Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno VI - n. 7 - 15 aprile 1900

138 RlYIST~ POPOLJRB DI POLlTIC~ LHTTERE B SCIENZE SOCLHJ 95 e nel 1899 di 115 milioni. Per un popolo che da anni si dibatte fra le difficoltà finanziarie una tale spesa non é giustificata, o per lo meno non é proporzionata ai bisogni reali del 1aese. La questione per l'Italia non può esser quella de disarmo assoluto, ma quella delle riduzione delle sue forze di te1-ra e di mare in quella proporzione che più non gravando ed_oppt'essivamente sulla popolazione sia sufficiente alla difesa, in qualunque eventualità. Una flotta potente deve esser l'effetto, non la causa, della grandezza di una nazione. Se guardiamo a!l'aspetto utilitario della flotta in caso di guerra, e guardiamo ai resultati pratici ottenuti, anche la malaugurata sconfitta di Lissa 1:ion ~bbe risultato decisivo, giacché la guer1·a uel 66 s1 decise sulla terra ferma. Nel 70 la flotta francese fu completamente inutile, non solo alla difesa, ma ancor più ail'aLt~cco delle cost~ nemiche. Così nelle guerre fra la Turchia e la Russia le due flotte furono completamente inutili, come lo fu la nostra nella guerra coll'Abissinia. Solo negli ultimi tempi, nella o-uerra tra il Giappone e la Cina, e in guella tra gli §tati Uniti e la Spagna, la flotta ha servito a qualcosa, ma nell'ultimo caso, se la difesa delle coste fosse stata condotta modernamente, gli Stati Uniti non avrebbero conquistato Cuba. A che servì la flotta spagnuola che pure si riteneva rotente f A nulla: La potenz!i dell'Inghilterra nel Mediterraneo non s1 deve ascrivere alla polente sua flolla, ma al fatlo _che sono i ~ommerci ingl~si i realmente preponderant~, perché d_i fronte alle 13 988 508 tonnellate della marina mercantile a vela e a va'por~ inglese vi sono 2.465.387degli Sl~ti Uniti, 3.453,334 della Germania, 1,694,230 della Norvegia, 242,091 della Francia, 875,851 dell'Italia, 643,~2i7della Russia, 608,885 della Spagna, 605,991 della Svezia, 533,3_81del Giappone, 511,858 della Danimarca etc. - Colla piccola proporzione del nostro naviglio mercantile é strano ehè l'Italia voglia ora pretendere ad una grande potenza sui mari. Aumentiamo le nostre navi commerciali, estendiamo il nostro commercio oltremare, e poi sarà il caso di aumentare anche la marina da guerra. Il nostro punto debole, sono le isole, e specia~ment~ :a ~ardegna e la Sicilia, ma con un piano di difesa rntelhgente, anche queste si poswno benissimo difendere. contro ogni attacco. Colle artiglierie di costa a lungo. tiro, _coli~t<;>rpedinee le mine sottomarine, colle rece~t1 apphcaz1oru del cotone fulminante, che si conserva rn st~to umido, e si può fare es_(llodere facilmente a tempo richiesto, l'ingegne1·ia e la chimica offrono tali mezzi da ro~er sfidare qualunque aggressione nemica. Le mie oprn1oni sarebbero : 1.0 di contentarsi di una politica più modesta e adatta alle nostre condizioni finanziarie, spendendo 40 o 50 milioni in luogo di 99; 2.0 di ridurre il numero degli arsenali e cantieri agli assolutamente necessari, cedendo gli altri all'industria privata; 3.0 di dare incoraggiamenti per la.costruzione di un dato numero di vapori a rapida c,>rsa e per costruzioni speciali e d'un dato tonnellaggio e forza di cavalli che potessero servire come incrociatori o trasporti in caso di guerra, conie é avvenuto per la guerra Ispano-Americana e per la presente del Transwaal ( Vita Internazionale 5 aprile). La refezionescolastica (1). La refezione scolastica in sé non é beneficenza, é integrazione necessaria della lezione del maestro, e il nuovo istituto non dev'essere frutto di sentimentalismo, ma il portato della nuova pedagogia scienti_fica, il soddisfaciment? ~i una ne~essità didattica e sociale, un calcolo finanziario. In Italia non esiste una vera opinione scolastica. Gli stessi uomini colti, e i preposti al governo della scuola, ~pinano che la pedagogia sia una scienza innata colla ps1c he umana una parte del cosiddetto buon senso. S'ignora come, nella pedagogia sia avvenuta un'evoluzione. La vec_chiapedagogia voleva lo scolaro come una botte che 11 maestro riempi~a per_crescer~ un ?u~d!to de_vot,o_,fe~ele, istrumento mcosciente dei super10r1 1 qua!1 s rncar1cavano di pensare per tutti. La nuova pedagogia si propone invece di trarre dal fanciullo l'uomo moderno, d'imprimergli il carattere, di educare il. cittadino cosciente dei propri diritti e doveri. Il premio del lavoro utile nella scuola non é più l'attenzione passiva, ma- l'attiva: la scuola non é luogo di riposo, ma di fatica. Il (i) É il riassunto di una relazione dell'on. prof. Luigi C-edaro fatta come assessore per la pubblica istruzione a nome della Giunta Municipale di