I Rl'PISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI puto farlo jn qualsisia modo, privare le popolazioni di quelle leggi che, faiite de mieux, alleviavano le sofferenze d'una dominazione o~iata. La monarchia avea bisogno di trarre a sè gli animi, con una lenta prodi- _.gnlità di carezze e di blandizie) anzi che violentarli ex abrupto, scosse com'erano le sue basi dagli anteriori rivolgimenti e daHe nuove idee che fiorivano. Mascherata da una parvenza di pace, la Corte lavorava il ·terreno per liberarli dalle pastoie democratiche e atten- ·deva l'ora pNpizia di las ·iare le dande della bambinaia e staccarsi dal partito che sembrava la tenesse in curatela. Dicevamo che le mosse della Corte rispondevano a ·un disegno prestabilito. Sicuro. La Corte, attendendo il suo astro, andava creando i ·suoi sostegni, e fin nei paesi remoti dello Stato, a poco -a poco, con opera accorta, infiltrava capillarmente la ,sua azione. Quando i tentacoli avessero tutto raggiunto, ben facile sarebbe riuscito, per essi, strozzare la libertà •e metter su la tirannia. Qùello che avvenne lo provò. Compiutasi la rivoluzione del '20, infatti, Ferdinando -facilmente si accomodò ai consigli dei convenuti di Lubiana; e soltanto quando le truppe straniere vennero :a puntellargli il trono, soltanto allora il re che avea trepidato apprendendo sul mare le prime nuove del movimento, che scorato e intimidito avea ceduto alle imposi-ioni dei cinque carbonari che esigevano la costituzione in un perentorio di due ore ed alla minaccia risoluta di Lorenzo de Ooncilj - il re, che, tremebondo, fregiandosi della coccarda carbonara, avea visto sotto la regia sua passare in trionfo il Leone irpino e Pepe, ·e Napolitani, e Morelli, e Silvati, e Menichini e avea .loro offerto gradi, onori e danaro - allora soltanto - sicuro e garantito del trono - si abbandonò alle violenze vendicative e le condanne furono dispensate e le -deportazioni e gli esili non si contaron più! Egli tutto -ciò avrebbe voluto farlo senza scuotimenti e senza rumori: senza aiuto estraneo. Gli avvenimenti lo prevennero. Repugnava - ecco tutto - a quel re di dovP,r -essere nuovamente debitore dello scettro allo straniero. E furono i costituzionali del 1820 - e più direttamente i capi dell'esercito che erano a contatto della Corte e meglio potevano spiarne le mosse e capirne i moventi che, gelosi della libertà, affrontarono, :prima della sorpresa, il Borbone fedifrago. Martiri o retori? * * * Se tutti i moti compiuti saltuariamente per l' indi- -pendenza italiana dovessimo giudicarli alla stregua del ,successo, del trionfo - via - dovremmo anche noi dire che la rivoluzione napoletana del 1820 fu opera di retori, perchè il trionfo ebbe breve durata: otto mesi. Ma trionfò anche per breve ora la Repubblica partenopea, e coloro che la pensarono, che la proclamarono, che la sostennero non furono retori! I repubbli- ·cani trionfarono validamente a Napoli, perchè gettarono nel popolo le prime sementi della libertà: quelle fruttificate nelle Yie di Francia proclamatrice dei diritti -dell' uomo. Ohe dovremmo dire, a giudicarle dal successo, della rivoluzione scoppiata nelle Romagne, delle cinque giornate di Milano, della decade gloriosa di Brescia leonessa, della Repubblica Romana, della sommossa di Palermo o dell'insurrezione d'Ungheria? Era un retore, -dunque, Carlo Cattaneo? Erano retori i triumviri della Repubblica di Roma? Erano retori Ciro Menotti, Luigi Kossuth. Goffredo Mameli, Sandor Petofi? Ai loro ideali, alle loro cospirazioni, alle loro attività sorrise per un attimo la fortuna, e fo loro colpa ..se più tardi successero le repressioni sanguinarie e lavorarono i boja e le catene furono ribadite intorno ai malleoli dei liberali seppelliti nei