RIVISTPAOPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZ:ESOCIALI Direttore: Dr. NAPOLEONE COLAJANNI Deputato al Parlamento Esce in Roma il I 5 e il 30 d'ogni mese ITALIA: anno lire 5; semestre lire 3 - ESTERO: anno lire 7; semestre lire 4. Un nuD1.ero separato s Oent. 20 ,. AnnoV. - N. 3. Abbonamento postale Roma15Agosto1899. Som1uario Noi: Per la verità. (I Re bombardatori). LA R1v1sTA: La lezione delle cose. - La Sinistra-. On. Dr. NAPOLEONCEoLAJANNIE: migrazione e colonie italiane. Gl' insegnamenti dal Belgio. H. M. HY, OMAN : L'Inghilterra e il Transvaal. Dott. ALESSANDRGOROPPALI:Per un monumento ad Augusto Cc-mte. Prof. AGoSTJNoSAVELLI: I conflitti nazionali nel'a Monarch:a Austro-Ungarica. FELICEMoMGLIANO:Un lavacro d'idealismo. Avv. FRANCESCODE LucA: La zolfaia. 'R._ivista delle Riviste - 'l(ecensioni. PER LA VERITÀ (I RE BOMBARDATORI) • Il nostro articolo : Una volta e'era un re.... ha sollevato un vero putiferio. Al patriottismo aux abois non è parso vero di prendere questa occasione per dare addosso a chi, a suo giudizio, ne metteva in dubbio le benemerenzè ; e molti patrioti, che non hanno trovato il tempo e il modo di protestare contro i generali' Bava Beccaris e Pelloux, le cui responsabilità sono più gravi di quelle dei generc11i borbonici, hanno trovato comodo, e soprattutto prudente, d'inveire contro un re ... morto, contro i suoi generali d:!l pari morti, nonchè contro di. noi che abbiamo assunto la parziale difesa del pnmo. Intanto, a scanso di (quivoci, ricordiamo che il no:,tro accenno alla patriottica p0ltroneria non si riferisce nè al De Cesare, nè al Prof. Sansone, nè agli ultimi avanzi dei Mille - tra i quali contiamo amici carissimi - che da Milano levarono la loro protesta contro il nostro scrittarello : essi, per titoli diversi, ne a,·evano il diritto. Le nostre parole andavano invece all'indirizzo dei tanti che ci hanno regalato pa riotti~he insolenze e che hanno voluto darci lezio,1i di patriottismo, di cui non sentiamo affatto il bisogno. · A costoro ricordiamo, pur non volendo passare per patrio/ti .... del loro stampo, che abbiamo fatto sempre il nostro dovere sui campi di battaglia, e che imparammo a farlo da chi ci dette la vita, e che sofld il carcere e il lungo esilio per aver sempre combattuto i..... Borboni. Del dovere compiuto, nè dai nostri cari, nè da noi fu presentato alcun conto da saldare, come fecero tanti altri ... patriotti. A certi protestanti diciamo, inoltre, che li conosciamo troppo bene pèr averli sentiti a deplorare con pari ardore la denumda delle turpitudini innegabili dei governanti italiani e delle nostre classi dirigenti ... Questi miserabili ciarlatani avrebbero fatto meglio a tacere. * * * Ci6 premesso, non esitiamo un istante a recitare, lealmente, il nostro mea culpa per la parte nella quale errammo. Il nostro errore però non fu un errore voluto; ma soltanto parve un errore perchè non riuscimmo ad esprimere chiaramente il nostro pensiero. ~ 0n era affatto nelle nostre inttnzioni di negare il grande valore dei :Mille e, molto meno, quello dell'eroica città di Palermo. Nè coll'articolo Una volta c'era un Re... intendevamo metlere in dubbio il bombardamento di Palermo dal 27 al 30 Maggio 1860: all'aspra lotta di quei giorni, anzi, era esplicitamenle accennato. Ci pareva che su tali avvenimenti non fosse neanche possibile essere sospettati di volerne mettere in forse la realtà. Ma siamo stati non felici nelle frasi adoperate, e l'unanimità con cui furono interpetrate ci convince che il torto è nostro. Lo confessiamo, e ci crediamo abbastanza puniti dalla constatazione dell'equivoco che abbiamo fatto sorgere. L'intenzione nostra era di versa, ed in parte fu intraveduta dall'on. De Cesare e da qualche giornale, che pose dei paralleli e ne tirò alcune conclusioni pepate e. di attualità. Noi abbiamo voluto mettere in evidenza la responsabilità di Francesco II 0 nel bombardamento di Palermo, ed abbiamo inteso ricordare che si de·veal suo intervento se la rivoluzione trionfo col risparmio di un eccidio spaventevole. Sull'esito finale della lotta noi fummo più ottimisti di alcuni degli storici di parte liberale, e di qualche nostro critico. Noi, infatti, nell'incriminato arti colo, riferendoci all, armistizio, che pose fine in Palermo alle ostilità tra i borbonici da un lato, e i cittadini e i Mille dall'altro, scrivemmo: « La lotta tra i borbonici e i garibaldini avrebbe « potuto continuare. Sarebbe certamente terminata « colla vittoria dell'Eroedi Marsala e dellacittd delle
• RIPISTA POPOLAREDI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCLALl « barricatec, heloaiutavaconentusiasmo. (1) Ma molto « sangue sarebbe stato versato, e Palermo sarebbe « stata bombardata spietatamente ecc. ecc. ». (2) La J essi e \Vhite Mario, invece, dice : « Quell'armistizio fu intanto una vera fortuna « per i liberatori perchè al nemico con 8000 uo- « mini freschi, e i garibaldini affranti dalle fatiche, « facile sarebbe stata una vittoria, almeno per il « momento. » ( Garibaldie i suoitempi. Cap. XLIII). L' on. De Cesare, più esplicitamente, nella lettera in risposta al nostro articolo, indi rizzata al1' Avanti! osserya : « Se la mattina del 30 Maggio (3) quando per « l'improvviso arrivo della colonna \' on Mechel, « la quale entrata da porta di Termini, e pren- « dendo d'assalto le barricate, si era Ìmpossessata << della Fiera Vecchia, non vi fosse stato quel « primo e fatale armistizio, la rivoluzione cor- « reva pericolo di essere soffocata nella città « di Palermo. » Ora, a chi si deve se la spedizione dei Mille e Garibaldi non corsero il pericolo di terminare come la