234 RIPISTA POPOLAREDI POLI'IIC.ALETTERE E SCIENZE SOCIALl di non tradire il carattere della propria anima. Esso è tutto d'un pezzo : tale è dentro quale è fuori, non si sdoppia, non si spiega ipocritamente, nè recede per vigliacchi timori. Il pensiero ed il sentimento di lui si rispecchiano fedelmente nell'azione, senza sottintesi o reticenze, senza raggiri, senza ostentati sforzi. Non ha convinzioni chiare, precise, profonde e lo confessa; le ha non teme di palesarle, di sostenerle a viso aperto. E se non è sempre lecito ed opportuno, segnatamente in alcune delicate si• tuazioni della vita, esternare quel che si pensa e si sente, l'uomo leale, in questi casi serba un prudente e dignitoso silenzio, ma, a qualunque costo, non tradi'lce le proprie convin~ioni, i propri sentimenti. A dir breve, o tace, o rivela quel che gli detta il cuore e la mente, ammenochè la menzogna non sia pietosa, non sia ispirata dall'affetto, non sia diretta al bene. II. La seconda condizione per avere il carattere morale è e la costanza e la resistenza ». « All'azione umana - dice il nostro Fiorentino, il filosofo arguto ed elegante - è stimolo il piacere ed il dolore. Quando la ragione però si è sviluppata, alla azione sua s'accompagna un giudizio che l'approva o la disapprova. Questo giudizio non è da confondere con ·quello, di cui abbiamo discorso nella Logica, e che si può dire conoscitivo, perchè ci fa conoscere i rapporti delle cose: il giudizio, di cui tocchiamo quì per la prima volta, esprime una valutazione della ,nostra azione, e dicesi, per contrapposto al giudizio conoscitivo, giudizio valulativo. Si potrebbe chiamare ancora pratico, perchè s'accompagna con l'azione. Quando noi siamo'•in grado di apprezzare il valore delle nostre azi..mi, il loro merito, o il loro demerito, allora è chiaro che agli antichi stimoli, a quelli suggeriti dalla natura stessa, al piacere ed al dolore aggiungiam? stimoli nuovi, e questi provenienti dal nostro giudizio. Questi ultimi però, per distinguersi dai pnm1, non si chiamano stimoli, ma motivi. Se si volessero entrambi aggruppare sotto un medesimo nome, bisognerebbe chiamare motivi naturali i primi, motivi etici i secondi. Tra qu1 ste due guise di motivi interviene assai sovente contrasto: ci sono azioni che portano piacere si, ma non sono punto approvabili ; e ce n'è delle altre, per contrario, che sono causa d' immancabile dolore, e purtuttavia meritano la nostra approvazione. Operare in modo, da meritare sempre l'approvazione della coscienza etica, farsi una massima di questo criterio, non appartarsene mai, ecco quel che diciamo carattere morale ». (I) Il carattere morale adunque si esplica, si svolge, si afferma nella lotta; e nella lotta non solo tra i motivi etici e i naturali considerati in un medesimo individuo, ma spesso tra le idee e le aspirazioni d' un indivi4uo, e quelle della società o della maggioranza sociale. E in .queste lotte che il carattere morale dà pruove di fermezza e di resistenza. Chi vagheggia una nobile idealità, tendente al progresso sociale, e coraggiosamente lotta per l'attuazione di quella, non è soltanto un carattere morale, ma è un grande carattere, un eroe. Fisso ha lo sguardo nell'i• deale che vagheggia, come ardito nocchiero che imperturbabile mira il faro verso il quale s'indirizza, senza farsi intimidire dalla tempesta che infuria d' intorno e sotto di sè minacciosa e terribile. Ogni nuova e grande dottrina, ogni azione umana importante, se ostile alle tradizioni ed alle credenze del tempo in cui si svolge, incontra sempre difficoltà, ostacoli e insidie insospettate e senza numero. Come v'è una inerzia ed una resistenza mc,rale. Ogni corpo in moto incontra un complesso di resistenze :fisiche, ed ogni uomo innovatore incontra un complesso di resistenze morali. Ebbene, chi ha poca forza morale, pur vagheggiando qualche fiata un grande (i) Elementi di filosofia - i894. ideale, è senza dubbio vinto dalle tenaci resistenze, n'è dal forte attrito