86 RIP'ISTA POPOLARE DI POLITIC..i LETTERE E SCIENZE SOCIALJ pitale morale? Forse perchè essi non sono orologiai ma s'Jno l'uno una illustrazione della scienza medica e l'altro un ricchissimo e coltissimo proprietario ? Perché, infine, non ve la prendete colla Società generale degli operai di Torino - della più grande Societa operaia d'Italia - che conta circa 20,000 soci e che ha un capitale di circa un milione ? Oh ! se c'erano strali avvelenati da scagliare nella faretra del giornale romano dovevano essere lanciati contro la massa dei lavoratori piemontesi che pure si sono rifiutati di assistere alla inaugurazione del monumento al Gran ~e! -I< ** Mettiamo da parte iuesto aspetto increscioso della quistione e veniamo all altro, che meglio si presta ad una discussione serena elevata. I rifiuti di partecipare ad una festa hanno somministrato, inopportunamente, il pretesto di ri3ollevare la quistione del giuramento. Il momento è davvero inopportuno; per non esserlo si dovrebbe dimostrare che chi è costretto a prestare un giuramento che la legge impone come · conditio sine qua non per adempiere al dovere altissimo di accettare un mandato conferito dal popolo, vien meno a tale dovere rifiutandosi di partecipare ad una festa ! La pretesa è assolutamente umoristica; e la troveranno tale i molti monarchici che, nel periodo di sfrenata reazione che attraversiamo, non sentono di potere ufficialmente associarsi a manifestazioni, che verrebbero disonestamente. sfruttate dai peggiori arnesi della reazione stessa. ~ In quanto alla quistione del giurame~to che p, estano gli eletti repubblicani e socialisti, che non credono nella bontà delle istituzioni monarchiche, e che in cuor•· loro vorrebbero mutarle, oramai è una sciocca esercitazione retorica a cui annettono importanza i farisei della poliiica, che vivono di formalismi e che per lo più non credono in quello che dicono e sostengono. Con ciò non intendiamo offendere i pochissimi davvero sinceri - o repubblicani o monarchici - che per difetto di ragionamento o per educazione politica sbagliata pur di non prestare un giuramento imposto - e perciò di niun valore giuridico e morale - si condannano a farla da Origeni o da Simoni Stiliti. I francesi hanno risoluto sempre la quistione con un calernbour dicendo che chi presta un giuramento ha il diritto di riprenderselo. E in Italia quanti pezzi grossi non l'avevano prestato all'Austria, al Granduca di Toscana, al Papa, al Borbone e se lo ripresero allegramente per darlo a Casa Savoja? Su costoro: acqua in bocca! Per parte nostra, evoluzionistie plebiscitari convinti, e di antica data, aggiungiamo che si può prestare giuramanto ad un regime sorto dai plebisciti e che, perciò, dai plebisciti può essere mutato. Di più: il giuramento politico in siffatto regime non è unilaterale; ma è un vero contratto sinallagmatico. Il deputato o il sindaco può sinceramente darlo; ha il diritto, però, di riprenderselo, quando l'altro contraente vien meno ai patti. Nè vale invocare l'autorità di Mazzini e di Alberto Mario per condannare i repubblicani che prestano giuramento alla monarchia. Le sincere credenze di ognuno vanno rispettate; e Mazzini e Alberto Mario rispettavano e conservavano affettuosissime relazioni con coloro, che avevano prestato giuramento; non solo, ma sull'opera loro speravano per realizzare i loro ideali. Lo sappiamo di certa scienza; che non è scienza riposta, specialmente pel seccndo, perchè Alberto Mario nella Lega della Democrazia consigliò ripetutamente i repubblicani ad entrare in Parlamento. Dovrebbe ricordarlo il giornale che incautamente ha invocato il nome del valoroso cavaliere della democrazia, che tante bastonate gli assestò nelle sue geniali polemiche. * *'* E veniamo all'ultimo punto della quistione. Merita Vittorio Emmanuele II i monumenti, che gli si erigono? Ecco quà. Per rispondere esaurientemente avremmo _bisogno di una specie di salvacondotto dell'egregio Cav. Martinetti. Ad ogni modo non esitiamo a dire che pas sando sopra all'episodio di Novara, al manifesto di Moncalieri, ad