'R..IP'ISTA POPOLARE 'Dl POLITICA LETTERE E SCIENZE SOClALl Sperimentalismo Sociale Un progetto di assicurazione contro la disoccupazione a Basilea. La 7?_,ivista Popolare ha riferito altra volta sui _tentativi di assicurazione contro la disoccupazione che si sono fatti in !svizzera. Nella vicina repubb 1ica, dove la legislazione sociale è sviluppatissima, questi tentativi si ripetono con lodevole insistenza. Coi,ì nel 1897 il Gran Consiglio di Basile~ aveva rinviato un progetto di legge relativo all'assicurazione contro la disoccupazione alla Commissione che l'aveva elaborato. Rimaneggiato, tenendo conto ddle opinioni enunciate durante la prima discussione, questo progetto e stato ora sottoposto di nuovo al Gran Consiglio. Ecco, secondo il 'Bund di Berna le principali disposizioni che contiene. Il numero degli operai obbligati ad assicurarsi in un modo permanente è fissato a 10,000; il numero di quelli per i quali l'assicurc1zione non è permanente a r 322. Il numero dei disorcupati è valutato a 2,200, cioè al 27 oro. Le spese pei soccor_si sono valutate a L. c;§J,580; la ~ontribuzione degli op,erai ammonterebbe a 87,179 hre; quelle dei padroni a L. 63,184. Ne risulterebbe un deficit· probabile di L. r 3,217; ma a questo si provvederebbe con una contribuzione dello Stato di L. 30,000. A carico dello Stato andrebbero pure le spese di amministrazione in L r 5,000 all'anno. RIVISTADELLERIVISTE Tristespettacolo. Non intendiamo oc~u;,arci nè dei tumulti avvenuti alla Camera, né della scarsa abilità del Presidente di essa, nè della impotenza della maggioranza. Se 30 persone possono impedire a luogo la volontà di 470 vuol dire che vi è qualcosa di guasto e cii male funzionante ndl' Assemblea ste,sa. Il voto del 28 giugno diede al Governo una maggioranza di 56 voti, perchè alcuni credettero che il principio non fosse vulnerato dall'invio del decreto alla Commissione, ma senza di ciò il Governo sarebbe restato in minoranza. La questione del decreto-legge è della massima importanza perchè si tratta di contravvenire alle esplicite disposizioni dello Statuto che dispone essere necessaria l'approvazionè della Camera, del Senato e del Re penhè una legge abbia vigore. I catenacci finanziari hanno creato il precedente. Hanno buon giuoco coloro che dicono che non ~i può arrestare la macchina legislativa perchè 30 o 40 hanno decretato l'istruzionismo, ma è anche evidente che una volta fatto uno strappo alle disposizioni dello Statuto, si sarà trascinati a strappi ulteriori. Col metodo adottato, il Governo si fa arbitro di giudicare entro qual tempo il Parlamento deve approvare uoa legge, sotto pena di porla altrimenti senz'altro in esecuzione. « Ora questa do:- <' trina, ·siavi o non siavi ostruzioni,mo, è affatto incostituzio- « nale ». La maggioranza si mette in una via pericolosa nella 9.,uale il declivio conduce direttamente atla tirannia, cioè al Governo senza la guarentigia delle forme. Se si ricorda quante Commissioni non hanno ritardato per anni e anni le loro relazioni. dietro desiderio dello stesso governo, quanti progetti di legge non sono stati approvati in tempo perchè la Camera non era_ in numero legale, bisogna concludere anche che l'espediente della scadenza fissa per le leggi è un assurdo ed è inapplicabile. l:.a discussione generale sulle convenzioni ferroviarie durò oltre un mese; ciascuno degli oratori dell'opposizione -.Sanguinetti, Nervo e Baccarini - parlò per tre tornate successive; ciascun oratore nella discussione degli articoli pronunziò più di cento discorsi, ma nessuno mai pensò allora ad un decreto-legge « E si noti che si trattava di un « argomento molto meno grave, politicamente, dei provvedi- « meuti politici oggi in discussione ». Lo spettacolo è triste perchè deriva dalla impotenza del Parlamento che non ha la cultura e l'energia necessaria per studiare, concretare e volere i provvedimenti che occorrono al Paese; lo spettacolo è triste perchè mentre la rappresentanza nazionale sciupa la poca energia di cui dispone, i processi Acciarito e Pescetti, a Roma e a Firenze, « dimostrano fino a dove sia penetrato il guasto, il « putridume di cui è malato il paese ». (Economista di Firenze, 2 luglio). Un Travet: Le originidella reazione. Il colpo di Stato dei Maggio i898 mostra che la reazione in Italia non è un fenomeno provvisorio, ma emana da una causa superiore alla .volontà dei singoli ministri, immanente in tutta la nostra organizzazione politica, senza la cui diminazione nessun progresso ordinato e sicuro è sperab;le. In Italia la causa della reazione ha cominciato ad agire fin dal primo momento in cui nel movimento dell'indipendenza e dell'unità italiana accanto al partito repubblicano intervenne