spedizione di Pisacane a Sapri ? se la strage non continuò ? se Palermo non venne incendiata e distrutta ? A Francesco n° di Borbone. Questa è la verità storica, che, dopo quarant'anni, può e dev'essere detta intera senz1 preoccupazione alcuna. La cessazione delle ostilità in Palermo era rimasto un avvenimento fortunato per la rivoluzione, ma insperato e misterioso tanto, che molti lo spiegarono col tradimento del Generale Lanza, che comandava oltre 20,000 uomini in Palermo. Ora il mistero e il tradimento scompaiono colla lettera di Francesco n°, di cui fu fatta menzione nel nostro prect:dente articolo. Il Borbone in tale lettera, portata a Palermo dal generale Letizia, duca di Montpellier, e dal colonnello Buonopane testualmente diceva : « Siccome io sono convinto che la continua- « zione delle ostilità fra le mie fedeli truppe e gli « abitanti di cotesti reali domini non potrebbe che « menare ad inutile spargimento di sangue e ri- « durre la città di Palermo un mucchio di rovine; « invio il Generale Letizia duca di Montpellier e « il colonnello Buonopane, i quali sono latori di « un progetto, che potrebbe condurre ad una so- « luzione soddisfacente ... )> E concludeva: « Vi ordino in ultimo di attenervi alle istru- « zioni che i detti miei rappresentanti vi forni- « ranno. » Aggiungiamo che i due rappresentanti del Re andarono a trattare direttamente con Garibaldi prima di recapitare la lettera al Lanza ; e ciò si rileva da un pro-memoria dello stesso generale, che presentò al Re appena arrivato in Napoli. Del prontemoria la famiglia conserva copia. (1) Leggano bene questo periodo coloro che credono che noi abbiamo voluto menomare il valore di Palermo, che per noi, invece, fu il fattore principale della liberazione. (2) È chiaro che tutta la colpa nostra sta nel non avere adoperato una frase, con cui si fosse riltvata la continuazione, oltre eh~ della lotta in genere anche del bombardamento in ispecie. E un fatte, però, che c'era l'avverbio spietatamente che non era stato certo messo a casaccio. (3) Nell'..Avanti, certamente per errore di stampa, si legge: JO Giugno. È chiaro., adunque, che la lotta e il bombardamento dei giorni 27, 28, 29 Maggio si devono al1' alter ego del re, come lo chiama il De Cesare ; e che se allo spirare del primo armistizio non furono riprese le ostilità, che sarebbtro riuscite disatrose alla rivoluzione a giudizio di molti, ciò si deve a Francesco II. 0 Ma esiste davvero questa lettera di Francesco II°, nella quale del resto viene rispecchiata l'indole mite sua assai nota? Quasi ne dubita l'on. De Cesare; l'abbiamo affermato noi. Quasi ne dubita in perfetta buona fede l'on. De Cesare perchè egli prima di pubblicare La fine di un regno) da onesto e diligente storico si condusse in Palermo., per farvi accurate ricerche; ma della medesima non gli fu fatta menzione e non potè scoprirne traccia. Ma l' on. De Cesare ritorni adesso in Palermo e vada ad interrogare l' on. Principe Pietro Lanza di Scalea deputato al Parlamento, l' on, Prof. Orlando deputato al Parlamento, l'avv. Longo professore nell'Università di Pavia e il Padre Beccaria e ne avrà confermata l' esistenza. Se ci permettiamo di rinviare l'onorevole De Cesare a tali signori egli è che vi siamo siati esplicitamente autorizzati a farlo. La loro testimonianza ci basterebbe a dimostrare la nostra completa buona fede; ma essa serve al tre sì a stabilire la verità, perchè i signori Principe di Scalea, prof. Longo e Padre Beccaria - altri nomi autorevoli potremmo citare, ma non occorron0 - hanno vista coi propri occhie letta la lettera di Francesco 2°. Superfluo aggiungere che i sullodati signori sono monarchici costituzionali di quattro cotte e che l'ultimo è anche archivista delt' Archivio di Stato in Palermo, e ben noto come autore di ricerche e di pregevoli studi storici. ( 1) * * * Qui sarebbe terminato il nostro compito; ma (1) In un lungo telegramma da Palermo al Corriere di Napoli (22 Luglio) viene C!)nfermata recisamente l'esistenza della h:ttera di Francesco II. E bene ricordare, qui che la verità in gran parte era stata detta ; ma non fu riconosciuta, perchè venne dai borbonici. In un opuscolo del sig. Giuseppe Buttà, cappellano dell'esercito borbonico, infatti si legge quanto appresso: cc Bombardare una popolosa e monumentale città, senza scopo militare, mentre avea tutti i mezzi di impedire la rivolta popolare, e l'entrata di Garibaldi a Palermo, è il maximum del delitto, dell'infamia e della pazzia. « Però Lanza non era pazzo, egli sapeva quel che faceva: col far bombardare Palermo raggiungeva lo scopo di far odiare l'innocente e tradito sovrrno. Di fatti l'esecutore di quello scellerato bombardamento fu il colonnello Briganti il quale comandava allora il forte di Castellammare, quello stesso Briganti che in Calabria mentre comandava una brigata, andava giornalmente a confabulare con Garibaldi, e che fu ucciso dai soldati, non potendo costoro sopportare un traditore troppo audace. cc••••• Io anticipo gli avvenimenti acciò si sappia da tutti che Francesco II non ordin6 punto il bombardamento di Palermo, e quando gli fu annunziato l'atroce e pazzo agire del Lanza, si mostrò oltre dire adirato e dolente, e disapprovò altamente quel bombardamento già consumato. Quel giovane sovrano per ripar,re al dmno che avea sofferto la città invece di ordinare di conquistarla insanguinandola si contentò di ritirare le truppe e di abbandonarle a Garibaldi .... « ..... Cessi dunque la meraviglia che 24 mila uomini di buonissima truppa abhaodonassero una città già conquistata, e si ritirassero in sembianza di vinti .... » ('Da Palermoa Gaeta,'.
