del paese. Ormai, non è più soltanto con il patronato che l'ispettore dovrà inten - dersi; egli dovrà anche indirizzarsi all'organo del'interessi operai, al sindacato. E lo dovrà tanto più con la legge nuova sulla capacità del sindacato, con la quale è soltanto questo che potrà imporre le sue condizioni pel lavoro. Come si vede tutte le parti di questo sistema di riforme s'incatena. (Continua) PAUL DRAMAS. Dimmi, ti ricordi ?... Da sei mesi ho abbandonato Lucerna per Reswy, un villaggio che n'è lontano otto o nove miglia. Ho bisogno di molta pace, di molto silenzio e voglio qui, se Dio m'aiuta, terminare il mio nuovo romanzo, un'opera in tutto psicologica la quale mi chiede lunghe e laboriose ore meditative e ancora frequenti, se pur dolorose, rievocazioni del mio stesso passato. E sono capitato, per avventura, in un posto che può aiutare con la sua fisonomia qualche parte descrittiva del mio libro. A duecento passi dalla mia casetta, sul fondo verde della montagna, si disegna con linee semplici e severe un grigio e nudo edificio del quale appare, ove finisce un parco deserto, la rustica facciata, percorsa di suture di calce. Il viale che mena alla fabbrica s'allunga ·tra certe bizzarre erme logorate dalla pioggia e prese di mira, continuamente, dai tordi della montagna; innocenti bestiuole alle quali gli uomini di Reswy danno la caccia senza pietà. Quando il parco cede ai rigori del verno e di tutto il suo verde si va spogliando man mano, qua e là, bizzarramente, ne appaiono i tisici alberelli le cui rare fronde ed i rami veste la nev('j. Nelle grige uggiose giornate di gennaio il parco s'immolla della pioggia e una immensa malinconia se ne spande attorm,. Così è che alcuni amano la natura: essa non par loro interessante se non quando è debole è malata. E allora che ne arriva all'orecchio la voce misteriosa e conquistatrice. La prima volta in cui visitai l'edificio attraversavo un viale di cui le mie grosse scarpe serbarono lungamente, rappresa alla suola, una bianca poltiglia. Trovavo, al cospetto del fabbricato, che quella miseria delle cose esterne era proprio fatta per la mala ventura de' ricoverati nella casa oscura e silenziosa. L'umano dolore, in fatal corrispondenza col dolore delle cose circostanti, si celava di là, dietro le mura del ricovero, ove, sotto forme fisiche e morali varie, si raccoglieva l'orrenda degenerazione della creatura umana. Il severo edificio è un manicomio: Lucerna, Losanna, Schwitz, Lug vi mandano, all'aria ossigenata, i loro poveri folli. Qualcosa, fin dal primo giorno in cui misi tenda a Reswy, m'attirò alla triste casa silen,ziosa. Non ricordo più quante volte io l'abbia visitata assieme al direttore dell'ospizio professor Eisen, uno scienziato il quale consacra tutta la sua vita allo studio ed alla cura di tanto dolore. E' stata volgare curiosità o è stata pietà? O tutto ciò è seguito per quella inesplicabile tendenza, che hanno certe persone, d'affrontar certi mali onde eanno di dover provare, profondamente, le conseguenze fatali? Io non saprei dirvelo. Certo è che ora tutte le celle, i corridoi, i· 1aberinti del manicomio di Reswy mi sono noti e con alcuni de' più tranquilli fra quei poveri matti io perfin converso e discuto infino a tanto che non dolcemente mi allontani da loro quell'accennare che fanno, d'un subito, le loro parole a entrar dal campo logico in un mondo di cose e di persone assolutamente fantastico. Or, una ventina di giorni addietro, mentre allineavano sui plutei deila mia libreria una piccola colle:done di volumi che in quel momento mi erano arrivati da 'Bruxelles mi capitò un bigliettino dell'Eisen così concepito: , Ho ricevuto del buon the, ho per le mani un nuovo sogge-tto, e non ci vediamo da 20 giorni. » - E inutile ch'io scriva al professore - risposi al vecchietto che m'aveva portato la lettera - Fra mezz'ora sarò da lui. Il brav'uomo, uscendo, s'arrestò sulla soglia. - Non dimenticate il paracqua, signor Litten raccomandò - Il tempo minaccia. Difatti si preparava una brutta giornata: il cielo era diventato cupo, l'aria era fredda. Delle gocce di pioggia mi sferzarono la faccia come uscii di casa, e davanti a me, appena spuntai dalla larga via carrettiera, apparve, deserta e malinconica tra una lieve nebbia, la campagna. L'Eisen mi venne incontro nel cortile dell'ospizio e stringendomi la mano con l'effusione sua abituale mi disse: - Vi chieggo scusa d'avervi scomodato. Ma non ci vedevamo da tanto tempo! Ora, caro Litten, concedetemi cinque minuti di pe1messo: il temp_o di legger le lettere che mi sono giunte in questo momento. Cinque minuti, e sono ai vostri ordini. E prima d'entrar nel suo studiolo a pianterreno fece un cenno ad un grosso uomo biondo che aspettava, impiedi, accanto a noi, col berretto fra le mani. - Sommer, aprite al signore Il custode introdusse una piccola chiave nella toppa della porta ferrata ch'è in fondo al cortile e quella si aperse a mezzo di un suo spintone, cigolando sui cardini. Sommer passò dopo di me e la rinchiuse. Eravamo tra i pazzi. • Un grande giardino succede subito al cortile. I ricoverati tranquilli vi passeggiano solitarii in peripatetici soliloqui. Ora a un tratt~ si arrestano dopo una lunga corsa lungo il muro di cinta, or gesticolando alla fontana chiacchierante che è nel mezzo del giardino e la apostrofano, or - con gli occhi levati, con tutta la persona immota nell'atto d'una intensa contemplazione - ~eguono un fantafi!ma che soltanto il loro sguardo sorprende. Qualcuno, con l' indice teso, con le sopracciglie aggrottate, con le labbra strette minaccia delle ombre ch'egli solo intravede. De' vicini non s'occupano: non li vedono, non li odono. Di volta in volta, il continuo moto stancandoli, vanno a
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