'l{.IVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI Dalla cancellatina partiva uno stretto binario che terminava ad un ammasso rettangolare di pietra biancastra, chiazzata di giallo: dai mucchi dd minerale parecchi uomini senza giacca prendevano corbe di pietre, portate sulle spalle ad un elevato recinto, su cui un fumaiolo in muratura sprigionava grossi pennacchi di denso fumo, spandente attorno l'a.:re odore di zolfo, che stimolava il tossire. Più in là dal forno, in basso, dalla spianata ergevasi altro fumaiuolo di nero metallo sur una casipola in legno, ove sentivasi borbottare Ja macchina, la quale doveva servire alla estra• zione dell' acqua dalla miniera, e d'accanto alla casupola scendeva un angusto canale di liquido nero. Fu avvisato che l'ascensorio era pronto, e la Strìknel, Franco e il direttore entrarono, curvandosi, in una gabbia di ferro, poco larga, alta un due metri. L'ingegnere Provoni chiuse lo sportello e gridò verso la stanzuccia delle ruote un « avanti ·Antonio! ». La gabbia cominciò a scendere lentamente, e l'operaio vociò altra volta « oh I oh ». Franco disse al direttore : « Hai esaminato le corde, EJuardo? - Si, non dubitare; le ho L tte mettere nuove stamane » Laluce dall'alto si faceva più fioca e ad un punto appena s'indovinava l'impalcatura di legname : dalle pareti del pozzo gocciolava acqua entro i ferri della gabpia. - Si bagna, signora? - domando Franco, che aveva a lato la Striknel - No : quanti metri è questo pozzo, signor ingeg11ere. - Duecento cinquanta. Siamo per arrivare. Si vedeva di già il giallo chiarore di un lume. Fermatosi l'ascensorio, da un'apertura comparvero due operai, uno dei quali teneva in mano un vaselletto di creta, concavo, scoverto, entro cui dell'olio alimentava la fiammella di un lucignolo, sporgente su due ammaccature, che, divise da una linea rialzata, simulavano un naso. - Che foggia di lume è codesto I? - esclamò curiosa Luisa Striknel. - È l'imitazione o meglio l'imbastardimento di una lampada greco-romana che troviamo negli scavi delle tombe antiche. la Sicilia --si chiama lumera. - Rosario, ac.:endete una lampada metallica, - disse il direttore; e Rosario, camminando avanti, rischiarava con un cerchio di luce il corridoio non basso rivestito in alto da tavole; in fondo il buio era ad intervalli' rotto da lumi fuggenti, proiettanti ombre, che presto sparivano in aperture laterali, appena intraviste. Era una pagina dell'inferno dantesco. - Che sono quei lumi? - domandò la signora S'.riknel - - ~ono carmi, che vanno a pigliare il minerale estirpato - Ecco un'apertura!, fermati Rosario - E l'ingegnere, fattosi avanti, indicò un lungo foro, poco largo, non p:ù alto di un metro, in cui, al chiarore di al era lampada lì posata, vedevasi un uomo quasi inginocchiato dare colpi di piccone sulla dura p1rete, rompentesi in disuguali massi, che rotohvano ai piedi del picconiere. Un ragazzo raccoglieva quelle pietre di zolfo in capace sacco che, riempito, poneva sulla schiena, curvata, lasciando però aperta la bocca del sacco, in modo che un lembo di essa gli coprisse la testa e gli fasciasse ripiegato la fronte. Così caricato il sacco, il caruso agganciava alla piega della fronte un filo di ferro ricurvo avente in punta la lumera di stagno, e libere le mani, correva, correva, con le spalle incl[- nate. Quando le fu vicino, la Striknel lo fece fermare: grondava sudore, chè la temperatura lag~iù era alta. - Quanti anni hai? gli chiese - Tredici - E non soffri a portare codesto peso sulle spalle? - Qui si soffre meno delle altre zolfare, in cui col peso bisogna salire lunghe scalinate - e riprese la sua corsa. Altri buchi si apriva~o nei muri del sctterraneo ed era la stessa scena del piccon:ere, che abbass.tto, ansante, coi suoi colpi faceva rintronare le angmte pareti e del caruso che riempiva il sacco di zolfo e Io caricava sul dorso. Faceva caldo, come di giugno, e la Striknel sofferente fisicamente e moralmente voleva risalire, quando sentì un. forte respirare affannoso che ripetevasi insieme col rumore di uno strumento, battente sulla terra. S'avvicinò verso quel rumore crescente e, scesi due scalini, alla luce del piccolo lume sospeso al muro, le si affacciò un uomo in camicia ed in mutaod:, che immerso a mezza gamba in una fossa d'acqua gorgogliante, scavava, scavava, con poderose espirazioni di lamentosi e continui « oh, oh))' Che fate? - gli chiese penosamente impressionata Priska. L'uomo appoggiatosi alla zappa, si rivoltò e meravigliato della presenza di una signora, salutò col portare la mano alla fronte, rispondendo - Faccio un condotto _.:.._E quanto guadagnate? - Ventiquattro soldi al giorno - Poco -- Si, roco, signora, perchè oltre a stancarmi le braccia, sudo dalla testa alla, cintola e provo qualche brivido di freddo alle gambe. - E orribile! - Ma bella mia signorina, OOI! c'è che fare: o ti mangi