'l'.O! R11'1JTA POPOl.A'l{E DI POLJ11CA LETTERE E SCIENZE SOCIALI Come epilogo di queslo movimento nazionale ilaliano, Carlo Alberto - accettando la fusione della Lombardia, di Padova, di Treviso 7 di Vicenza e di Rovigo - fece solenne promessa e s1 obbligò di convocare una Costituente italiana con volo .universale. Si legga il decreto reale del 13 luglio 1848: anzi fu legge votata da: Parlamento e sanzionata da Carlo Alberto. Da ciò si deve trarre un primo corollario : ed è che il grido della Costituente non è ribelle - se, come ha testé ricordato mirabilmente il deputato Coppino, non solo echeggiò nella piaz.Ja e nelle assemblee poliuche, ma anche nella Reggia. Trasformandosi, io aggiungo, in una clausola legislativa - che attesta omai un patto inadempiuto ed una prome:-;sa tradita ! Il granciporro del nostro Presidente - nonché dei deputali Guicciardini, Giolitti, Bonacci, e di molti altl'i, anche nella stampa pubblica - va~ quindi, in brandelli, dinanzi a' documenti diplomatici del 1848, alla prima pagina del Parlamento e della legislazione subalpina. II. Ma si obielta: questo precedente storico, parlamentare e legislativo del 1848, non ha più senso - dopo la deGennale occùpazione. austriaca : e, per- conseguenza, _ la Lombardia fu annessa ali' Italia - come mi diceva un deputato tra' più colti del Mezzogiorno - per effetto de' tre trattati di pace conclusi a Zurigo il 10 novembre 1859. . Ed è questo un gravissimo str fakione - su cui non sarà vano discutere brevemente. Il trattato di Zurigo non può essere per la Lombardia il titolo di legittimità - in virtù del quale q,µella nobile provincia é entrata a far parte della grande famiglia italiana. Se il trattato di Zurigo dovesse considorarsi come titolo legale di annessione, la Lombardia non potrebbe ritenersi uguale alle altre province italiane: le quali hanno con le assemblee o co' plebisciti (non discutiamo ora il modo) affermato il proprio volere - il gran principio moderno della sovranità nazionale. Il trattato d1 Zurigo significa diritto di conquista: contraddizione ne' termini - perché diritto e conquista si elidono e si negano, reciprocamente. Ma ci ripugna che il popolo indomito delle cinque giornale debba esser considerato, secondo la cruda espressione del Mazzoleni, come un branco di pecore. Il trattato di Zurigo - in forza del quale la Lombardia sarebbe passata dall'Imperia! Regia Aposlolica Maestà d'Austria al re di Sardegna, mercé il beneplacito di Napo leone III - non può bastare. E difatti un trattalo non bastò per Venezia. ~nche Venezia fu liberata dal giogo austriaco, mercé 11 trattato del 1866; - ma la sua annessione al Regno d'Italia fu consacrata co' plebisciti del 21 e 22 oLLobre. Il pleLiscito si ritenne necessario, imprescindibile - come forma tutelare della volontà popolare. Dunque, nelle origini del diritto pubblico italiano, i trattati non si considerarono ·come titoli validi di annessione: e, quindi, il trattato di Zurig1J del 1839 è privo di autorità · legale nel campo del nostro jure pubblico interno. Or,. se i lombar·di non fur-ono consultati, significa che, altre il trattato del 1859, deve esserci stata un'affermazione solenne della loro volontà - per la quale ogni altra nuova affennazione sarebbe riuscita vana e frustanea. Deve esserci stata: sicuro I Non é dimenticabile l'atto di fusione del 1848: quell'atto è il vero plel,iscito lombardo - virile protesta di popolo cosciente contro gli arbitri del Governo provvisorio: sostenitore della fusione incondizionata. E, dopo, fu votata dal Pal'lamento subalpino la legge del 13 luglio 1818. Questa è ornai storia d'Italia. Né l'atto di fusione del 1848 ~ la legge sur1·iferita potevano cadere - per la decennale occupazione austriaca. Difatti il Consesso municipale di Milano, all'alba del risorgimento nazionale, si riannodò al filo della patria tradizione, ed espresse chiaramente l'animo suo con quesle parole a dì 5 giugno 1859: « Essa (la popolazione) vuol rinnooare il patto del' 48 « e riproclamare in cospetto della nazione un fatto po- « litico che undici anni di fidente aspettazione e d'inte- " merata lealtà avevano maturalo in· tulte le intelligen- " ze, in tutti i cuori. L'annessione della Lombardia al " Piemonle fu proclamata stamane quando ancora le ar- « tiglierie del nemico polevano