Aspromonte e Fantina, alle sanguinose giornate di Torino del Settembre 1864, alla démonstration sanglante di Custozza, a Mentaoa, al Manifesto Menabrea del 1867, alla bolussada della venuta in Roma (1), si può ammettere che Vittorio Emmanuele fu un Re non comune, franco, simpatico, popolare; che apparisce gigantesco messo al paragone con tanti altri re; che ha legato il nome suo agli eventi più lieti d'Italia. Pel titolo di fortunato occupatore, nel senso dato alla frase con tanta genialità da Giovanni Bovio, nei suoi Uomini e tempi, il monumento può spettargli. Ma è opportuno il momento per inaugurarlo? Basta conoscere il significato che dovrebbe avere l'avvenimento per negarlo. La festa dovrebbe rappresentare la glorificazione dell'Unità e della Libertà; ora il Ministero, che alla festa dovrà presiedere opera in guisa da sfasciare l'unità ed ha già soppresso la libertà. LA RIVISTA. A conferma del nostro giudizio informato ad equanimità ed a serena visione della realtà ci piace riprodurre il parere di giornali monarchici a tutta prova e di diverse tendenze. Dal Resto dr:! Carlino di Bologna: « Come festeggiare con slancio politico e con fede nell'avvenire il ricordo del regno glorioso di Vittorio Emanuele se gli entusiasmi per le s1cre memorie ci richiamano inesorabilmente al triste presente e all'impotenza politica e militare, economica e finanziaria dell'Italia di Pelloux e compagnia? Ci spieghiamo quindi come e perchè sodaliii e municipi, pur ringraziando dell'onore, abbiano declinato l'invito del municipio di Torino di assistere all'inaugurazione del monumento a Vittorio Emanuele, non sapendo dissociare il Lto patriot• tico da quello strettamente politico dell~ festa. Il rifiuto non tocca davvero la memoria del re galantuomo, ma ha una spiegazione nel triste momento attuale che offre campo a melanconiche considerazioni e a penosi rifiuti. Se Pelloux e compagni si recassero in veste di penitenti aJ inaugurare il monumento del re galantuomo che non consenti nè per furore di piazza, nè per imposizioni straniere a violare il patto fondamentale, forse il popolo tutto riaprirebbe il cuore alla speranza e sarebbe lieto di fondere in un unico sentimento il lato patriottico con quello politico dell'avvenimento. Inv<!ceil generale andrà a Torino in veste di trionfatore, orgoglioso di avere provocati decreti anti-costituzionali e negata fino ad oggi quella amnistia che fra poco dovrà consigliare alla corona anelante da tempo, similmente del popolo, un grande atto di giustizia riparatrice e di pacificazione sociale. Dalla Provincia di Como (giornale non s:,lo monarchico, ma moderato): «... Il disagio economico non tardò a farsi srntire; col disagio nacque il malcontento, i partiti morirono - come disse l'uomo di Stradella - ai piedi del Campidoglio, ma nacquero le fazioni; quindi i protezionismi, gli sperperi, i carrozzini, le dt bolezze finanziarie, le imposture, gli intrighi. Questo stato di cose aperse il campo agli avventurieri della politica i quali vi si avventarono come iene e lo posero a sacco travolgendo i deboli ed i buoni. Il popolo intanto, stanco di esser pasciuto di illusioni, vedendo - che col passare degli anni - le sue condizioni economiche non avevano avuto vantaggio, cominciò a disaffezionarsi ; la borghesia lavoratrice, pur così devota alta monarchia, vessata in ogni modo dal fisco, senti scemare ogni giorno il suo entusiasmo : cosi, poco a poco, tra il mondo politico ed il mondo reale, si scavò un fossato che separò le loro esistenze. I pasticci bancari, le indecenti ed eccelse protezioni di personaggi bacati fin nella midolla, i -salvataggi vergognosi, l'infamia africana; tutto quel cumulo di vergogne morali e giudiziarie che infestò l'Italia or son pochi anni scemarono sem- ( r) Per intendere questi accenni bisogna leggere le polemiche di Alberto Mario. Perchè non le ripubblica la sua vedova illustre ? o meglio perchè Giosuè Carducci non si decide a consegnare al tipografo il volume che si è assunto di coordinare? N. D. R,
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