'R.IVISTA POPOLARE DI 'POLITICA LETTERE E SCIENZE SOC1AL1 vogliamo insistere su qualche dato di fatto per rilevarne il significato. L'on. De Cesare nella citata lettera all' A·vanti ! volle ricordare, a prova della gravità della lotta e del bombardamento di Palermo, il numero dei morti e dei feriti di parte borbonica. Sicuro : quella fu una vera lotta. I Afille e i cittadini di Palermo .si brJtteronoeroicamente, tanto che uccisero4 ufficiali e 204 tra soldati e sottufficiali e ne ferirono 550. Sono le cifre date dal De Cesare. E a Milano nel I 898 ? Un solo soldato venne 1·cciso; e il Corriere della Sera (1898 N. 130) dice che non si ra se venne ucciso per arma da fuoco o per unçi caduta di comig11olsoul capo. u Di 22 soldati feriti a Milano due soli lo furono per arma da fuoco; tre da coltello ; gli altri presentano ferite lacero-contuse o semplici leggere contusioni. Le lesioni più gravi furono per rottura dei malleoli per caduta da cavallo ,.,. (Colajanni: L'Italia nel I 898, p. 79). Questi dati di fatto, per ora nes • suno li ha smemiti. Quanti i combattenti morti e feriti dalla parte dei ribelli a Milano ed a Palermo? A Milano i morti furono 80. Se per un solJato, nel 1898, sotto il governo sorto dai plebisciti, sotto il governo dell'Italia una., furono uccisi ottan·a cittadini: conservando le stesse proporzioni, a Palermo - sotto i 1 Barbo· ne, con un governo di diritto divino, che nulla doveva al popolo e che col popolo si trovava in lotta secolare - vi avrebbeso dovuto essere sedicimila sekento quaranta cittadini uccisi ... Invece non ve ne furono che circa quattrocento. E con queste cifre, per ora, crediamo Ji potere dare termine a questo doloroso confronto. (1) NOI. P. S. Mentre correggevamo le bozze di stampa ci arriva Il Corriere di Uapoli (3 Agosto) con un altra lettera dell'on. De Ce• sare. In questa si danno chiarimenti interessanti sul periodo storico in discussione. Egli afferma che ebbe notizia della lettera di Francesco II e di possederne un sunto quasi ufficiale. E allora perchè quasi negarla nella lettera all' .1wa11ti ! e in una brevissima conversazione che ebbe sul,'argomento coH'on. Colajanni nei corridoi di Montecitorio ? Da quest'ultimo scritto de1lo stesso on. De Cesare appare pienamente giustiftc,1ta la condotta del generale Lanza sull:i quale prima aveva sollevato dei dubbi. L'on. De Cesare annette molta importanza alla data della (r) Ad evitare dubbi e co:'ltestazioni sul numero dei morti di Palt:rmo aggiurgiamo questi chiarimenti. Da una relazione in data 22 G: ugno 1860 del Cav. D.r Francesco La Rosa, Deputato sanitario, al Duca della Verdura, PrLtore di Palermo, si rileva che nei vari punti della città si rinvennero 564 uccisi. Nell'elenco degli inuma,i a cura del su.ldetto La Rosa, sino al 20 Giugno gli uccisi arrivavano a 619. Accettiamo quest' ultima cifra, perchè è la più elevata. Il La Rosa dice : « I detti « cadaveri presso a poco si possono calcolare tre parti dei no- « stri e due parti tra soL!ati regi e birri. » Accettando le proporzioni dd Deputato sanitario le morti dalla parte borbonica avrebbero dovuto arrivare a circa 248 : un poco di più dei 208 riportati dJl De Cesare. La diver• geoza si può spiegare facilmente: l'ultimo non comprese tra gli uccisi di parte borbonica che i soli militari, escludendone i birri e i rnrci, cui la popolazione dette la caccia dopo la liberazione. Il D.r La Rosa infatti f.t menzione espli.ita di due birri inumati il 3 Giugno; di altri otto ir.umati il 13 Giugno. Perciò siamo stati larghi nei calcc·li pcrtando a 400 i morti di parte liberale. A Palermo dei :Mille ne forano uccisi 17 ; e in tutta la campagna, da Calatafimi al Volturno, le perdite dei Mille arrivarono a 78 come si rileva da1l'elenco dato dal Supplt:- mento al N. 266 della Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia del 12 Novembre 1878. lettera; e l'ha certamente. Pare a noi, però, che la data non modifica il giudizio sul contegno di Francesco II; confessa egli stesso che se Buonopane indusse il generale Lanza al secondo armistizio ciò fece promettendogli di portargli da Napoli una lettera del Re che avrebbe contenuto l'esplicita approvazione. In quanto ai moventi che e' indussero a questa osservazione ed a1 confronti che crede sbagliati, siamo dolenti - assai dolenti - di non porterei esprimere più chiaramente. Ecco qua: l'on. Dè Cesare ci ottenga una specie di lasciapassare dal suo amico generale Pelloux e lo contenteremo. Gli promettiamo anche che non abuseremo della libertà di scrivere che ci verrà concessa per una volta sola ! Noi. LA LEZIONE DELLE COSE I. La Sinistra Gli avvenimenti, che non si svolgono, ma pre• cipitano quasi dappertutto, molte cose hanno inse• gnato ai partiti politici, che si credono o sono sinceramente liberali ed agli altri più avanzati, e in particolarità ai socialisti. Cominciamo dalla sinistra costituzionale. Non vogliamo farne la storia; per l'occasione basta ricordarè che nel suo seno c'erano patriotti veri, uomini di alta mente e di vasta cultura frammischiati ad alcuni parvenus della politica, che si rivelarono i più inframmettenti e i più arditi. Un certo dottrinarismo alla Guizot o alla Frère-Orban la rendeva disadatta, quasi uggiosa, ai tempi presenti, coi loro problemi complessi e ardenti ; le nuoceva sopratutto la mancan:r.a di pratica al govern0, da cui era stata tenuta lontana, con tutte le mali arti dalla destra, per lunghi anni. Lontana dal governo in essa si erano svegliate tutte le concupiscenze immaginabili ; perciò quando ebbe il potere nelle mani ne usò ed abusò indegnamente con tutta la voluttà di chi finalmente possiede una bella fanciulla da lungo tempo vagheggiata t! che perviene tra le sue braccia nella senilità - quando la paura di non poterne godere che per breve tempo, fa ricorrere ad artifici innaturali, che affrettano l'esaurimento. Noi non dobbiamo farne il processo; nè vogliamo sottoporre ad esame l'azione legislativa sua, che fu discretamente buona, ma che fu resa pessima dal contrasto quotidiano tra le opere e le promesse, tra le teorie e la pratica. Alla sinistra nocque maggiormente la cecità sua nell'imitare, nel ripetere gli errori e gli abusi della destra, che all'opposizione aveva eloquentemente denunziati, e severamente biasimati. In fatto di pubbliche libertà, di applicazione e di esplicazione deJlo Statuto, prima e durante il trasformismo - fatta eccezione, e non complet::i, del breve periodo del Ministero Cairoli-Zanardelli - i dottrinari di sinistra, forse per ismentire l'origine o la nomea rivoluzionaria , per dare sicuro (affidamento di devozione alle istituzioni, si chiarirono peggiori degli uomini di destra. Gli Stati di assedio, i processi mostruosi, i Tribunali militari, gli arresti preventivi, i D;::creti-legge ecc. ecc. sotto il governo dei cosidetti democratici divennero cos2 normale. Con ciò, mentre nelle masse ingeneravasi un deleterio scetticismo perchè si perdeva ogni fiducia nelle promesse e nei programmi dei deputati, che