fulminarci e i suoi bat- « taglioni sfilavano sulle nostre piazze ,>. E, dopo tre giorni, un indi1·iuo della città di Milano aggiungeva: « Noi siamo vostri per pers11asione, per affetto, per « la necessità ~eografica, pel diritto storico dell'atto di « fusione del 1MB, confermato da questi anni di prepac< razione e di passione, i quali rimarranno incancella- « bili nella storia dei popoli, come esempio di quel che « possa la perseveranza nei giusti propositi e la dignità « nelle pubbliche sventure ». . Onde il giorno seguente Vittorio Emanuele, nel suo Proclama a' Lombardi, disse così: « Restaurato il diritto nazionale, i vostri voti raffer- « mano l'unione col mio Regno che si fonda nelle gua- « 1:entigiedel vit;ere civile ». E, dunque, un grande errore il credere che l'annessione della Lombardia al Piemonte sia seguita in vir·tù del trattato di Zu1·igo- che ha la data del novembre 1859: mentre le solenni manifestazioni pubbliche di Milano e la parola del Re del 5, 8 e 9 giugno 1869 si riannodarono all'antecedente storico del '48 - onde non fu creduto necessario niun altro modo giuridico d'interrogare la coscienza lombarda: assemblea o plebiscito. III. Resta l'ullimo granciporro: il dissidio, cui accennò il Ministro Peruzzi nel 1863 - l'antagonismo tra la costituente ed i plebisciti nazionali. Ora questo è davvero il punctum saliens del problema fondamentale - attinenle 11llagenesi del risorgimento politico italiano, al processo evolutivo della storia nostra, alle ragioni supreme del diritto pubblico moderno. I plebisciti sono il documento storico e giuridico della nuova vita italiana: e, in omaggio al rispetto assoluto del diritto plebiscita1·io, il Yoto della Costituente - che risponde alla tradizione della Casa Sabauda - s'impone come una necessità ineluttabile de' principii razionali, che informano il 1·eggimento di uno Stato rnodel'no: in forza di cui le Carte - ne' paesi che si ergono sul fulcro della sovranità popolare - sono vincoli, pacta convencta, tra il popolo e il capo dello Stato. Se diamo uno sguardo, anche fuggevole, alle tavole, che sono nel nostro Parlamento, vediamo che ne' plebisciti di Toscana, dell'Emilia, delle Marche e dell'Umbria si parlò di Monarchia costituzionale: ne' plebisciti del Mezzogiorno, di Re costituzionale : ne' plebisciti di Mantova, di Venezia, di Roma e delle provincie romane, di governo monarchico costituzionale. Ora, io sono d'accordo col Lamrertico che la varietà di forme non altera la identità de pensiero, in quanto che tutti i plebisciti esprimono una volontà sola - quella del governo costituzionale monarchico. Ma ciò importa, soltanto, che l'Italia volle un re e una monarchia costituzionale - e, quando si chiede che cosa è la costituzione, alla quale pur si riferiscono i plebisciti, la risposta é facile : è la costituzione, nel suo significato più comune - e, cioè, una forma di monarchia non assoluta: il popolo italiano usciva dal dispotismo de' principi assoluti, e costituiione per lui suon11va limitazione del potere regio, negazione dell'assolutismo. I plebisciti non indicarono quale la costituzione fosse : né si può intendere che fosse la costituzione piemontese del '48. Non si può - perché è assolutamente inconcepibile che la nazione, nell'esercitare il primo atto di sovr.anità, abbia inflitta a sé stessa una degradazione civica - votando lo Statuto, che rispecchia l'autorità esorbitante del re, con la legge elettorale, che faceva parte del diritto costituzionale subalpino. La nazione avrebbe dato lo sgambetto alla maggior parte, sette milioni e più, di coloro, che votarono i plebisciti: il che sarebbe stata una contraddizione in terminis - una confisca della sovranità propria. Ancora: se il Rosmini, il Gioberti. il Cavour, il Balbo, il Parlamento subalpino e Carlo Alberto dichiararono nel '48 incompatibile lo Statuto con la monarchia nuova piemontese, fondata sul volere di alcune province - tanto meno si poteva nel '60 ritenerlo compatibile con l'unità proclamata dell'Italia, con la sovranità della nazione intera. Lo stesso Mamiani fu costretto a mette1·e in bocca a Niccolò Machiavelli queste testuali parole: « Come può una legge fondamentale largita ad un'angusta provincia qual;era il Piemonte acconciarsi b_ene
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