Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno VI - n. 5 - 15 marzo 1900

'RJP'IS'f .A POPOURE DI POLI'fICA LETTERE E SCIENZE SOCIÀLI \ ad un protettorato morale e ad un'alleanza commerciale. Ma quando, dopo 17 anni di vana attesa delle riforme, i Cubani, il 24 febbraio 1895, ripresero le armi, decisi questa volta a nessuna transazione, allora gli Stati Unili si trovarono di nuovo in faccia alle que8tioni ispanocubana, e questa volta doveva essere l'ultima. È inutile raccontare recentissimi avvenimenti. Dal 1° gennaio 1899, in esecuzione del traLtato di Parigi, la bandiera americana sventola all'Avana al posto della bandiera spagnola. Il problema cubano ora è questo: Cuba ,;arà indipendente o americana? Cause potenti spingono Cuba nelle braccia degli Stati Uniti. Queste cause sono la situazione geog1·afìca, le condizioni politiche e sociali della Grande Anlilla e, soprattutto, i suoi interessi economici. Geograficamente, gli Stati Uniti hanno ragione di dichiarare che Cuba é un appendice degli Stati Uniti dai quali compra tulto ciò di cui ha bisogno, e ai quale vende 9[10 della sua produzione. L'indipendenza, certamente,' é un ideale lusinghiero, per l'amor proprio dei cubani, ma l'indipenlilenza non é sinonimo di libertà. Quanti popoli sono indipendenti e non sono liberi I L'esempio delle repubbliche (o pretese tali) sud americane è edificante : ivi quei popoli non conoscono che due stati: l'anarchia completa o il dispotismo dei dittatori poco nemici della frode. E i cubani, oltre i edesimi elementi d'inriorità e di torbidi, resultante dalle razze e dalle mancanza di educazione politica, hanno anche quello delle razze di colore che entra per un terzo nella':l~ro popolazione totale. Ln perla delle Antille ha ricchezze naturali immense quasi inesplorate, ma queste ricchezze per svilupparsi hanr,o bisogno di fattori che non possono venire che dal di fuori: i capitali ed i lavoratori, che non affluiranno, però, se non trovando garanzie di :ordine e di sicurezza. Quanto alla libertà é nelle abitudini, nel temperamento, nel sangue degli americani ed essi la daranno a Cuba; anche se non le daranno !'indi pendenza. Fin da ora, del resto, i cubani, in possesso di tutti gl'impieghi, fanno il loro apprentissage della vita politica. Quando il popolo cubano sarà diventato adulto, sarà felice se una tutela opportuna gli avrà risparmiato i mali di cui hanno sofferto e soffrono ancora i suoi concittadini di sangue spagnolo. - (Humanit~ nouvelle - Marzo). Prof. Ercole Vidari: Gli scioperiin Italia nel 1897. La lotta fatale fra capitale e lavoro si risolve sempre, come tutte le lotte, in modo violento; cioè per mezzo di coalizioni e di scioperi. È così pure per gli Stati. La ragione di ciò é che riesce difficilissimo trovare chi abbia sufficente autorità, indipendenza e disinteresse per sedere giudice fra i contendenti, e giudicare con vera giustizia. l tribunali dei probi-viri poco giovano all'uopo: 1° perché l'istituzione é guardata con indifferenza dai padroni e con diffidenza dagli operai ; 2° perché essi possono comporre non prevenire gli scioperi; 3° per·ché essi possono servire per piccole controversie, non già quando si tratta di quei grandi scioperi che colpiscono tutta una industria. Allora la voce della ragione non• s'ascolta più. Sindacati di operai e sindacati di padroni sono due forze che si trovano l'una rimpetto all'altra in attitudine minacciosa; e da questa altitudine allo scoppio delle ostilità è breve il passo. Al crescere della industria crescono gli scioperi, che, se da noi furono 101 nel 1888, salirono a più del doppio, a 217 nel 1897. Però è singolare notare che se nel '1897 gli scioperanti furono 76,570, nel 1896 sono stati 96,051, la quale differenza può fol'se significare che se il mezzo coattivo dello