Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno VI - n. 6 - 31 marzo 1900

108 BiYlST.4 POPOLAREDI 'POLITICALETTBJB B SClBNZB SOCl.4Ll realizzazione del fascio monarchico accennato; - fascio che doveva costituire lo sforzo supremo del governo. E il Paese di Napoli: È un nuo-vo sproposito del governo. La prepotenza del numero pigha forme aggressive. La maggioranza ha paura anche dell'audacia, con cui si difende lo Statuto. Brutale nella sua ignoranza e nel suo egoismo, strozza la ragione, e, fatta ardita dalla forza, impone, con la violenza, la sua volontà assoluta. E bene, trionfi pure, se può: ma la vii toria strappata al Parlamento, potrà a \·ere tristissima ripercussione nel paese, al quale si fa perdere anche l'illusione della già scarsa libertà. E la Lombardia di Milano, molto logicamente: Tale approvazione anticipata è poi effettivamente nulla. e non può essere accettala come una deliberazioue valida, anche da chi non l'abbia voluta, perché, secondo un principio di diritto generale, nessuno può rinunziare per conto d'altri. E la deliberazione implica appunto una rinunzia ad un diritto1 che ogni deputato personalmente ha di discutere e cti votare le proposte, quando sono presentate nei modi richiesti dallo Statuto e dal regolamento della Camera. Per queste ragioni, anche se la Camera approvasse la mozione, non sarebbero vincolati alla rinunzia che i deputati della maggioranza; gli altri no perché col voto avranno detto di non renunziare al loro diritto e al loro diritto di deputato. E l'Adriatico di Venezia: A « Poiché si vuole lo Statuto, la ribellione è. un diritto » ha gridato ieri l'on. Costa. ,: Lungi da noi il pensiero di suggerire o alimentare sentimenti di ribelhone, ma è certo che la logica dell'on. Costa non ja una grinza. Non si è insegnato sempre dai maestri di dritto costituzionale che la ribellione è permessa quando la carta fondamentale dello Stato venga stracciata. E pretendete che i :partiti estremi siano meno costituzionalmente ortodossi dei maestri di diritto f E chi poi ha l'audacia di sostenere che la mozione Cambray-Digny, con la quale il Parlamento vieta a sé stesso la sua funzione essenziale, il discutere e deliberare, non sia uno stracciare la carta fondamentale. E la Provincia di Brescia: È da un gran pezzo che si cammina, a passo di bersagliere, fuori dello Statuto. Ecco dove siamo arrivati: al punto in cui l'Estrema sinistra si sente in diritto di gridare: « o vi rientra chi ne è uscito o usciamone una « buona volta tutti quanti >>. La mozione Cambray-Digny è l'indice di ciò che vuole e di ciò che sa la prepotenza di pochi reazionari, spalleggiati da un ministero anticostituzionale. Essa tenderebbe a segnare la decadenza del Parlamento. Ma in Italia non è il tempo del parlamentarismo che è passato, è passato quello dell'Austria e dei Croati. E ci sembra che basti! AGLI AMICI DELLA "RIVISTA,, Rinnoviamo la caldissima preghiera di diffondere la nostra pubblicazione : NELREGNODELLAMAFIA Si tratta di difendere il buon nome della Sicilia, e di mettere alla gogna il regime che da quarant'anni in quà, in Sicilia e nel Mezzogiorno, ha continuato, qualche volta pegQior~ndoli7 i metodj di governo dei Borboni. ILVALORSEOCIALDE IPOPOLI Il giudizio amoralista che sulla guerra anglo-boera. hanno dato i nostri migliori economisti - Pantaleoni, Pareto, De Viti De Marco - è quello che venne pure annunziato dal Demolins; il quale la superiorità o la inferiorità di un popolo e, perciò, il suo buon diritto al possesso di una terra la deriva dalla sua attitudine a farla valere. I nostri lettori conoscono tutti questi giudizi, che volta per volta sono stati prodotti della Rivista. Su questo punto di vista strettament~ utilitario e sociale, nell'ultimo numero della Science sociale (Marzo) troviamo rinnovata la polemica tra il direttore Demolins, che si sforza di rifermare l' esattezza del parere sfavorevole emesso contro i Boeri e il signor Roux, che lo combatte. In fondo si rimprovera ai Boeri: a) di non essersi elevati al disopra della fase della vita pastorale e dell'agricoltura estensiva ; b) di rifuggire dai lavori e dalle occupazioni dei popoli civili; e) di conservare la predilezione per le campagne ; d) di tiranneggiare i Negri. Su queste quistioni il Roux ha invocato un'autorità insospettabile: quella del rappresentante più illustre della scienza storica e della geografia coloniale nella. Università di Oxford. Il Froude, lo storico cui si allude, nel libro: Oceana (Ediziona Tanchnitz) ha già osservato : 1° che gl'inglesi non hanno rivelato al Ca.po alcuna attitudine a coltura intensiva superiore a quella dei Boeri; se non fosse stato per gli afrikanders- egli aggiunge - i bianchi del Capo sarebbero vissuti di farina straniera, di latte in boite e di patate importate; 2° che i Boeri si danno ai lavori economicamente utili (really valuable); 3° che il sistema di relazioni adottato dai Boeri verso gl'indigeni è utile agli uni e agli altri. • Gl'inglesi hanno uccisi cento indigeni; i Boeri ne hanno uccisi dieci » ; 4° che l'amora per la campagna è un bene, mentre la passione per la città, l'urbanismo, è un male di cui tutti si allarmano in Europa e in America. Quest' ultima risposta non è del Froude, ma del Balfour, giudice meno sospettabile perchè è ministro della regina Vittoria. Ma al grande storico inglese appartiene questa sintesi severissima sulla condotta e sulle intenzioni degli imperialisti di Londra : « gl' in• glesi cercano 1ipetere in Africa la Storia clell' Irlanda cor,iese non ce ne fosseabbastanza di quella di Europa. A noi sembra che al Demolins si potrebbe domandare in quanto alla superiorità di un popoloderivante dalla attitudine a far valere la terra : o perchè mai gl'inglesi padroni del Capo e del N atal e per molti anni ancora dell' Orange e del Transwaal - avendo a loro disposizione tutte le condizioni favorevoli: capitali, coltura tecnica, forza politica, assenza di altre più gravi preoccupazioni - non seppero mettere in valore, non seppero colonizzare l'Africa Australe ? Questa loro impotenza a colonizzare le regioni, il cui dominio vogliono sottrarre ai Boeri, venne riconosciuta da una delle più autorevoli riviste inglesi sin dallo scorso anno. Sidney Low discutendo sul1a futura e allora assai ipotetica vittoria degli inglesi, in un articolo della Nineteenth Century sui Problemi e sulle lezioni del Sud-Africa, esaminò le possibilità del1' assetto da dare alle colonie dell' Africa Australe, ed escluse recisamente che i coloni inglesi potessero andare a sostituire gli afrikanders. Molti altri scrittori inglesi sono dello stesso identico avviso. E queste non sono ipotesi, ma induzioni sperimentali: il passato recente ammonisce sul futuro prossimo.

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