arrestato, fermato per via; ma chi ha molta forza, va coraggiosamente avanti, muore financo, ma muore con la faccia rivolta al pericolo che lo sovrasta, e le ultime parole di lui sono un' inno ali' idea che vagheggia: egli sacrifica tutti i mezzi al santo fine, e tra' mezzi, con sublime abnegazione, comprende anche la propria vita. Tutte le grandi iniziative, tutti i grandi avvenimenti non sarebbero possibili se mancassero gli animi forti. Senza di essi la società sarebbe un orgarnsrno immobile, senza storia e senza progresso. « La vita sociale - dirò col chiaro prof. Montalto - sarebbe come una morta gora non agitata da alcun fremito, acqua stagnante incapace di mutare aspetto per mutar di vicende ». Il Genio, sia o no un organismo mentale equilibrato e perfetto, sia causa od effetto della degenerazione mentale che spesso lo accompagna, abbia un valore puramente individuale (Carlyle, Emerson, Brunetiére) od un valore sodale (Mazzini, Montalto) è certamente la forma intellettuale piu splendida : esso « accumulando in sè tanta energia psichica da superare tutti gli altri d'un dato tempo e luogo » o si mette a capo del movimento de' suoi tempi, o precorre quest'ultimi. Come non tutte le parti d' un organismo vitale hanno la medesima importanza biologica, così non tutti gli uomini hanno la stessa importanza sociale. I geni sono organi centrali : il genio della Scienza, o della Filosofia è, diciam così, il cervello del grande organismo sociale, e il genio del1' Arte o della Religione n'é il cuore. Or, quaDdo il genio annunzia al mondo il nuovo verbo, il nuovo ideale ribelle, dalla turba volgare dei suoi contemporanei, avviticchiata alle tradizioni, è quasi sempre combattuto, calunniato, schernito, perseguitato e spesso dannato a morte. Se per tutti gli uomini la vita è lotta, pel genio e una vera battaglia. Dominano nel mondo storico due forze, due tendenze opposte: la conservatrice e la progressiva ; quella è attaccata al passato, questa mira ali' avvenire. Gli uomini sono conservatori o novatori. I primi hanno per massima, per principio il « bonum est sic esse », i secondi, facendosi leva pel progresso, sono costretti a lottare ; e la nuova idea ordinariamente attraversa due periodi ben diversi: uno di sacrifizi e di martirii, in cui soffre, combatte e spera, e un'altro di onori e di trionfi. Nel primo periodo la nuova idea, spesse fiate è il titolo dell'infamia, nel secondo è il titolo della gloria. E il « genio », che sia anche un « grande carattere », ossia l' uomo, che alla superiorità intellettuale accoppia la gran forza del volere, fidente nel futuro trionfo della nuova idea, titanicamente lotta, tutti disprezzando, indomito, i contrasti e le persecuzioni del suo tempo. « Nel mondo - dice l'Emerson - è facile vivere conforme l'opinione del mondo; facile nella solitudine, vivere giusta la opinione nostra propria, ma l'uomo grande è chi, nel mezzo della folla, serba con animo pienamente sereno l'indipendenza della solitudine ». Ed ora citiamo tre esempi traendoli dai tre grandi evi della Storia. Socrate, che segna il principio d'una nuova era filosofica è condannato a ber la cicuta. Il gran pensatore ingoia freddamente la mortale bevanda, e, sempre sereno, senza mai tradire le proprie convinzioni, agli amici addolorati, nel carcere, continua a parlare dell'immortalità dell'anima. Cristo e Paolo, il primo cuore ed il secondo mente della nuova religione, predicano la carità e la speranza. Sono due geni maravigliosi, che alla religione del timore contrappongono quella dell'amore, al Dio della vendetta il Dio della misericordia; ed all'amore, alla fratellanza universale, veri precursori della civiltà dell'avvenire, sacrificano eroicamente la vita. Chiude sinistramente come dice il Friso - la breve e gloriosa esistenza di Cristo la cupa tragedia del Golgota, mozza il capo di Paolo - come vuol la leggenda nella Roma superba e dispotica, l'infame carnefice.
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