44 RIP'ISTA POPOLAREDI 'POLITICALETTERE E SCIENZE SOC1AL1 parlavano dai banchi della opposizione, veniva meno la stessa ragione storica e politica di una distinzione tra desi'ra e sinistra. Il pubblico giudicava, anzi, preferibile la prima; tanto più che le riforme economiche e trib·1tarie della seconda, o non vennero, o furono controbilanciate·da altri provvedimenti antagonistici. L'azione politica della sinistra, inquinata dal trasformismo, potè, quindi, considerarsi come un suiddio. Ed essa stessa se ne accorse nel momento in cui un caporalaccio brutale trasmise il potere alla de.tra, senza che ce ne fosse la indicazione parlamentare; ed essa che ogni sua opera aveva posto nel dare affidamenti di loyalism, di fedeltà alle istituzioni, si vide quasi confusa coi sovversivi pericolosi ed alla loro stregua considerata e trattata. Venne il giorno della resipiscenza e della protesta, cui la sinistra fu costretta dalla burbanza e dalla ignoranza caratteristica dei militari, che assumono nelle loro mani i poteri civili. Non riassumiamo i discorsi degli on. Zanardtlli, Bonacci, Colombo, Di Rudinì, Gallo e Fortis, pro- . nunziati nella memorabile seduta del 28 giugno, perchè i nostri lettori nella maggior parte li conoscono integralmente : Ii abbiamo riprodotti nel N. 24 dell'anno IV;ma le affermazioni degli on. Bl:'anca e Nocito furono tipiche e danno la misura vera dell'atto compiuto dal generale Pelloux., delle conseguenze legittime e logiche che, presto o tardi potrà avere, e della impressione che esso suscitò nella sinistra, e nella parte più sana e più preveggente della destra che vuol essere conservatrice, non reazionaria. Noi non dubitiamo menomamente ddla sincerità della esplos10ne di sdegno e di fierezza negli onorevoli Zanardelli, Bonacci ecc. ecc., ma sarebbe vano il negare - e lo abbiamo sentito riconoscere lealmente da qualche autorevole loro amico e collega di ministero - che l'efficacia della loro riscossa veniva menomata, nella Camera e nel paese, dal ricordo doloroso di tante altre violazioni dello Statuto commesse da coloro, che si scandalizzarono ed insorsero contro il Decreto non legge del 22 Giugno, andato in vigore il 20 Luglio 1899. Gl'iro• nici sorrisi e le esclamazioni di meraviglia dei loro avversari dovettero riuscire amarissimi a coloro che, dimentichi delle tradizioni e dei principi sostenuti per tanti anni dai loro banchi, venivano chiamati complici del generale Pelloux, ed ai quali, perciò, non accordavasi il diritto di farla da accusatori. Questa situazione penosa per i maggiori uomini della sinistra conteneva in sè stessa la punizioqe degli errori-commessi, e dà la ragione della maggiore, se non esclusiva, popolarità che venne alla estrema dalla campagna contro la violenza e contro la illegalità; campagna che le assicurò le simpatie anche di alcuni suoi abituali denigratori; e spieg2 ancora questo caso strano : il giorno 28 Giugno il silenzio religioso dell'estrema suscita maggiore ammirazione che la eloquenza calda dei più autorevoli rappresentanti della sinistra I Così doveva essere per mot1v1 numerosi, che s'intuiscono e che non c'è bisogno di esporre. Ma la sinistra stremata di forze per colpa propria, quasi• ferita a morte dalle sue stesse mani, potrà risorgere e riprendere un azione salutare pel paese e di riabilitazione per sè stessa ? Chi ama le soluzioni catastrofiche; e chi crede nella possibilità e nella imminenza delle medesime non desidera e non crede possibile l'avvenimento; . il desiderio e la convinzione cerca suffragare con la consratazione di alcuni sintomi più o meno im · portanti, più o meno bene interpretati. Escludendo la possibilità dell'avvenimento si riesce alla raffiguré\zione di una lotta semplificata tra la reazione da un lato, tra i partiti popolari dall'altro. Noi, sinceri ed antichi partigiani del metodo evolutivo, che crediamo più sicuro e più benefico nei suoi risultati, non esitiamo a ripetere ciò che abbiamo sempre detto nelle nostre polemiche sulla possibilità di un estrema al governo, nei suoi membri che hanno le attitudini e l'ambizione di assumere la responsabilità del potere; noi, dunque, ripetiamo che i nostri auguri e le nostre preferenze sono per la creazione di una situazione che, svolgendosi normalmente, possa ricondurre la sinistra al governo rifatta di energia e di contenuto politico e morale. Aggiungiamo, però, che ci6 che crediamo desiderabile non lo· riteniamo del pari molto facile e probabile. Una sinistra al governo, rinvigorita dall'ala destra dell'estrema, non ci pare probabile e vicina per quelle ragioni che abbiamo esposto più -volte qui stesso, che ora non è più lecito esporre, e che si residuano nella differenza enunziata dal1' on. ColaJanni alla Camera tra le condizioni delìa monarchia in Inghilterra e in Italia. La soluzione violenta, preceduta forse da un lungo periodo di reazione stolta e furiosa, ci sembra che possa prevalere benchè non sia nè desiderata, nè desiderabile~ a nostro avviso. Essa potrà anche imporsi ai più sinceri monarchici costituzionali, cui stiano a cuore la libertà e il regime rappresentativo più che gl'interessi dinastici. Intanto è bene che a questa ipotesi non si ac cardi un valore superiore a quello che essa ha intrinsicamente, e che da un lato non vengano messi in dispartt: i precedenti storici passati, e dall'altro non vengano malamente interpretati i fenomeni presenti, che devono somministrare ele- ~enti nel tentativo di prevedere il futuro prossimo. Cominciamo da questi ultimi. Alcuni repubblicani e moltissimi socialisti giudicano morta e sepolta la sinistra; e siccome nella medesima scorgono un ostacolo alla semplificazione della situazione e della lotta se ne compiacciono vivamente e pregustano gli avvenimenti, che devono condurre alla realizzazione delle loro aspirazioni - che sono in gran parte anche le nostre, non dissentendo da loro che nel metodo. Sembra a noi che questi repubblicani e socialisti semplicisti, ardenti ed ottimisti, s'ingannino nella valutazione dei fenomeni: lo dimostreremo ampiamente nell'altro articolo in cui discorreremo delle condizioni reali del paese e del significato vero delle
RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALl 45 sue ultime manifestazioni. Da questo errore d'interpretazione, in gran parte derivato dalla visione dei fatti attraverso a lenti d'ingrandimento, che in pari tempo riescono al daltonismc., radicale. L'ingrandimento e il daltonismo fanno dimenticare gli elementi della sana logica. Ond' è che Filippo Turati giustamente ha rirnbeccato il Bonomi che, precisamente nelle elezioni di Brescia e nel trionfo dei clerico-moderati, scorgeva i segni della morte della sinistra; lo stesso accanimento che i clericali e i moderati hanno messo nel combattere i liberali costituzionali a Brescia ed a Venezia; i propositi attribuiti al generale Pelloux di voler combattere con pari ardore gli amici di Zanardelli e i scvversivi direbbero che la sinistra è, e si ritenga cosa viva nelle sfere politiche nelle quali si ha maggiore interesse e si possiedono i dati opportuni per giudicare della vita e della morte dei partiti. I Maramaldi collettivi non sono possibili. I semplicisti dei partiti popolari non si limitano, per effetto di auto-suggestionamento, ad ingrandire i fenomeni e a valutarli erroneamente; ma negano addirittura l'evidenza storica per comodita delle loro previsioni. Ad esempio : afferma il Bonomi nella Critica Sociale ( r Agosto) che riforme serie politiche ed economiche nell'orbita delle presenti istituzioni non sono possibili per motivi, che vennero efficacemente combattuti da Turati. Il quale gli ha dimostrato che se fossero vere le premesse del primo sulle condizioni intrinseche del paese, poco o nulla ci sarebbe da sperare anche col mutamento· della forma di governo. Si deve aggiungere che in Inghilterra con istituzioni analoghe alle italiane si sono compiute riforwe politiche ed economiche, che ancora sono un desiderio presso qualche repubblica, per ragioni storiche eccezionali. Alludiamo alla Francia. Nè vale di più l'altra analoga asserzione sulla impossibilità per la sinistra di venire ad alleanza coi partiti popolari. Questa alleanza s'impone in quanto mira alla difesa Ji P.rincipi vitali comuni; quest'alleanza fu un fatto nel 1894, e s'impose a tutti nella Sala 7\_ossa per motivi d'indole morale e costituzionale; quest'alleanza tacita, ma non perciò meno reale, s'impose ed è stata un fatto durante l'ostruzionismo, e specialmente nelle sedute memorabili del 28 e 30 Giugno. È stata tanto reale che a destra se ne valgono per discreditare la sinitra e ?i~ingerla io alto come un'appendice dei sovvers1m. In Inghilterra, poi, - lo ripetiamo per la ventesima volta, facendo sempre le debite riserve sulla differenza delle condizioni storiche col nostro paese - i repubblicani Stansfield, Dilke, e i radicali Morlt y, Forster, ecc., e il Chamberlain - prima della defezione che lo lasciò sul campo conservatore imperialista-repubbìic:mo e socialistoide - furono i più preziosi alleati e cooperatori di G.ladstone di Harcourt, di Hartingthon ecc. ' L'esempio inglese inseg □ a a'.tresì che l'alleanza potrebbe non essere semplicemente transitoria e limitata alla difesa del supremo principio costituzionale; ma durare ancora e svolgersi efficacemente durante il normale lavoro legislativo. E giacchè siamo in Inghilterra restiamoci ancora per poco per ricordare che ivi, ora è più un secolo, i partiti tutti - liberali e conservatori, whighs repubblicaneggianti e tories - si disonorarono, perdurando nell'abbiezione per circa mezzo secolo ... e non morirono! Perchè sarebbe condannata a morte la sinistra, per gli errori di alcuni suoi uomini e per circa venticinque anni di mala vita, che non fu vita e responsabilità politica tutta sua, esclusivamente sua? La sinistra, adunque, potrà vivere se in sè stessa conterrà le ragioni della vita; e quanti amano il metodo evolutivo e credono che con un mutamento rapido nell' ordinamento dello Stato il guadagno sostanziale, ora come ora, sar~bbe scarso ed insicuro giudicheranno rettamente, che la sinistra ha ancora una funzione alta da compiere servendo di cuscinetto tra chi vuole rapidamente andare innanzi e chi vuole star fermo o tornare indietro; questa sua funzione si svolgerebbe a benefizio di una sana evoluzione progressiva. Filippo Turati, nell'accennata risposta al Boq.omi a proposito della possibilità della continuazione della vita o della risurrezione, come altri vorrebbe chiamarla, della sinistra, opportunamente scrive: « Non « dimentichiamo che sono le situazioni che deter- « minano l' opera dei partiti. La storia è là per « ammonirci quante volte d'improvviso, circostanze « nuove raddoppiarono o paralizzarono le forze di « un partito, gl'imposero magari (la sinistra ne fu « anch'essa esempio) una direzione opposta a quella « che sembrava indicata dalla tradizione e dalla « bandiera. Nè quest' ultimo sarebbe ora il ·caso. (( Si tratterebbe al contrario di vedere un partito, « che si vantò sempre liberale, che lo fu qualche « volta, esserlo ora per davvero, con più esprit de « suite e con un po' più di energia ». Non manca la situazione nuova che somministra alla sinistra la opportunità di riaffermarsi e di vivere bene: l'ha creata il generale Pelloux collo spingere all'estremo limite la violazione dello Statuto e di quello che per tanti anni fu il vangelo della sinistra; gliela porge, creandole una specie di imperativo categorico, questo governo liberticida iniziando la persecuzione degli uomini che tengo110 fede alla Costituzione. Non v'è dubbio; la situazjone politica pone alla sinistra questo dilemma: o suicidarsi o vivere riformandosi e ritemprandosi nella lotta. Ma per vivere e bene., parecchie cose ci sembrano indispensabili - assolutamente indispensabili: · r .0 Occorre che essa abbia chiara e precisa la visione del momento, che attraversiamo; e chiarissima, tra gli altri, pare che l' abbia - piaccia o non piaccia a coloro, che non credono nella. riabilitazione politica - l' on. Giolitti. 2. 0 Essa deve assicurarsi, entro la misura consentita dalla diversita degli obbiettivi finali, il con-