bagni? Per questo .non diremo gloriosi i moti deile Romagne, di Milano, di Roma, di Brùscia c di Palermo? Fu meno gloriosa► per questo, la caduta degli Ungheresi dopo la tragedia di Villagos, le ferocie di Haynau e i supplizi della « caligin di Arad ,, - per le cui ombre ancora Giosuè Carducci implora pace nella cantica delle bionde Valchirie? Retori! Retori! * * * Ma gli uomini che operarono quei prodigiosi tentativi, gridando: Vii-a la libertà/ e sognando l' indipendenza e l'unità della patria, sapevano anche morire - lo vedemmo - e sul campo di battaglia e sulla forca. Serenamente porgevano il collo al capestro del carne. fice, con rara virtù d'animo immolandosi sull'ara della loro religione. Sapevano però che nelle loro ceneri le ire ultrici dei compagni e dei figli avrebbero trovato ancora vivo il fuoco che doveva animarle e doveva rischiarare l'opera della risurrezione. Un giorno le loro tombe avrebbero dovuto scoprirsi, chiamate da un inno magico di valore e di gloria. Essi passavano agitando una fiaccola. Non sfiduciava il procombere. Come nelle feste panatenee dell'Ellenia madre i lampadofori si trasmettevan l' un l' altro, nella corsa affannosa, la face incandescente, così - essi caduti - v'era chi quella face ra_ccoglieva, ed ogni petto che albergava cuor di patriota era un tempio nel quale con culto di vestale quel fuoco rimaneva fiammante. Guai se gli organizzatori delle vittorie dovessero pensare, perplessi e tementi, alla eventualità del successo ! E' il pensiero dell' insuccesso che anima i forti e gl'indecisi e ne moltiplica le energie. Anteo, toccando terra, si risollevava contro Ercole con nuove audacie e con rinnovata vigoria. I martiri erano gli astati che annunziavano degli anni a venire le legioni di vèliti prodi, di nuovi pensatori, di nuovi audaci, sognanti ancora - sempre - la vittoria fallita ai padri. Senza quei movimenti parziali, che alla corta vista appaiono slegati - ed a certuni anche inutili! - come si sarebbe minato il terreno che, appresso, vinte le indecisioni e i dubbi, conquistati gli animi ai principii liberali, maturata nelle coscienze l'idea della patria, scoppiò sotto i piedi dei tiranni per travolgerli inesorabilmente e per sempre? Quei moti improvvisi - non lo sappiamo negare, dovuti sopratutto a sforzi d'audacia, talvdta, lo concediamo, anche sconsigliata - erano « la più grande minaccia per i despoti e i reazionari e la più grande spocanza sospesa sul cielo di una Italia nuova • - e le repressioni di essi se rivelavano dei governi sanguinari la debolezza e la paura, agli oppressi da vano modo di attestare innanzi alle genti d'Europa la turpitudine dei dominatori e di proclamare la santità del nostro riscatto. Non chiamiamo opera vana di retori la rivoluzione del '20. I capi di essa non riuscirono a cambiar forma di governo, è vero, ma costringere un re tiranno a concedere una carta di libertà fu opera ancora più ardua che non un cambiamento di governo. Cambiamento di governo che ove lo avessero imposto le cose e gli uomini si sarebbe ottenuto facilmente, sol che il bisogno si fosse rivelato. La rivoluzione del '20 avvertì la Corte che nelle vene dei cittadini correva sangue generoso ·- avvertì la Corte di frenare le sue mire oblique e di smettere ìl tradimento. Fu il primo gran passo verso l'indipendenza - lo sprazzo di luce che saettò, luminosissimo, le tenebre che avvolgevano lo spirito pubblìco - fu il calore che giunse a riscaldare l'anima dei volenteroRi. Fu il necessario avant-propos del 15 maggio 1848 - e, senza i pronunciamie:ntos del luglio 1820 e, senza le barricate del '48 Garibaldi non sarebb>e entrato a Napoli. Fu sopratutto la rivelazione dell'anima irpina, dei
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