Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno VI - n. 1 - 15 gennaio 1900

16 '!{!VISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCI.ALI doppia personalità, non descrive un mutamento di persona, ma il naturale passaggio del giovane nell'uomo. Il valente antropologo crede ancora di trovar la conferma della sua tesi nelle poesie che più ci co11muovono e ci sono più caramente dilette; e vede in esse la prova della semicecità mentale del Leopardi, e la mancanza in lui di sentimento innanzi alle scene della natura, chè sono accennate e non descritte; vi ravvisa inoltre un poeta scarso d'immagini, povero di fantasia, il quale si compiace della solitudine, dell'ore notturne e del deserto; vi scorge l' impotenza virile, per cui l'intenso desiderio della donna rimase nel cantore di Aspasia ins )ddisfatto; vi riconosce infine l'incapacità d'intendere il dolore umano, universale, perchè Giacomo, non potendo ben vedere e comprendere le umane azioni, si chiuse egoisticamente in sè stesso. Eppure chi legge, senza preoccupazioni teoriche coteste, poesie, vi sente e trova ben altre cose che non quelle asserite dal Sergi; le quali si fondano quasi tutte sopra interpretazioni inesatte ed incomplete o sbagliate. Il Leopardi infatti, come provano i migliori nostri critici, seppe c n artistica evidenza e sobrietà ritrarre le bellezze di natura; inalzò il suo amore ad un altis:limo ideale; e « dall'e'3p'tirienza del proprio dolore venne, come scris:3i altra volta, a comprendere il dolore universale; e da questo ad una più ,:afta comprensione del bene e del male; concepì quindi più vaste ed umane forme ed aspetti di amore; l' infinito dolore necessitando in sua mente l' universale amore degli uomini » (1) Ed egli nell'ultimo suo Canto, quello della Ginestra, dettato poco prima della sua morte, affermò la necessità della fratellanza e solidarietà umana per combattere e mitigare i mali di natura, e i cumuni inevitabili i::ostri dolori. E questo Canto d '.mostra pure ch'egli nell'ultimo per:odo di sua vita, non soffrì quella involuzione mentale, che il Sergi dice di avervi riscontrata Assai ingegnosa è la spiegazione che l'illustre pro féssore dell'Ateneo di Roma ci dà degli effetti che produce in noi la lirica del Leopardi. La quale (a suo avviso) soorsa d'immagini e scolorita, espressione monotona di pensieri e sentimenti individuali, non:3imanco ci attrae col suo oorattere w,~ano; trova un'eco nei nostri cuf1ri; e noi quindi siamo portati a generalizzarne il pensiero ed il sentimento. E ciò facciamo per una nostra illusione, mentre essa, con la stessa sua monotonia, opera in noi come la musica primitiva; e « povera di sentimento di viene sorgente delle più profonde emozioni; voce, che viene dallo smarrimento della vita e dal nulla, desta un senso mistico d'un'esistenza desiderabile e nuova » . Dissi che questa spiegazione è ingegnosa, ma meglio, forse sarebbe chiamarla speciosa. Imperocchè il nostro poeta è veramente umano, perchè sentì nel suo cuore la religione dell'umanità, e la sua lirica desta il noi quei caldi sentimenti, suscita quei dolorosi e profondi pensieri, che agitarono l'animo suo. Ottiene egli, con mezzi assai semplici, grandissimi effetti, perchè insieme alla sicura conoscenza dell'arte, ebbe ancora acutissima (i) L'etica sociale nelle opere di G. Leopardi. 'Milano.Carlo Aliprandi, 1893. la facoltà di scrutare l'animo umano, e seppe penetrarvi col continuo interrogare il proprio cuore; e fu sincero sempre nel ritrarlo, e nel significarne gl'intimi dissidj, chè in cuore egli aveva (come ben osserva il De Sanctis) la fede, mentre lo scetticismo travagliavane la mente. Pur troppo la psicologia individuale si perde spesso (e ciò nota anche il Sergi) nelle astrattezze. Ma il peggio è quando le indagini psicologiche procedono a fil di logica da formole e teoriche prestabilite, perciocchè allora, per naturale effetto di suggestione, i lavori artistici, i fatti e i documenti necessarj a ben intendere la personalità d'un uomo di genio, sono malamente interpetrati e rivolti a manifestare cose diverse da quelle che veramente esprimono. Io non posso qui dilungarmi a svolgere cosiffatte considerazioni; e, concludendo, ripeto ancora una volta che la critica scientifica per portare utilmente il suo contributo allo studio di un'opera d'arte, e trarne le notizie necessarie a de, lineare la personalità di chi l'ha creata, deve avere esatta conoscenza de' tempi e luoghi in cui questi visse, ed avere larghe cognizioni della materia, de' principj, delle norme e degli strumenti propri dell'arte; deve inoltre condursi con molta avvedutezza e cautela neJla ricerca ed accertamentJ de' fatti; e non deve correr dietro ad affrettate ipotesi e teoriche, per cui si smarrisce sovente il metodo positivo, e si giunge a conclusioni cervellotiche e fah;e. D.r G. Ro~1AK0-OATANIA RIVISTADELLERIVISTE Un repubblicano lombardo : Per la "GiovaneItalia,, del secolo nuovo. - L'impressione complessiva cl1e si riceve dalla leLLura dei giornali di provincia, organi diretti o indiretti dei repubblicani delle varie regioni è « che non soltanto l'educf),~ione ma la più elementare istruzione politica manca, alla maggior parte dei repubblicani. La maggior parte dei nostri repubblicani, vissuti e cresciuti dentro al chiuso monastero delle dottrine mazziniane, stampano sentenze sbàlorditive che dimostrano... come non siansi occupati d'altro. Non pensano che Mazzini poteva aver ragione di scrivere quel che scrisse cinquant'anni or sono, ma se rinascesse ora formulerebbe - ingegno precursore, non ripetitore - ben altre teorie, parlerebbe ben altro linguaggio e traccerebbe ben altro programma alla Giovane Italia del i1900. Leggendo e rileggendo Mazzini mi son convinto eh' egli fu grande perché si pose quasi solo contro i ripetitori di formule e frasi e sentimenti che avevano fatto il loro tempo. Egli leggeva tutto, di tutto si occupava e teneva il debito conto; egli vide, udì, esperimentò, conobbe v&rietà di persone e di cose e di condizioni di vita politica, e studiò le istituzioni di altri paesi. Ora dov'è fra i sedicenti repubblicani chi faccia altrettanto? Gli scrittori nostri sono in generale dei solitari; speculatori da Lavolino che non hann0 il sussidio dell'osservazione diretta dalle cose, sui paesi e sulle istituzioni io azione. Di questa deficienza si risente tutta la propaganda dei nostri pubblicisti, conferenzieri e deputati. Da trent'anni essi ripetono a sazietà le medesime formule. In trent'anni non m'è riuscito di vedere uno dei nostri scrittori o oratori uscire dal composanti della generalità per dire

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