RIYISTA POPOLARE 'DI 'POLITICA LETTERE E SCIENZE SOL\ALl corso e l' alleanza dei partiti popolari, e partico · .larmente dei legali•ari. Non potrà averla sino a quando con coraggio e con franchezza non confesserà la realtà e la convenienza di tale concorso. Bisogna che la sinistra cessi di agire coli' Estrema come quelli ipocriti che ricercano i godimem:i di una donna, ma non vogliono farli conoscere, e si vergognano di andare a passeggio sotto il braccio di colei che accarezzano di nascosto. Sinora tali sono stati i rapporti tra i due partiti politici. E' questo un punto difficile, se non il più difficile: superare il bigottismo di molti uomini di . sinistra dimentichi del consiglio di Baccarini. Ma si è sulla buona via. Ed a sperare che la si voglia percorrere sino in fondo induce un articolo della Stampa di Torino (26 Luglio 1899), in cui si preconizza l'alleanza per la formazionedi un partito popolare. Vero è che tale alleanza dovrebbe essere transitoria e limitata alla sola difesa del' a Costituzione; ma d'altra parte non si può dimenticare che la vecchia Gazzettapilmontese rappresenta la gradazione meno avanzata della sinistra. 3.0 Per superare questo punto, però, è necessario che tutto l'indirizzo deila sinistra come partito di governo subisca delle radicali modificazioni. I suoi uomini dovrebbero mostrarsi prima italiani e liberali; poi dinastici; dovrebbero combattere più per la difesa e per l' attuazione di un programma che per la conquista di un portafoglio; dovrebbero saper disprezzare le maligne insinuazioni degli avversari, che cominciano già - al Nord e al Sud, nella Perseveranza e nel Corrieredi Napoli - a designarli quali pericolosi alleati dei sovversivi. Combattendo tale direttiva dovrebbero nelle crisi preoccuparsi delle indicazioni del Parlamento e non subire le soluzioni preparate nelle alcove. 4·0 Questa coraggiosa condotta riuscirebhe efficacissima in basso qualora venisse completata da un programma concreto di riforme economiche e politiche a breve scadenza e d'immediata realizzazione - programma, che lasciasse da parte il vecchio dottrinarismo per assumere:un contenuto nuovo, consono ai bisogni, alle tendenze dei tempi moderni. 5.0 Un'ultima indicazione di minore importanza, ma non del tutto inutile, che si riferisce alle persone. Molti si dicono di sinistra, ma sui banchi relativi stanno a disagio; provvederebbero meglio alla loro dignità e alla sincérità del regime rappresentativo se pa5sassero in altro campo. Epurata e rinnovata la sinistra, d'altra parte, viene spontanea ìa domanda: che stanno a fare a destra gli on. Di Rudinì, Giusso, Farina Emilio e qualche altro) che sono spesso costretti a votare contro i loro amici e che non di rado devono ricorrere all'indecoroso squagliamento posti nel bivio di votare contro la propria coscienza o contro il proprio partito? La simpatia tra l' on. Di Rudini e Felice Cavallotti non fu soltanto accidentale. E' bene ricordarlo. * * * Perchè si rinnovi e viva la sinistra è necessario che i suoi uomini migliori abbiano coraggio, in~elligenza, rettitudine, perseveranza. Pel successo, però, le virtù de! membri del partito non bastano: vi è indispensabile il concorso di altri fattori poderosi in qpa monarçhia çosiituzionale, Sè vplessimQ gisç1,1• tere del probabile atteggiamento di questi altri fattori il Fisco con sicurezza c'imporrebbe silenzio; e noi non abbiamo alcun desiderio di farlo intervenire nella discussione. Ma se mancasse questo concorso è prevedib le che gli uomini migliori della sinistra andrebbero assai più in là del punto dove vorrebbero pervenire. La difesa della legalità spesso trascina - proprio per legittima difesa - alle maggiori vio · lenze. Chi non sa che Hampden e tutti i protagonisti della lotta contro Carlo· I erano monarchici sinceri e convinti? e non lo erano del pari coloro che cacciaròno dal trono Giacomo II? Ad ogni m(Jdo noi evoluzionisti di antica data non esitiamo a concludere che ci auguriamo di gran cuore che non tutti i consiglieri della Corona rassomiglino a questo incosciente generale Pelloux, e che se ne trovino di quelli, cui non sia ignoto il rnonitò dato da Adolfo Thiers alla vigilia di Sedan: le monarchienel continenteeuropeooramai non hanno che una sola condizionep·r vivere:esseresinr.eramen.'ecostituzionali. LA RIVISTA. ~ GLI'NSEGNAMENTI DALBELGIO Dal penultimo numero dell'eccellente :JvCouvemesnotcialiste riportiamo quasi integralmente un articolo di Emilio Vandervelde sulla situazione politica nel Belgio. Noi lo raccomandiamo vivamente, ai nostri lettori per gl'insegnamenti che scaturiscono spontanei e che completano ciò che abbiamo scritto nella Lezione delle cose ; lo raccomandiamo agli intransigenti e lo raccomandi_amo. sopratutto agli illusi, ai visionari, che con ~rna ~1tuaz10n~ tanto diversa e con forze tanto sproporz1onat1 e mezzi tanto disuguali verrebbero ottenere in Italia gli stessi risultati, che i partiti popolari ottennei:o ,nel_Belgio.. Il simpatico e dotto autore delle Gitta piovre scnve: I clericali al potere dopo il 1884 dispongono alla Camera di una maggioranza formidabile: I 12 voti contro 40 ( r 2 radicali, 28 socialisti). Essi devono questa maggioranza, che non risponde alla loro forza reale nel paese, a due cause principali: l'ingiustizia del voto plurimo e la paura del _socialis1;110. L'ingi~stizia. del 1:otoplurimo : il voto doppio o triplo non giova che a1 conservatori ed alle campagne, che formano i grossi battaglioni dei clericali. La paura del socialismo: nelle elezioni del 1896 e del 1898 i clericali sarebbero stati battuti se nei ballottaggi i liberali seguendo, il loro istinto borghese, non avessero votato contro i socialisti. Molti avvenimenti da allora in poi mutarono la situazione, e tutto induceva a ritenere che alle elezioni del r 900 i clericali sarebbero stati battuti dalle opposizioni coalizzate. I clericali videro il pericolo e presentarono il disegno di riforma elettorale, che stabiliva la rappresentazione proporzionale nei collegi che eleggono almeno sei deputati e conservava il sistema della maggioranza negli altri collegi. Con ciò si neutralizzavano le città liberali o socialiste - in guisa che Bruxelles avrebbe dati 9 clericali contro 9 liberali e socialisti - e si conservava la maggioranza clericale nei collegi rurali. Con questo progetto, che mirava a consolidare il governo clericale e che godeva del favore del re, a giudizio di Waèste - un ex ministro cattolico! - si falsava l'organizzazione dei poteri pubblici nella loro essenza e le popolazioni non avrebbero potuto più avere alcuna fiducia in essi. L'indignazione sollevata fu immensa. Le sinistre della Camera e del Senato decisero di combatterlo vigorosamçnte e di dimettersi ~e il governo si ostipasse a farlo