sta minestra o ti butti dalla finestra. E mangiare dobbiamo io, la moglie e sei figli. Muta la Strikoel s'avviò con Franco e l'ingegnere al ·pozzo d'uscita, ove giunti Rosario gridò « oh, oh » verso l'alto. Si rispose con altri « oh, oh » e si sentì scendere la gabbia. Nella salita l'acqua gocciolava più forte tra i cancelli de1l'as..:ensorio e la signora Luisa, a schivare il gocciolio, si fè più dappresso a Franco, e per un momento l'uno sentiva il caldo fiato dell'altro. La luce si faceva più intensa, ed alla fine il sole sfolgorante trasse dal petto di Priska un grosso sospiro di soddisfazione, ed ella esclamò: - Com'è bella la luce, tra tutto questo verde e questo azzurro profondo! Laggiù, la vita tra le tenebre è ben dura, e ben misera l Che sofferenze ! E quel povero uomo scavante il condotto ad una lira e venti al giorno, direttore i? È un salario di fame per un lavoro faticosissimo. - Eppure, signora, non pochi gl'invidiano quel lavoro faticoso. Se sapesse quante persone vengono a chiedermi d'essere impiegate in simili scavi d'acquedotti, contentandosi di una lira al giorno ? - Lo comprendo, ma ciò non toglie che i signori conduttori di zolfaie possano retribuire meglio i loro operai. A loro un mig!iaio di li~e. meno l'?-nno non recherebbe gran danno, e per 1 lavoratori mvece sarebbe una manna del cielo, confortatrice di tanti guai. - Non creda, signora, che i gabellati di miniere la sguazzino nell'abbondanza. Sarebbe un errore: essi debbono dare quasi il venti per cento ai proprietari del sottosuolo che non arrischiano nulla, e se la godono a Palermo, a Roma ed a Parigi, come la famiglia Lippèr:i. Essi oltre a pagare le tasse quale quella di rinvenimento dello zolfo, sono costretti a mutuarsi clan 1ro con interessi non bassi dai magazzinieri, i quali sono i veri sfruttatori dell'industria. fofatti, ascolti, signora. I magazzinieri percepiscono il dieci o il dodici per cento sulle somme che ai gabelloti sborsano, donde il nome di sborsante e poi ricevono nei loro magazzini lo zolfo, per cui hann~ foto anticipi, esigendo altri diritti; e come se tutto ciò fosse poco, non caricano sui piroscafi per l'estero zolfo puro, ma vi frammischiano sabbia, fango, realizzando così favolosi guadagni credendoli i più leciti di questo mrmdo. ' - Tutti i mercanti commettono sfacciatamente imbrogli, ritenuti da loro affari onestissimi. - Dunque, non è il gabelloto il vero succhiatore del sangue dei poveri. Aggiunga che il prezzo dello zolfo si mantiene basso: un sei o sette lire al quintale, (1) che appena rimunerano l'industriale delle spese e dei rischi. E se il prezzo non è alto - e lo potrebbe essere, perchè solo in Sicilia v'è zolfo abbondante eJ utilizzabile - lo sa perchè? Perchè a Messina vi sono due o tre banchieri in corrispondenza con l'estero, i quali giuocano al ribasso, come suol dirsi. Ecco un'industria che potrebbe essere fiorente e dare ricchezza ad un intiera regione, avvilita a vantaggio di uno o due banche! - . .e, la solita camorra, direttore; non c'è. solamente nel commercio dello zolfo; v'è anche in quello della seta e del riso. I pesci grossi mangiano i piccoli, per cui la necessità di cambiare sistema economico. - Io, signora Striknel, non sono un socialista - continuò più infervorato l'ingegnere Provoni - sono un radicale convinto, un cavallottiano, amante delle larghe riforme sociali. E credo, per l'esperienza acquistata da oltre un decennio, che la questione zolfifera è veramente comrless1 e ad incominciarne la risoluzione ci vorrebbero prim1 di tutto i magazzini generali e la banca mineraria. . - E ci vorrebbe pure - soggiunse Franco - l'espropriaz10ne del sottosuolo, da affidarsi dallo stato ad una cooperativa o.bbligatoria d'industriali, che dovrebbe pagare una tas;a necessaria a rimborsare gli espropiiati. A ciò accoppiare la legge protettiva dei solfatai che godrebbero anche loro i guadagni della cooperativa. - Il tuo rimedio è troppo radicale, Franco. - E tu perchè allora, caro EJuardo, ti vanti radicale? - ·Ma radicale nou significa utopista: pria di tutto bisogna essere pratici. E dato il mio senso pratico, dico che sono già 17 undici ed è bene troncare ogni discussione, per fare cole- ~10ne. L'ho fatta _preparare frugalissima; la signora mi terrà pe1 1scusato, nella mta stanza. Se vnole accomodarsi? - Mi dispiace, signor ingegnere, di recarle disturbo. Io aveva portato la colazione per me ed il mio compagn0, signor Rosso. - Ebbene, signora, non pensi mangen mo pure la sua colazione - disse Provoni che aveva un appLtito da lupo. A colezione si continuò a scambiare qu:ilche altro accenno alla questione zolfifera ed appena sorbito il caff~, Franco fc' premura d'andare a vedere le zolfataie ove il trasporto del minerale al piano esterno era fatto sulle spalle dei carus-i. (r) Ciò si riferisce al 1892.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==