sciopero va estendendo il suo impero, non c' é più tra gli operai quella solidarietà ferrea che prima li spingeva a unanimi risoluzioni. Ciò é un buon sintomo per noi, perché da questa violenza continuata non c' é da aspettare nulla di bene: perché il bene verrà soltanto quando smesse dalle due parti le pretese soverchie, operai e padroni, nel reciproco interesse, si accorderanno. Ove il principio della partecipazione degli operai ai profitti potesse prevalere, gli scioperi, o non avverebbero, o avrebbero una minor ragione d'esservi. Il giusto mezzo e la verità sono questi: il capitalista deve persuadersi che il lavoro dei suoi operai è così necessario alla produzione quanto i capitali, e che quindi l'operaio non può contentarsi del solo salario; e l'operaio deve persuadersi che il capitalista ha diritto a un maggior profitto perché arrischia i capitali, e può anche trarre nessun profitto, o un profitto non rimuneratore, delle anticipazioni fatte. Ma nel conflitto degl' interessi, nell'ardore della lotta, chi ascolta la voce della ragione e intende la misura? - (Nuova Antologia - i Marzo). P. Vigne d'Octon député. Lacolonizzazione criminale. Dopo l'alto di vassallaggio di 1000 sakalani ali' Isola Rossa e di 400 loro donne, cominciò qualche resistenza. Le truppe francesi avanzarono a traverso i boschi che precedono Ambiko e lo investirono in silenzio. L'artiglieria occupò una posizione da cui poteva fulminare. Sorpresa seriza sospettarlo nemmeno, senza me;,;zi per resistere, la popolazione intera fu passata a fil di spada. Dopo un ora di massacro vi fu l'inseguimento dei fuggitivi. I tiratori non avevano ordini che di uccidere gli uomini, « ma « ubriacati dal sangue non risparmiarono. né una donna « nè un bambino ». Quando si fece giorno la città non era che un orribile carnaio, con dei Francesi stanchi d'aver tanto colpito. Un certo numero di essi « si sentivano soffocare dalla vergogna ». Le trombe suonarono l'appello, e nessuno dei nostri mancava. Ci si riposò, si mangiò, e dei canti d'i gioia celebrarono la vittoria. Una poltiglia rossa di sangue copriva il suolo. Quanào vennero le tenebre della sera, dei gemiti esalati dalle labbra dei vari feriti si sentirono tra mezzo ai cadaveri: « un Francese credendo sufficente l'esecuzione già com- «· piuta, domandò l'autorizzazione di socc•>rrere quei che « vivevanu ancora, non l'ottenne; e gli ullimi morirono « nella notte». Le vittime furono calcolate a 2500 almeno, e la Gctzette officielle invece disse « che il re « Touére, il suo ministro e due capi erano restati uc- « cisi nel combattimento, e 500 prigionieri caduti nelle « nostre mani »; la verità invece é che non uno indigeno n'esci vfoo. La nuova del massacro di Ambiko sollevò la più profonda indignazione degl' indigeni, e l' insurrezione scoppiò il 28 settembre da un capo all'altro della provinda, e la lotta durò negli ultimi mesi del 1897, continuando fino al 1899. Si sarebbe voluto che il massacro di Ambiko restasse ignorato, ma io ho voluto . dire l'assoluta verità su questo fatto che si presentò ('.Ome uno dei più gloriosi della conquista del Madagascar : e sfido~ smentirlo. Possa questa campagna che da 10 anni conduco per la giustizia e per l'umanità far comprendere al mio paese che saccheggiare, bruciare, violentare, sgozzare, non è colonizzare: e che per civilizzare la Terra Nera, la forza non vale la dolcezza, la violenza non vale la pietà. La guerra che la vecchia Europa fa in Africa é la più vile, la JJiù orrihile che si possa pensare .. In luogo di compiere verso quella razza l'opera di civilizzazione, l'Europa nella sua precipitazione criminosa sciabola, massacra, traffica la carne umana, seminando ovunque, lutti e miseria. - (Revue des Revues - i Marzo).

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