'R..IVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALl 47 votare prima delle elezioni prossime. Le speranze di successo coll'azione parlamentare erano scarse ; allora cominciò l'agitazione e la protesta nel paese. La prima campagna di meetings organizzata dalla Lega del suffragio universale preparò il terreno; ma la vera lotta cominciò quando vi prese parte il Partito operaio. In Parlamento si ricorse ali' ostruzionismo ; nelle strade alla sommossa ; la polizia col suo intervento brutale esasperò la popolazione. Questa lotta durò una settimana ; alla fine della quale Van den Peereboom capitolò e il suo progetto fu inviato ad una Commissione. Le ,onseguenze politiche e morali del fatto sono considerevoli. Probabilmente le elezioni prossime si faranno col regime dello statu quo ; ed è del pari probabile che liberali, cristiani democratici e socialisti si coalizzano col suffragio universale per piattaforma. Aderendo a questo programma il Partito operaio non discutera il terreno della lotta di classe, perchè la ragione di essere della coalizione sarà la conquista del suffragio universale, dello strumento indispe~sabile al proletariato per impadronirsi dti poteri pubblici. Del resto la coalizione non può riuscire ora pericolosa al partito socialista ch'è sviluppato e cosciente e costituirebbe la spina dors .le del medesimo. Si aggiunga che bisogna avere sentito per quindici anni il giogo del partito clericale per comprendere quanto debba essere vivo il desiderio di scuoterlo. Uguale desiderio e per gli stessi motivi c'è nei liberali e nei democratici cristiani dell'abate Daens - chiamati socialisti verdi. Le conseguenze morali non sono minori. 1 ° Gli avvenimenti ultimi hanno dato la misura della forza del partito socialista ; è oramai assodato che i tentativi reazionari del potere verranno a rompersi contro la zona della sua organizzazione ; la Casa del popolo non è soltanto una fabbrica o un magazzino : è una fortezza della Iivoluzione. 2° 11 governo avrà appreso ch'esso non può più contare, in un modo assoluto, sulla forza delle b jo• nette: l'armata è stata attaccata dalla propaganda socialista. I sindaci conservatori di Liegi, di Bruxelles e di Anversa dichiararono al Re che la polizia e i gendarmi erano impotenti a dominare la situazione, e che l' intervento della truppa sarebbe stato il segnale della rivoluzione. 3 ° Il Parlamentarismo, contro il quale tanto si declama, è stato assai utile: senza l'immunità parlamentare e senza l'assoluta libe1tà della parola, senza i benefizi delle conquiste di molti secoli di lotta, è probabilissimo che il movimento non si sarebbe prodotto o che esso sarebbe stato schiacciato. La sommossa nel Parlamento ha provocato la sommossa nella strada. L' 05/ruzionismo parlamenta re arrestando la macchina legislativa, nel momento in cui l'insurrezione minacciava, ha paralizzato l'azione del governc. Non si mancò di gridare allo scandalo e la gente che fa il bel tempo si è virtuosamente indignata contro i deputati socialisti che non indietreggiano dinanzi ad alcun mezzo, uniscono l'azione alla parola, introducono la rivoluzione nell\miciclo, cantan.1 sonore Marsigliesi sotto il naso del presidente e guadagnano battaglie parlamentari contrariamente a tutte le regole, invece di perderle conformemente a tutte le tradizioni. È la fine del parlamentarismo, dicono. Non si rivedranno più quelle assemblee pacifiche, quei consigli di amministrazione delle classe dominante, alternativamente diretti da due partiti storici fo, temente uniti dalla comunità degli interessi essenzfali, separati soltanto da bizze o tutto al più da disaccordi su quistioni primordiali. Ora che due classi sono in prrsenza - nel Parlamento come nel Senato - con educazione di credenze, di abitudini di linguaggio, di interessi diametralmente opposti, è naturale che si producano urti, e quasi inevitabile che nei giorni di crisi il minatore Cavrot venga alle mani col signor Conte di Merode, principe di Rubembié. Il Parlamento non è insomma che « lo specchio della nazione, » il cinetoscopio dei grandi movimenti popolari. Quando la borghesia regnava, senza contrasti, la sua superficie non rifletteva che superficiali agitazioni. Essa riflette oggidì le violenti tempeste della lotta di classe. E certo, durante le memorabili sedute della settimana ultima, i deputati clericali hanno dovuto comprendere che perdono terreno, e che il proletariato comincia ad essere in casa sua nel Palazzo della Nazione. Essi 'hanno sentito che i rudi compagni della democrazia socialistica rappresentano una forza che dominerà bentosto tutte le altre forze, e quando dall' alto dei balconi noi arringhiamo la folla, ardente e disciplinata, più d'uno, senza dubbio, ha avuta la visione di tempi prossimi nei quali naufragherà la loro dominazione di classe, fra le acclamazioni di gioia dei lavoratori liberati. Per cambiamenti d'indirizzo, od altro che riguardi l'amministrazione della Rivista, dirigersi al sig. FILIPPO GAUTTIERI - Via della Vite N. 74, Roma. EMIGRAZIONE E COLONIE ITALIANE Appena distribuita ai deputati la relazione dell'on. Pantano sul disegno di legge per l'emigrazione si ebbe tale coro di lodi nelle riviste e nei giornali politici che mai si era veduto l'uguale per un documento ufficiale. Solo la Rivista Popolare tacque. Tacque di proposito perchè a me che col Pantano conservo da circa 35 anni rapporti fraterni piaceva che dell'opera sua ne scrivesse chi non poteva essere sospettato di essere trascinato dall'amicizia grande a largheggiare nell'ammirazione ; perciò pregai che se ne occupasse persona d' incontestata competenza che promisemi formalmente uno studio. Colla chiusura della sessione - provvedimento degno della sapienza politica ddl'on. Pelloux - quel disegno di legge cadde come tutti gli altri ; ma verrà indubbiamente ripreso: il problema dell'emigrazione s'impoue allo studio dei governanti italiani, per quanto essi siano inetti sino all'inverosimile. E alla ripresentazione del progetto i lettori della (l{_ivista avranno l'articolo sulla emigrazione del Prof. F. S. Nitti, eh' è lo scrittore, cui mi ero rivolto. Intanto il problema rimane in tutta la sua importanza, e può e deve essere Jiscusso in tutti i suoi lati nel paese, che a risolverlo può e deve contribuire molto anche al di fuori della sfera di azione governativa e legislativa. Un contributo notevole a tale discussione porta un libro di Luigi Einaudi, uno dei più valorosi giovani insegnanti usciti dalla scuola di economia politica del Prof. Cognetti de Ma~tiis, che sotto il titolo un poco romanzesco, ha un contenuto po~itivo interessantissimo di vera attualità ( 1). Di questo libro già pubblicammo nel N. 21 Anno IV un importante estratto favo_ritoci dall'A. Il principe mercante di cui si occupa l'Einaudi non è che l'industriale-commerciante Enrico Ddl' Acqua di Busto Arsizio, ch'egli ccnsidera, non senza buone ragioni, come uno dei capitani dell'industria descritti dal Bagehot che « pensano in un oscuro ufficio, computando i prezzi dei fucili e dd filati e che hanno molta scienza intellettuale e molta cognizione acquisita di bisogni strani e dei modi di produrre cose atte a soddisfare bisogni strani ». Ha consacrato lo scrittore un buon libro ad un uomo nell'intento nobilissimo che le « pagine da lui scritte (I) Un principe mercante. Studio sulla espansionecolonialeitaliana. Torino, Fratelli Bocca 1900. Lire 6.