il partito monarchico. In Italia, dove lo Stato - a differenza della Germania dove l'unità si deve alla dinastia' ed all'esercito - ha origini dalla rivoluzione, dovrebbe vigere il sistema rapprc sentativo genuino. Ciò non è, perchè reazione e rivoluzione, incontratesi nel lavoro dell'unità, si sono trovate legate alla stessa catena e lottano fra loro da cinquant'anni per assicurarsi il dominio. La · reazione è cominciata il giorno in cui Carlo Alberto, sbattuto dalla tempesta repubblicana e democratica, sentì il bisogno, per salvare il vascello della dinastia, di spargere un pò di olio.... liberale sulle onde rivoluzionarie; e quest'olio fu costituito da uno statuto equivoco e da una guerra contro l' Austria più equivoca ancora. Tutta la storia di Carlo Alberto - anche e più nel periodo della guerra contro l'Austria - e di Vittorio Emanuele dimostra che la reazione stava in cima dd pensieri dei governanti, e prova che il colpo di Stato dd m~ggio 1898 non è un fatto isolato e senza precedenti, ma· ~ì· connette con un sistema di governo avente per iscopo la trasformazione dello Stato - lenta e repentina, legale o violenta secondo le circostanz~ - in senso più che sia possibile conservatore. Cavour, contro la comune credenza, fu lo strumento più attivo di tale trasformazione; la quale sentì un certo freno sino a tanto che fu in vita la Guardia Nazionale. (La Crit·ica Sociale 1° luglio). Prof. Fabio Luz.z.atto: La riforma dei contrattiagrari. Riforma, legge vogliono dire certamente restrizione di libertà. Se la rinnovazione si limitasse ad essere dispositiva o permessiva, permettesse cioè nuove deroghe per patto privato a ognuno dei suoi principi, sarebbe inefficace ed inutile: inutile imporre alle parti degli obblighi dai quali tosto, per patto espresso, si farebbero esonerare; e sarebbe vana la speranza di ottenere, per disposizioni fac"oltative, un miglioramento nelle condizioni di un contraente. La riforma dei patti agrari deve essere imperativa: comandare e vietare, con la sanzione di nullità per la contraria dichiarazione di volontà delle parti. Necessaria è la riforma dei contratti agrari per quelle condizioni che hanr.o rese necessarie misure politiche repressive. Lo Stato ha diritto di liberarsi da tali molestie. Non è giusto che per garantire smoderati guadagni di pochi proprietari o intraprenditori, tutta la Nazione sopporti straordinari aggravi, delle repressioni violente, s<!nzs1c-hiedersi se accanto all'interesse anche la causa della giustizia non sia in giuoco. Ripetute inchieste e pubblicazioni hanno dimostrato che la causa dei proprietari non sempre nè dovunque è giusta. Ed anche giuridicamente è lecita una rito1ma perchè « in nes- « sun caso .... le provate disposizioni e convenzioni potranno « derogare le leggi proibitive del Regno che concernono le « perse,ne, i beni, o gli atti, nè le leggi riguardanti in qual- « sia si modo l'ordine pubblico e il buon costume (Art. r i « prel. al Cod. Civile.) ii Ma conviene che la riforma sia praticamente possibile, efficace, giusta. Praticamente possibile non san bbe una riforma che imponesse un tipo unico di contratto agrario, o che modificasse uno solo fra i contratti, lasciando libera l'adozione degli altri. La diversità dei tipi risponde a diverse condizioni economiche proprie delle diverse regioni, correlative alle condizioni di produttività del suolo, al progresso della coltura, al benessere dei proprietari, allo sviluppo intellettuale dei lavoratori. Per alcuni luoghi una simile riforma potrebbe indurre l'abbandono ddla terra piuttosto che coltivarla a prezzo di troppo grande sacrificio. Quando il nuovo Codice rese agevole in materi.t di enfiteusi, la redenzione del fondo da parte dell'enfiteuta in confronto della devoluzione da parte del concedente (art. 1564, 1567 Cod. Civ.), il proprietario meridionale allarmato abbandonò l'enfiteusi e ritornò alla locazione, stipulando espressamente l'esclusione del contratto di enfiteusi e del relativo patto di redenzione. Nè può sperarsi, limitando e circoscrivendo i patti di locazione e di subaffitto, di spingere i contraenti alla fortunata mezzadria privata: essa esige condizioni tali che non per ogni dove, nè dall'oggi al domani si possono ottenere: all'infuori di qualche concessione fiscale non si saprebbe indicare allo Stato un mezzo efficace per incoraggiare questa forma benefica di contratto agrario. Nè è facile nemmeno prescrivere il subaffitto, da un lato perchè sarebbe facile eludere il divieto, dall'altro perchè si potrebbe scoraggiare l'intrapresa e l'accorrere delle intelligenze e del capitale alla terra per mezzo del fittabile. Quello per cui più si
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