Pavia. N.d.R. lavoro scolastico si risolve in dispendio di forza nervosa, e quindi il fanciullo ha bisogno di nutrimento non meno di quando attende al lavoro materiale nei campi e nelle officine. Dal momento che il Comune obbliga i poveri affamati a frequentare la scuolc1 dovrà dare anche il minimwn necessario per sostentarli. Nelle Cantine scolastiche di Francia e Danimarca l'alunno riceve pane, verdu1·a, minestra, arrosto e persino birra ; in Italia, a S. Remo, si distribuisce brodo, pane e carne brasata. A Pavia la Giunta propose di dare a mezzogiorno all'alunno 120 grammi di pane bianco e 12 grammi di salame crudo, o 20 di salame cotto, o 20 di formaggio. La razione costa 8 centesimi. Un pezzo di pane con companatico darà un vantaggio fisico agli scolari. Le malattie dovute in buona par-te a mancanza o deficenza di cibo non saranno fugate da una pagnottella, ma avranno qualche diminuzione. E qualche diminuzione si avrà anche nella mortalità, la vita media del ricco essendo 56 anni, del povero 28, la mor-talità dei bambini ricchi essendo del 4 °1 0 e dei bambini poveri del 30. « Chi apre una scuola chiude una prigione » é vero al solo patto che la scuola aperta sia educativa; ma se la scuola é in un locale umido e malsano ; se il maestro è inetto ; se ogni giorno siedono a fianco il bambino povero, tormentato dalla fame, e il ricco col panierino nieno d'ogni gl'azia di Dio, la scuola non é educativa. In Italia abbiamo aperte molte scuole, ma la criminalità non é diminuita. In Italia l'istruzione c' é, ma é ammalata, e devesi curarla con metodo razionale ed efficace. - (Educa:ione politi.:a - 1 Aprile). Ado_ljo Pilo: La moralenella vita privatae nellavitapubblica. E un gran bene che la coltura filosofica, e .specie la morale, esca dal tempio della scuola, si diffonda nella vita comune e ne divenga S•!ienza, guida e maestra. Altrove già questo accade. Da noi, in questa via maestra del progresso, si é indietro assai: il dissidio fra gli inse~namenti e_gli atti perdura inte°:sissimo. Dissidio singolare che c1 fa considerare la scienza come vano ornamento estraneo alla vita: e i filosofi, bizzarri sognatori di un mondo che non é il nostro. Non vi é scampo: o supporre che la scienza sia bugiarda, o concludere che nella vita più impera la violenza di stimoli inferiori che non la consapevole misura del pensiero. La menzogna, !a corruzzione, la violenza, la parzialità, il favoritismo, tutto ciò che nella vita privata ci sembrerebbe indegno e riprovevole, non solo é largamente scusato nell'uomo politico, ma anzi forma ed accresce la fortuna sua, é parte quasi del bagaglio ordinario di chi percorre la carriera politica. Esistono dunque due morali diverse ~ Nella dottrina, intanto, no. A parte Macchiavelli che sembra piuttosto aver avuto di mira la fedele pittura del 500 che non una 1·accolta di consigli che s1 dian davvero, con serio intento, ad un Principe: nella scienza e negli scrittori di diritto pubblico é tutto un inno all'onestà, alla rettitudine, e un biasimo severo pei criteri, opposti. Certi sistemi antichi sconsigliano l'uomo saggio di mescolarsi nella vita pubblica turbatrice della coscienza, ma con ciò non si fece che proclamare immorale la vita pubblica. Anche l'utilitarismo, concludendo all'utile generale collettivo in cui gl'interessi di tutti combaciano e si confondono, esclude come fine una morale siffaltamente sdoppiata. Ma perché il criterio morale, che pure serve a guidare in tanti casi della vita privata, ci abbaQdona di un tratto sulla soglia della vita ·pubblica f E che noi siamo, nella massima parte dei casi, in fatto di morale, o impulsivi o calcolatori: morali al-· tamente e pienamente quasi mai. In queste condizioni non è poss1bil~ o almeno probabile un'alta moralità nella vita pubblica. E mestieri por mano ai rimedi, e tosto, prima che uno stato di cose, 0he in Italia poi é gravissimo, produca l'effetto suo immancabile, la disorganizzazione etica della società e dello Stato. Non é rimedio l'astensione dalla vita pubblica. Saggio non é chi inoperoso e codardo si chiude in sé stesso lasciando che altri governi o sgoverni a sua posta. Saggio nel pensiern odierno é colui che nella vita collettiva della società reca sana, forte e armonica la propria valida personalità di uomo; chi non conosce e non apprezza che alte e nobili idealità, e per esse sacrifica non sé soltanto, ma ove occorra e amicizie e partiti; saggio é colui che una linea inflessibile di condotta s'impone e segue con chiunque e ovunque; chi non ha mezzi termini né mezze misur:e; chi invece di commuoversi vanamente. e sterilmente, per un dolore attuale e presente, pensa e

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