RIVIST À POPOLARE 'DI POLITICA LET'I ERE E SCIENZE SOClALI siano non inutile ammaestramento alle classi governanti e dirigc::nti d'Italia. Soprattutto a queste. Il nostro paese ha bisogno che i possessori del capitale non ozino, contenti del quattro per cento fornito dai titoli di consolidato o dai fitti terrieri, garantiti dal dazio sul grano, ma si avventurino in intraprese utili a loro ed alla nazione intera. Il paese ha bisogno che le classi dirigenti non continuino ad avviare i loro figli alle carriere professionali e burocratiche già ingombre di aspiranti insoddisfatti, ma li avvicini alla fortuna sulla via delle industrie e dei commerci » • Con ciò non si creda che H nostro autore sia tra coloro, che tutto attendano dalla iniziativa privata e assolvano le classi governanti da ogni responsabilità; egli invece esprime esplicitamente il desiderio che « l'opinio- . ne pubblica imponga ai Governo di agire prontamente e praticamente a tutela della nostra emigrazione; e deplora la cecità e la trascuranza con cui i nostri governanti, occupati in controversie diplomatiche astruse relativamente a paesi in cui gl'Italiani non hanno possibilità di espandersi ed in avventure militari nei porti cinesi, abbandonino compiu1 amente al caso le nostre colonie spontanee ». ~ * * Per quanto al Principe mercante, il Dell'Acqua, alle sue peripezie, al suo meritato trionfo sia fatta una parte bella nel libro - e il titolo l'imponeva - pure, in fondo, il self made men non è che un pretesto seducente; l'obbiettivo vero è l'emigraiione italiana nell'America latina e specialmente sulle rive del Plata e nella repubblica del Brasile, che l' Einaudi studia con inttlletto d'amore e con metodo eccellente. Ogni tipo di emigrante italiano : il marinaio, il colono, il fabbro e l'industriale meccanico, l'artigiano e il fabbricante, il muratore e l'architetto, il mercante etc. viene esaminato a parte ; e per ogni categoria di emigranti trova modo di ricordare gl'italiani, che si sono fatti onore e che hanno fatto fortuna nell'America latina ( 1). In appendice sono raccolte pare ccl ie monografie di diversi scrittori sulle varie provincie della repubblica Argentina, sul Paraguay 1 sul Brasile, sulle repubbliche del Venezuela, Coloro bia, Centro America, Equatore, Perù e ChiH, che costituiscono una vera guida utilissima non solo per gli emigranti, ma anche per gl'industriali e commercianti italiani. Quale importanza abbia l'emigrazione italiana nel1' America latina si apprende dalle vicende di quella che dal 1857 al 1898 si è diretta nell'Argentina, ch'e di ol-- tre un milione; ciò che fa ritenere con molta approssimazione al vero, tenendo conto dei ritorni e delle nascite, che attualmente la colonia nostra non possa comprendere meno di un milione d'individui, che rappresentano la forza produttiva principale della repubblica. Ciò eh' è stato constatato da un rapporto del console francese Charles Wiener al suo govern0, dal quale si rileva la grande invadenza dei nostri connazionali, che hanno in mano la colonizzazione. * * * L'Einaudi in un quadro chiarissimo mette in evidenza le oscillazioni della nostra emigrazione rispondenti a quelle delle vicende economiche e politiche del1'Argentina; rapporto che si riscontra pure presso gli altri Stati americani. Dell'emigrazione nostra rileva i caratteri differenziali con quella degli inglesi e dei tedeschi, che fornisce il (1) Colgo assai volentieri questa occasione per mandare un saluto a Goffredo C.ippello, con cui - io da medico, lui da ufficiale di bordo - feci un viaggio nella repubblica Argentina nel I 87 I. L'amico carissimo, lasciato l'elemento infido cui l'aveva deJ.1cato il padre, vecchio lupo di mare, si ritirò a Rosario di Santa Fè dove è uno degli _italiani,che ha fatto fortuna colla coltivazione della terra. E a capo di µpa prospera ç9lo~ia, lavoro scelto - skilled - i sovrastanti, i colonizzatori, i piantatori, i capitani dell'esercito industriale, i capitalisti ; mentre la prima, in compagnia di quella russa ed irlandese, non somministra che il lavoro comune - unskilled -. Si conforta, però, che siamo già penenuti al periodo di trasformazione e che si scorgano i segni precursori di un notevole miglioramento. Forse è troppo ottimista affermando ch'è iniziata l'emigrazione dei capitali oltre quella degli uomini ; ad ogni modo questo esodo rimarrebbe sempre eccezionale, tanto che nelle ferrovie, prodotto del lavoro manuale italiano, riconosce che la parte degli italiani nella proprietà e nulla ed è scarsissima nella direzione. Con soverchio orgoglio pure asserisce che « laggiu, sulle rive del Plata, nelle pianure della Pampa e negli stati del Brasile non si può lanciare contro gl'italiani l'accusa sanguinosa di essere i Cinesi di Europa. Nell'America meridionalt gl' italiani adempiono alla medesima funzione sociale che altrove e compiuta dagli inglesi. E mentre gl'inglesi colonizzare• no immensi territori colla virtù di un capitale copioso ed a buon mercato, e di un ceto operaio abile e ben nutrito, gl'italiani colonizzarono l'Argentina giovandosi del capitale inglese dapprima, e costituendo poi lentamente capitali propri col risparmio tenace e colla laboriosità ostinata ». Qut c'è del vero; ma la spiegazione della condizione degli italiani nell'America Meridionale, che non si rende comparabile coi Cinesi è incompleta. Certamente a nessuno può venire in mente di negare le eccellenti qualità delle nostn-: colonie sud-americane ; e chi scrive vi conta amici affettuosi, colti, attivi, onesti, che fanno davvero onore alla patria. In massa poi i nostri emigranti vi sarebbero più stimati, raccoglierebbero più copiosi i frutti della loro attività e forse riesdrebbero anche più utili all'Italia, se vi prendessero stabile dimora e vi esercitassero i diritti politici. Ciò che non ho esitato a consigliare a parecchi, che chiesero il mio parere. Però, se i nostri connazionali nell'America latina non suscitano la ripugnanza che altrove destano e non vengono considerati come i Cinesi di Europa, ciò si deve alla grande loro prevalenza numerica ; possono farsi concorrenza tra loro nel lavoro, ma non lo fanno ad operai di altre nazionalità e con uno standard of life più elevato, che li ricambiano del danno economico subito con un odio intenso, che talvolta produce esplosioni seivagge. Fermiamoci su pochi :iltri punti interessanti della nostra emigrazione colonizzatrice nell'America latina. Scrive opportunamente l' Einaudi : « I rapporti coli' America latina costituiscono il problema internazionale pi□ grande dell' Italia contemporanea. Fra qualche decennio i nostri connazionali sommeranP-o a decine di milioni; e sarebbe doloroso se tutta questa popolazione venisse per sempre perduta all'idea della nazionalità italiana. Il pericolo che fra mezzo secolo il continente sudamericano, che potrebbe essere italianizzato, venga invece abitato da un popolo di lingua spagnuola. dimentico delle sue origini italiane, non è un pericolo chimerico. Se si pensa che il legame più tenace colla madre· patria è la lingua, che molti emigranti partono dall'Italia senza mai aver imparato a parlare l' italfano, e che i loro figli non possono impararlo nelle scuole italiane scarse di numero e povere di mezzi, che l'emigrante povero adotta con facilità estrema la lingua (spagnuola o portoghese) che gli torna più utile pei suoi affari quotidiani, si è tratti invincibilmente alla malinconica conclusione che sulla nostra nazionalità grava la minaccia terribile della scomparsa e dell'assorbimento. » Verissimo. Constatai io stesso ventotto anni or sono il fenomeno doloroso che davano parecchi nostri connazionali parlanti uno dei tanti nostri dialetti, ma che leggevano e scrivevano soltanto .... la lingua spagnuola ! A questo grave pericoio non c'è che un rimedio : seguire
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